Clausola Kgb. O della riforma del Codice penale

In by Simone

Il 5 marzo si apre l’ultima sessione annuale dell’Assemblea del popolo sotto Hu. Si discuterà anche della riforma del Codice penale. Le decisioni che verranno prese indicheranno se la Cina va verso la supremazia della legge o verso il consolidamento della supremazia della sicurezza statale. Bequelin sul New York Times.
È  possibile che la polizia cinese non abbia il potere sufficiente a trattenere chi sospetta rappresenti una minaccia alla sicurezza nazionale?

Sembra una strana domanda per chi non conosce bene la Cina, vista l’elasticità della sicurezza nazionale sotto il sistema monopartitico cinese. Invece è questo l’oggetto di una delle più intense battaglie politiche dietro le quinte della transizione della dirigenza politica del paese, che il prossimo ottobre vedrà quasi certamente Xi Jinping succedere al presidente Hu Jintao.

Focus di questa ‘battaglia’ è una serie di revisioni al Codice di procedura penale già in atto da tempo e pronta ad essere adottata durante l’ultima sessione plenaria annuale dell’Assemblea del Popolo sotto Hu.

Le fazioni più progressiste del Partito e del governo ritengono che le riforme legali siano parte integrale dello sforzo verso la modernizzazione della Cina. Dare maggior importanza alla Legge e riformare il codice penale per offrire diritti più vicini alle norme internazionali sono due aspetti chiave di questo sforzo.

Dall’altra parte ci sono il potente apparato di sicurezza e gli elementi più conservatori e intransigenti del partito che vantano un autorità in crescita costante dal 2008, quando gli fu assegnata la sicurezza per le Olimpiadi di Pechino.

Per questo gruppo di ufficiali e politici, la Legge è puramente strumentale – un mezzo a disposizione del potere dello Stato – e non può essere modificata per dare più potere alla popolazione e mettere in discussione l’autorità del Partito.

I più intransigenti sostengono che il punto critico sia permettere ai Servizi di sicurezza di affrontare in modo opportuno le minacce a quella che è un’amplissima interpretazione della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico. Anche se implica frequenti errori giudiziari.

Entrambe le fazioni hanno fatto sentire la propria voce nella stesura del nuovo Codice penale.

I riformisti hanno incluso condizioni che esigono accesso immediato a un avvocato e protezione contro confessioni forzate. Hanno insistito affinché gli iter per le udienze di casi di pena capitale siano più approfonditi, con controinterrogatori ai testimoni e l’esclusione delle prove ottenute sotto tortura.

Ancora secondo i riformisti, minori e imputati con problemi mentali dovrebbero ricevere maggiore protezione. Se adottati dal Codice – e si tratta indubbiamente di un grande ‘se’- queste misure significherebbero un progresso importante.

L’apparato di sicurezza, a sua volta, non abbandonato le sue convinzioni. Sotto il pretesto della “sorveglianza residenziale”, l’Articolo 73 della legge riveduta porterebbe a tutti gli effetti a legalizzare le detenzioni segrete e la “sparizione” di coloro che sono visti come una minaccia politica dal governo.

Ciò di fatto renderebbe legale la tattica perversa che è stata recentemente usata contro l’artista Ai Weiwei, l’avvocato Gao Zhisheng e il Nobel per la Pace Liu Xiaobo. Mentre finora questo tipo di sequestro era tecnicamente illegale.

L’Articolo 73 permetterebbe ufficialmente alla polizia di trattenere fino a sei mesi quei cittadini che potrebbero “rappresentare un rischio alla sicurezza nazionale” o accusati di “terrorismo”,due capi di accusa da tempo usati impropriamente dal governo per attaccare dissidenti, difensori di diritti umani e separatisti uiguri e tibetani.

Spaventa ancora di più il fatto che queste detenzioni segrete avverrebbero in luoghi sotto il controllo della polizia altri rispetto a quelli normalmente deputati alla detenzione, accrescendo così il rischio di abusi e tortura. Gao Zhisheng, ad esempio, è stato torturato proprio in uno di questi luoghi.

La scorsa estate, quando la prima bozza del nuovo Codice penale fu pubblicata per la consultazione pubblica, un’inusuale reazione di protesta si scatenò sui media nazionali, online e tra i circoli legislativi.

In particolare, la comunità cinese impegnata per i diritti umani, espresse all’unisono un forte allarme per quella che Hu Jia – uno dei più noti attivisti cinesi, e un veterano della “sorveglianza residenziale”- ha definito “la clausola Kgb”.

Perché la leadership politica cinese pensa di dare più potere ai Servizi di sicurezza, quando questo significa screditare quella che altrimenti sarebbe potuta essere una riforma legale importante?

Una spiegazione è il fatto che ogni qualsivoglia giorno  in Cina si tengono dalle duecento alle trecento proteste. L’ampiezza di queste manifestazioni varia da una scarsa dozzina a oltre diecimila persone.

Le proteste sono alimentate da questioni ambientali, lavorative e sociali, amplificate dalla corruzione e dall’abuso di potere esercitati da molti ufficiali locali. Nell’impossibilità di portare tali questioni davanti a una corte giudiziaria, un numero crescente di persone ha deciso di portarle in strada. Spesso è solo la polizia a dividere “masse” dal Partito.

Un altro motivo è che la dirigenza politica è sempre più preoccupata dalla diffusione di “valori globali”– che in Cina sono diritti umani, supremazia della legge, e libertà di espressione – tra la popolazione.

Gli esponenti politici più conservatori ritengono di avere bisogno dell’autorità necessaria a “mettere in un angolo” critici e dissidenti, per ridurli al silenzio ma anche per usarli come esempio verso chi pensasse di seguire la stessa strada. Legalizzare le “sparizioni” offre esattamente lo strumento di cui hanno bisogno.

Resta da vedere se Xi Jinping e la nuova leadership saranno più inclini di Hu ad affrontare le preoccupazioni dell’opinione pubblica e a implementare riforme. Ma se i Servizi di sicurezza riuscissero a consolidare ulteriormente il loro potere, la possibilità di riforme potrebbe diventare difficile da realizzare.

L’ascesa della fazione intransigente del Partito e del governo è uno dei fattori più utili a fare previsioni sul futuro della Cina. L’adozione o meno dell’Articolo 73 potrà dire molto sulla Cina, indicando un progresso verso la supremazia della legge o il consolidamento della supremazia della sicurezza statale.

*Nicholas Bequelin è senior researcher di Human Rights Watch Asia. Quest’articolo è apparso sul New York Times il 1 marzo 2012
[La foto di copertina è di Tania Di Muzio]