Dossier: Cinafrica,africani a Pechino (parte 3)

In by Simone

Di seguito la seconda parte del Dossier, in 5 parti, dedicato ad Africa e Cina, tra gli articoli correlati (a destra) le prime due parti

Il Gigante scricchiola: malumori e violenze

Economiche o politiche che siano, le operazioni di Pechino in terra africana aumentano sempre più il disagio ed il malessere delle popolazioni locali. E con esse aumentano anche gli episodi di violenza ed attacchi alla comunità cinese, vista come una nuova colonizzatrice, dopo secoli di colonialismo e neocolonialismo europeo.

Tra il 1998 e il 2000 la Cina ha venduto armi, per un valore di un miliardo di dollari, ad Etiopia ed Eritrea, Paesi in guerra tra loro in un conflitto che ha seminato diverse decine di migliaia di morti. Armi sarebbero state fornite anche a Paesi come Sierra Leone e Namibia. (1)

L’agenzia China International costruisce in Angola case ed autostrade. In cambio, il Paese africano invia a Pechino il 70% della sua produzione petrolifera. Nel settembre del 2008 il giornalista britannico Peter Jonathan Hitchens, cronista del Mail on Sunday, è stato quasi linciato mentre stava documentando le condizioni di sfruttamento di manodopera minorile nelle miniere dell’ex Zaire: per tre dollari al giorno, bambini di dieci anni rischiano la vita per estrarre cobalto e rame da vendere alle compagnie cinesi.(2)

Da anni fanno inoltre discutere gli investimenti di Pechino nel Sudan, Paese martoriato da guerre (3) e miseria ma, al tempo stesso, secondo fornitore di petrolio alla Cina dopo l’Angola.

Nel 2005 nello Chambeshi, zona nordoccidentale dello Zambia, cinquantuno operai sono morti durante l’esplosione in una miniera gestita da una ditta cinese. Nel 2006, i dirigenti cinesi hanno dato ordine alla polizia di sparare ai minatori che manifestavano per migliori condizioni di sicurezza sul lavoro. Nel marzo del 2008 la protesta si è radicalizzata e le autorità locali sono riuscite per miracolo a salvare i leader cinesi dalla furia dei dimostranti.

All’inizio del 2007, in Nigeria, quattordici impiegati cinesi e due operai sono stati rapiti e poi rilasciati da ribelli armati. In Kenya, sorte peggiore è toccata a due ingegneri cinesi: uno è stato ammazzato, l’altro ferito.      

Nell’autunno del 2008, nove lavoratori petroliferi cinesi sono stati rapiti in Sudan e quattro sono stati uccisi prima del rilascio.
Lo scorso marzo, sempre in Sudan, gli assassini di due impiegati cinesi sono stati giustiziati. In Camerun, sette pescatori cinesi precedentemente rapiti, sono stati rilasciati dopo il pagamento di un cospicuo riscatto. Non è tutto oro (nero) quel che luccica.   

L’altro lato della medaglia: gli africani a Pechino

Secondo i dati del 2009, (4) in Africa ci sarebbero oltre un milione di cinesi, mentre meno di un quarto di questa cifra sarebbero gli africani presenti in Cina. Nel solo Zambia, Paese che conta quasi tredici milioni di abitanti, si troverebbero più di seicentomila cinesi.

Come in ogni storia, esiste anche l’altro lato della medaglia, ovvero la presenza degli africani in Cina, una comunità numerosa e che affronta ogni giorno le difficoltà e le venature positive della vita cinese. I numerosi forum bilaterali organizzati negli ultimi dieci anni hanno dato una forte spinta ai vari governi per uno scambio culturale, oltre che economico. Borse di studio e possibilità di tirocini presso università ed altri tipi di istituti sono state messe a disposizione dal governo cinese per studenti provenienti da ogni parte dell’Africa. Sotto questo punta di vista, Pechino fa la parte del leone, ospitando decine e decine di università e i migliori centri di formazione sul territorio cinese.

Studenti africani arrivano a Pechino per seguire corsi di lingua cinese, ma anche corsi di laurea, master e dottorati. La capitale del vecchio impero ha anche visto nascere negli ultimi anni bar, ristoranti e discoteche per la foltissima comunità africana, che a Pechino conta migliaia di persone. Non è difficile ritrovarsi in un sabato sera in qualche locale a maggioranza africana.

Studenti, ma non solo. Nella capitale cinese lavora tutto il personale delle ambasciate africane e degli altri istituti di rappresentanza, nonché un vasto numero di mercanti e uomini d’affari, arrivati in Cina alla ricerca di prodotti industriali ed artigianali a prezzi stracciati da rivendere nei rispettivi luoghi di provenienza. Le comunità più numerose di africani si trovano a Canton (con il 77% circa costituito da nigeriani),(5) Hong Kong (dove molti sono i sudafricani e gli africani bianchi), Pechino (in gran parte diplomatici o legati agli uffici di rappresentanza), Shanghai, Macao (dalle zone delle ex colonie portoghesi) e Yiwu.

Al di là dei motivi che li spingono a raggiungere la Cina e del Paese d’origine, gli emigranti africani sono tutti accomunati, volenti o nolenti, da un paio di caratteristiche peculiari: il colore della pelle e il continente di provenienza, quello africano. Sono sempre di più i giovani e gli imprenditori che lavorano per la promozione della «cultura africana» (e non semplicemente senegalese o angolana piuttosto che somala o sudanese) tra i cinesi: organizzazioni culturali e unioni studentesche vanno moltiplicandosi a Pechino come nel resto della Cina. Come ad esempio quella di Lefifi Tebogo, giovane imprenditrice di origine sudafricana, presidentessa della Young Africans Professionals and Students (YAPS),(6) organizzazione africana con sede a Pechino.

Specializzata in relazioni sino-africane e ricerca nel campo economico e degli investimenti, Lefifi ha viaggiato in trentacinque paesi e parla ben nove lingue. Obiettivo principale dell’organizzazione da lei fondata è far conoscere costumi e usanze dei popoli africani, cercando di sfatare falsi miti e luoghi comuni errati che sono alla base di incomprensioni, barriere e forme di intolleranza che comunque (e purtroppo) persistono e sono duri a morire.

Non mancano infatti difficoltà, unite a fenomeni di razzismo, dovuti principalmente alla mancanza di confidenza da parte del popolo cinese con le comunità africane.

«Tu sei bianco e non puoi capire. Non sai quanto sia difficile per un’africana riuscire a prendere un taxi la sera per le vie di Pechino» ha raccontato una studentessa kenyota. Piccoli problemi, nell’ambito delle relazioni in una città, Pechino, che sembra destinata a diventare sempre più un crocevia internazionale e ad affermarsi come una città sempre più multiculturale.   

NOTE AL TESTO

(1) Fonte: Asia News, 3 gennaio 2006.

(2)  http://www.dailymail.co.uk/news/worldnews/article-1063198/PETER-HITCHENS-How-China-created-new-slave-empire-Africa.html.

(3)  Una su tutte, quella nel Darfur.

(4)  Dati forniti dal prof. Adams Bodomo, docente presso la University of Hong Kong ed esperto di relazioni sino-africane.

(5) Dati del 2009

(6) www.yapschina.com/yappies.html