“Il vaccino cinese è il mio preferito”. Parola di Viktor Orbán. Il Primo Ministro ungherese è il primo leader politico di un Paese dell’Unione europea a farsi iniettare il siero della Sinopharm, uno dei quattro produttori Made in China di vaccini anti Covid-19.
Budapest ha già ricevuto 550mila dosi e ne avrà altre 4,5 milioni entro maggio. Potrebbe presto non essere l’unico, visto che il Presidente Xi Jinping ne ha parlato in una telefonata con l’omologo della Polonia Andrzej Duda. Nel mondo sono già 45 i Paesi che hanno ricevuto e acquistato le dosi da Pechino. È successo a tutte le latitudini, dal Sud-est asiatico al Medio Oriente, dall’Africa all’America Latina. E questo nonostante gli studi sull’efficacia sono meno dettagliati rispetto ai vaccini sviluppati altrove. Ma la lentezza della distribuzione dei sieri occidentali, nonché i blocchi alle esportazioni, ne stanno aiutando la diffusione a livello globale, soprattutto in Paesi che hanno urgenza di approvvigionamento.
Quando il coronavirus ha smesso di essere un’emergenza solo per Wuhan, il Governo cinese ha iniziato a esportare mascherine, tute protettive e respiratori in tutto il mondo, Italia compresa. Ora sta facendo lo stesso con i suoi sieri anti Covid. Tutto rientra nella rimodulazione in chiave sanitaria della Via della Seta e nello sviluppo della cosiddetta “diplomazia del vaccino“, che nei piani di Pechino è destinata da una parte a sostenere l’export e dall’altra a garantire riflessi positivi sul suo soft power.
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.