La Cina non apprezza granché gli scoop giornalistici internazionali, è risaputo, specie quando di mezzo ci sono cittadini della Repubblica Popolare particolarmente in vista o collegati alla leadership. Così, come già con il report del New York Times sulle ricchezze di Wen Jiabao e con i China Leaks, anche i Panama Papers sono stati «oscurati».Come ha riportato il quotidiano di Hong Kong, il South China Morning Post, «mentre il governo cinese deve ancora rispondere pubblicamente alle accuse i media statali hanno in gran parte evitato ogni riferimento dei Panama Papers».
Il campionario è sempre lo stesso: le ricerche con la parola «Panama» sui motori di ricerca cinesi portano a storie nei media cinesi sul tema, ma molti dei collegamenti sono stati disattivati, o si aprono solo su articoli inerenti accuse rivolte a stelle dello sport.
Le ricerche per «Panama Papers» in cinese «fa apparire un messaggio di avviso secondo il quale i risultati potrebbero non accordarsi con le leggi e le norme pertinenti quindi non può essere mostrato».
Sulla questione però si è espresso l’ufficiale Global Times bollando, in definitiva, tutto quanto come una sorta di congiura di Washington: il Global Times ha suggerito – in un editoriale pubblicato martedì – «che i media occidentali sostenuti da Washington abbiano usato tali indiscrezioni per attaccare obiettivi politici nei paesi non occidentali».
«I media occidentali – si legge nell’editoriale – hanno preso il controllo dell’interpretazione di questi documenti, come accade ogni volta di fronte a una fuga di notizie. Le informazioni da considerarsi negative per gli Stati Uniti sono sempre minimizzate, mentre l’esposizione di capi non occidentali, come Putin, possono ottenere interpretazioni extra».
Il riferimento – come si evince – è alla Russia, mentre non viene fatta menzione alcuna dei collegamenti con funzionari cinesi.
Qualche informazione in più arriva dai media di Hong Kong che sottolineano i legami tra Panama e l’ex colonia, suggerendo il link con i funzionari cinesi.
Secondo il South China Morning Post, in un arco di quasi quattro decenni, lo studio Mossack Fonseca – lo studio legale dal quale è avvenuta «la fuga di notizie» «ha lavorato con più intermediari – banche, studi legali e altri – a Hong Kong che in qualsiasi altra giurisdizione, secondo il Consorzio Internazionale di Giornalisti Investigativi (Icij), che ha contribuito a rivedere i circa 11 milioni di presunti documenti trapelati».
«Alla fine del 2015, il 29 per cento delle aziende dello studio legale raccoglieva le commissioni per essere stato incorporato attraverso gli uffici di Hong Kong e in Cina».
Un esempio? «Nel 2012, la quotata (a Hong Kong) Sun Hung Kai Properties Ltd. avrebbe chiesto allo studio Mossack Fonseca di sciogliere una società di comodo nelle Isole Vergini Britanniche controllata da un esecutivo i cui membri erano stati arrestati nell’ambito di un’indagine di corruzione. La Sun Hung Kai avrebbe detto alla Mossack Fonseca che la società di comodo non aveva alcuno scopo».
Il dirigente, Thomas Chan, è stato condannato a sei anni di carcere nel 2014 per aver agito come intermediario di corruzione tra uno dei principali leader degli sviluppatori di proprietà, Thomas Kwok, e un alto funzionario di Hong Kong. In questo processo, il signor Kwok è stato anche riconosciuto colpevole di cospirazione connessa con la corruzione e condannato a cinque anni.
[Scritto per Eastonline]