Raggiunti i risultati previsti, tranne che sull’intelligenza artificiale. La distanza maggiore resta quella su Taiwan, ma il tono del confronto è più che cordiale. Una piccola ombra dalla conferenza stampa del leader americano, mentre quello cinese incontra Musk, Cook e i vecchi amici dell’Iowa
“È una bella auto”. “È una Honqi (bandiera rossa, ndr), un brand cinese”. È uno degli scambi tra Joe Biden e Xi Jinping più citato sui social cinesi. Il riconoscimento è motivo d’orgoglio e segnale di quel “rispetto reciproco” che Pechino richiede per il suo modello di sviluppo. Molto più di quel “dittatore” sfuggito nuovamente al presidente degli Stati uniti (“in quanto leader di un paese comunista”) durante la conferenza stampa post summit, non a caso oscurato da media e rete cinesi desiderosi di celebrare il “successo” dell’atteso incontro. La replica è arrivata dalla conferenza stampa quotidiana della portavoce del ministero degli Esteri: “Si tratta di un’affermazione estremamente sbagliata e di una manipolazione politica”, ha detto Mao Ning, aggiungendo che “ci sarà sempre qualcuno che prova a danneggiare i rapporti bilaterali”, rivolgendosi in questo caso ai media statunitensi e stemperando dunque il biasimo diretto verso Biden.
Il vertice, durato quattro ore condite da un pranzo a base di ravioli alle erbe e pollo arrosto, ha dato i risultati previsti. Il più importante è il riavvio delle comunicazioni militari e dei contatti tra i leader dei vari teatri strategici. Uno sviluppo fondamentale per evitare che il confronto nelle aree di tensione rischi di trasformarsi in conflitto. La Cina ha acconsentito a una stretta sul traffico dell’oppioide sintetico fentanil. Istituito anche un gruppo antidroga congiunto, dopo quello annunciato il giorno precedente sul clima. Biden e Xi hanno poi concordato di aumentare i voli tra i due paesi e di espandere gli scambi nei settori di istruzione, cultura e sport. Rimane invece vago l’impegno sull’intelligenza artificiale: per ora niente governance comune e niente accordo sulle limitazioni in ambito di sviluppo militare.
“Il mondo è abbastanza grande perché entrambi possano avere successo”, riconoscono i due leader. “Per Cina e Stati uniti il successo di uno è un’opportunità per l’altro”, recita Xinhua parafrasando Xi. I media cinesi suggeriscono anche il possibile invio di nuovi panda allo zoo di San Diego, dopo il ritiro anticipato di quelli di Washington la scorsa settimana. Segnale che si vede ancora un futuro nelle relazioni. Virali le immagini di Xi che riceve la maglietta della squadra Nba Golden State Warriors dal governatore della California, Gavin Newsom.
Si è parlato anche di questioni internazionali. Pochi dettagli sull’Ucraina, mentre Biden ha chiesto a Xi di esercitare la propria influenza sull’Iran per evitare l’allargamento della crisi in Medio oriente. Xi ha invece indicato di ascoltare le “legittime preoccupazioni di sicurezza” della Corea del nord, applicando a Pyongyang una formula ricorrente utilizzata per la Russia.
Come sempre, Taiwan è il tema più divisivo. Le posizioni restano lontane, forse inconciliabili, ma ci sono novità nell’approccio cinese. Meno retorica (sparisce il classico “chi di fuoco ferisce, di fuoco perisce”) e richieste più concrete: stop all’invio di armi a Taipei e supporto al raggiungimento della “riunificazione pacifica”. Sfumatura nettamente diversa della tradizionale richiesta di “opposizione all’indipendenza di Taiwan”. Biden si è fermato all’usuale garanzia di “non supporto all’indipendenza”, chiedendo poi a Xi di limitare le azioni militari sullo Stretto e di non interferire nelle presidenziali di gennaio, dove due giorni fa l’opposizione dialogante con Pechino ha trovato un accordo per una candidatura unitaria che può ribaltare i pronostici sul voto, nonché gli equilibri del triangolo scomposto Usa-Cina-Taiwan. Secondo fonti della Casa bianca citate dalle agenzie internazionali, Xi avrebbe inoltre garantito che “non ci sono piani di azioni militari su Taiwan negli anni a venire”. Una rassicurazione che sembra però esigere una richiesta più chiara di “non interferenza” americana in quelli che Pechino prova a presentare come affari interni. Difficile venga esaudita. A decidere molto sarà anche il risultato del voto taiwanese.
Al termine del summit, Xi ha cenato coi grandi imprenditori statunitensi. Presenti tra gli altri Elon Musk e gli amministratori delegati di Apple, BlackRock, MasterCard, Qualcomm, Pfizer e FedEx. Occasione fondamentale per reiterare la retorica degli scambi people-to-people, utile ad aggirare una politica americana descritta dai commentatori cinesi come “instabile” in vista dell’anno elettorale.
“Il passare del tempo è come un fiume impetuoso: molto viene spazzato via, ma quello più prezioso rimane. La tendenza storica della coesistenza pacifica tra Cina e Stati uniti non cambierà, così come il desiderio dei nostri due popoli di scambi e cooperazione”, ha detto Xi nel discorso applaudito dai presenti, tra cui l’85enne Sarah Lande e i “vecchi amici” dell’Iowa. Non proprio un’immagine da nuova guerra fredda.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.