Cosa pensano i cinesi del Nobel a Mo Yan? I commenti su twitter e weibo ci raccontano come una società civile si entusiasma e polemizza per il più alto riconoscimento che uno scrittore possa ricevere: il Nobel alla letteratura. Una selezione delle reazioni sui microblog.
«Come si ottiene un premio Nobel in Cina? “Senza parole”». A Pechino si scherza con lo pseudonimo dello scrittore appena incoronato – Mo Yan, appunto, in cinese significa “senza parole”. A scriverlo è Liu Miao (@liumiao) su Weibo, ovvero il twitter dell’ex impero di mezzo. E anche l’unico accessibile dalla rete cinese.
Twitter infatti è censurato, non è possibile accedere al famoso network a meno di non essere hacker o quanto meno “esperti” di firewall e cose simili per aggirare le limitazioni. Questo perché il popolare social network non può essere controllato dal Partito, quindi è oscurato.
Ma cosa pensano i cinesi del loro Nobel per la letteratura su Weibo (e, almeno per quelli bravi con i computer, anche su twitter)? Lo sappiamo grazie a Caratteri cinesi, una costola del sito di informazione «ChinaFiles».
Qui troviamo un progetto estremamente interessante: la traduzione dei blogger più attivi e conosciuti, gli unici in grado di far comprendere le dinamiche spesso estromesse dai media tradizionali per via della retorica di Partito.
E fra le tante e meritorie cose da leggere, ieri Caratteri Cinesi ha tradotto alcuni dei tweet più interessanti o dei personaggi più in vista della rete cinese. E lo ha fatto sia da Weibo, sia da twitter. E c’è da sottolineare come sul primo la quasi totalità dei commenti è stata molto elogiativa con lo scrittore, mentre solo nel secondo sono comparse critiche.
Ma veniamo a questi commenti. Lian Yue (@lianyue) sicuramente non è un dissidente: «Il ritiro del premio ha un che di realismo magico: tenere sempre alta la bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi, continuare a farsi guidare dal pensiero del marxismo-leninismo, il pensiero di Mao Zedong, la teoria di Deng Xiaoping e le “tre rappresentanze”, realizzando lo sviluppo scientifico: ecco come si ottengono i risultati odierni». Certo, qualcuno potrebbe (legittimamente) chiedersi cosa c’entra la letteratura con le “tre rappresentanze”, ma tant’è.
Anche Mai Jia (@maijia), scrittore affermatissimo tanto da esser chiamato il “Dan Brown cinese”, è entusiasta: «Mo Yan ha vinto il Nobel. Congratulazioni! Quando una persona ottiene un premio così grande, l’onore non è più solamente il suo, ma della lingua, dell’etnia e della nazione che rappresenta. Congratulazioni a Mo Yan, congratulazioni alla Cina!».
Eppure subito prima della proclamazione, quando si vociferava soltanto della possibilità di un Nobel a Mo Yan, aveva espresso una punta di amarezza: «Mo Yan ci sta facendo focalizzare sul Nobel, se lo otterrà o meno lo sa solo il cielo. Io spero di sì. Mo Yan è uno dei più straordinari scrittori cinesi viventi, che ha contribuito enormemente alla letteratura contemporanea. I cinesi si preoccupano dell’approvazione degli stranieri, sarebbe una fortuna per la letteratura cinese se qualcuno venisse approvato dal Nobel, almeno susciterebbe l’attenzione di sempre più persone per la letteratura. La letteratura cinese è già stata messa da parte per l’intrattenimento, la letteratura è morta, ai cinesi sono rimasti solo i soldi». Detto da uno che, nel 2010, ha fatto scalpore perché annoverato tra i dieci scrittori più abbienti del paese, con due milioni e ottocentomila di yuan di diritti per i suoi libri, non è poco.
Michael Anti, giornalista e blogger decisamente famoso (è su twitter con l’account @mranti), usa l’ironia: «Mo Yan ha vinto il Nobel, è protetto dallo spirito di Mao Zedong? Quando ritirerà il premio ringrazierà il Partito e il presidente Mao?». Anche Zuola, uno dei più famosi blogger cinesi (il suo nickname è la traslitterazione di Zola, in onore al calciatore italiano Gianfranco Zola) e super censurato in patria, ha usato un senso dell’umorismo molto british: «Gugong – Forbidden City. Mo Yan – Forbidden Speak». Insomma, con resta da aspettare quanto si augura @liumiao, ovvero che Mo Yan «dia il meglio di sé per non parlare di Liu Xiaobo nelle interviste che verranno».
[Scritto per Pubblico; Foto credits: asiasociety.org]*
Redattore di Pubblico e dottore di ricerca in Storia della filosofia, ho lavorato in varie università in Italia e all’estero. Svolgo attività di ricerca come chercheur associé all’Ecole Normale Supérieure di Parigi e presso il Centre de recherche Eric Weil dell’Università di Lille. All’attività accademica ho affiancato quella giornalistica in varie testate (tra le quali Repubblica, Il Fatto Quotidiano e Panorama). Fra i miei libri: Le philosophe du dimanche, Gallimard, Parigi 2010 (in italiano Il filosofo della domenica. La vita e l’opera di Alexandre Kojève, Bollati Boringhieri, Torino 2008); Le erme nei trivi, Quodlibet, Macerata 2006;Filosofia e politica, Università degli Studi, Urbino 2000. Curo le opere di Alexandre Kojève presso l’editore Gallimard di Parigi. Leggi tutta la mia bio