Sebbene la presenza militare cinese in Asia Centrale abbia trovato degli sbocchi alternativi, rimane ancorata alle esercitazioni militari congiunte come strumento principe di impegno. Ciò comporta che la gestione e il finanziamento di avamposti in Tagikistan non sia da interpretare come un tentativo per Pechino di ricoprire quel ruolo di garante della sicurezza regionale che era stato degli Stati Uniti, ma risponda, invece, a considerazioni interne relative alla sicurezza e alla stabilità del paese. La nuova puntata della rubrica sulla presenza cinese in Asia Centrale a cura di Giulia Sciorati.
A fine ottobre, la Cina ha annunciato che finanzierà la costruzione di un avamposto militare in Tagikistan, in quell’area che si trova tra la provincia tagika del Gorno-Badakhshan, l’omonima provincia orientale afghana e la regione autonoma cinese del Xinjiang. Un’area, quindi, che è una delle rotte del contrabbando tra Afghanistan e Cina attraverso cui Pechino teme che anche l’instabilità politica che ha caratterizzato Kabul fin dal ritiro delle truppe americane riesca a superare i confini nazionali cinesi.
Pechino non aprirà una base militare cinese in Tagikistan (come erroneamente riportato da alcuni media): l’avamposto sarà infatti gestito dalla polizia tagika e avrà una funzione prettamente di condivisione dell’intelligence. Ma qual è la presenza militare cinese oggi in Asia Centrale e si è davvero evoluta massicciamente nel tempo? Pechino sta cercando di diventare un garante della sicurezza in questa regione del mondo e sostituirsi così agli Stati Uniti?
Il nuovo avamposto non è una novità nel panorama militare oltreconfine cinese. Pechino amministra già dal 2016 una struttura simile, sempre in Tagikistan, vicino al corridoio di Wakhan, al confine tra la Cina e l’Afghanistan. Gestito dalla Polizia militare cinese (People’s armed police) e non dall’esercito (People’s liberation army), anche quest’avamposto opera congiuntamente con le forze di polizia tagike per raccogliere informazioni e monitorare i traffici verso la Cina.
La presenza sul territorio delle repubbliche centrasiatiche di forze di sicurezza cinesi non è infatti la principale forma di coinvolgimento militare del paese con l’area. Come ben argomentato da diversi osservatori e, in particolare Marcel De Haas dell’Università di Leiden e Sebastien Peyrouse dell’Università di George Washington, sono le esercitazioni militari congiunte lo strumento primo attraverso cui la Cina e i paesi dell’Asia Centrale mantengono viva la propria cooperazione in ambito militare. Il contesto dell’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (SCO), in particolare, e soprattutto durante le prime fasi di sviluppo dell’organizzazione, ha facilitato la messa in atto di esercitazioni militari, anche a livello bilaterale. Per esempio, tra il 2002 e il 2015, della ventina di esercitazioni militari congiunte afferenti alla SCO, la Cina ne ha svolte ben quattro in solitaria insieme a uno o due paesi centrasiatici e, in particolare, con i propri vicini (Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan). In confronto, la Russia ha svolto una sola esercitazione militare che non ha visto coinvolta anche la Cina, la ‘Saratov-Antiterror-2010’.1 Inoltre, nonostante Pechino abbia una storia limitata come fornitore di armi, in seguito alla modernizzazione militare del paese, ha iniziato ad esportare armamenti in tutto il mondo. Il tipo di armi che rende il paese competitivo è prevalentemente caratterizzato dall’alta carica tecnologica che contraddistingue i suoi prodotti. L’Asia Centrale non è immune a questo trend ed è andata ad affiancare la Cina alla Russia per sanare le proprie necessità in questo settore. Tra il 2019 e il 2020, infatti, la Cina ha esportato armi alle repubbliche centrasiatiche per circa 135 milioni di dollari. Di contro, la Russia ne ha fornite per 950 milioni di dollari, confermando il proprio primato come fornitore dell’area.2
Sebbene la presenza militare cinese in Asia Centrale abbia trovato degli sbocchi alternativi, rimane ancorata alle esercitazioni militari congiunte come strumento principe di impegno. Ciò comporta, quindi, che la gestione e il finanziamento di avamposti in Tagikistan non sia da interpretare come un tentativo per Pechino di ricoprire quel ruolo di garante della sicurezza regionale che era stato degli Stati Uniti, ma risponda, invece, a considerazioni interne relative alla sicurezza e alla stabilità del paese. Considerazioni che sono legate alle minacce che emergono dall’area, relative, soprattutto, al terrorismo e all’estremismo religioso (恐怖主义 Kongbuzhuyi 宗教极端主义Zongjiao jiduanzhuyi), sulle quali Pechino ha, negli anni, sviluppato una vera e propria “ossessione”, interna ed internazionale.
Di Giulia Sciorati
(Università di Trento e ISPI)
1 Per un elenco dettagliato di queste esercitazioni congiunte, si veda Marcel De Hass, “War Games of the Shanghai Cooperation Organization and the Collective Security Treaty Organization: Drills on the Move!” The Journal of Slavic Military Studies 29(3), (2016), pp. 378-406.
2 Dalle stime sulla compravendita di armi tra Cina, Russia e repubbliche centrasiatiche è escluso il Turkmenistan che non ha importato armamenti dai due attori nel periodo analizzato. Si veda l’Arms Transfer Database di SIPRI.