Lo scontro commerciale tra Cina e Usa non dipende soltanto dai recenti dazi, ma si ammanta del passo della sfida globale e come tale sarà di ben ardua soluzione. Per questo motivo – nell’impossibilità di arrivare ad un accordo capace di accontentare entrambe le parti, un’ipotesi praticamente impossibile – ad ogni occasione che si presenta, si tratti di summit globali o incontri bilaterali, telefonate o lettere, la tensione latente tra i due paesi aumenta o si allenta, a seconda di diversi fattori. Al G20 di Osaka in Giappone, è successo quanto era già accaduto nel G20 argentino: Xi Jinping e Trump si sono incontrati, per circa un’ora e venti, arrivando a una sorta di tregua.
SI TRATTA dell’ennesimo rilancio dei negoziati: Xi Jinping pare abbia messo le cose in chiaro con poche semplici parole, la Cina vuole negoziare ma in modo corretto e dignitoso, mentre Trump come al solito è stato una sorta di fiume in piena. «Incontro eccellente», ha detto. Ma a tregua fatta, per ora, l’armistizio in terra giapponese sembra totalmente a vantaggio della Cina: gli Usa rinunciano ad attivare nuove sanzioni per 300 miliardi di dollari di merci e non solo, perché il presidente americano ha sostanzialmente annullato il blocco alla vendita di prodotti tecnologici americani alla Huawei, azienda cinese leader nel mondo della tecnologia, sospettata dagli Usa di essere una sorta di longa manus del governo cinese su tutti i dati sensibili del mondo occidentale e come tale diventata via via sempre più «nemica» dell’amministrazione Trump. Dall’arresto della responsabile finanziaria e figlia del fondatore di Huawei, avvenuto in Canada nel dicembre scorso, ad oggi, sembra essere passato un secolo di manovre, sanzioni, divieti, anatemi.
XI JINPING PORTA A CASA tutto, ben felice di aver dimostrato fermezza in patria di fronte all’avversario americano; del resto fu proprio il presidente cinese a bloccare tutto il processo dei negoziati e a rifiutare una sorta di compromesso che avrebbe favorito eccessivamente, specie agli occhi dei nazionalisti cinesi, gli Usa. Al termine del faccia a faccia, Trump ha ricordato che «eravamo vicini a un accordo, ma è accaduto qualcosa e c’è stato un piccolo slittamento». Quanto a Xi Jinping, The Donald ha ribadito la sua stima personale nei confronti del presidente cinese. «Abbiamo passato parecchio tempo assieme, siamo diventati amici». Sul possibile accordo però nessuna risposta esaustiva alle domande dei cronisti.
LA CINA IN CAMBIO delle novità offerte da Trump ha garantito, come aveva già fatto, l’aumento dell’acquisto di prodotti americani e chissà che non tornino a respirare quei coltivatori di soia gravemente colpiti dalla guerra commerciale.
Quella di Trump, ad ogni modo, è una retromarcia senza la giusta dose di mea culpa: le sue sanzioni hanno finito per provocare malumori in tante aziende americane, quando non direttamente perdita del fatturato. Subito dopo le sanzioni, 600 aziende statunitensi, con tanto di colossi della grande distribuzione come Walmart e Target, avevano firmato una lettera che chiedeva alla Casa bianca di risolvere il conflitto commerciale, avvertendo che i dazi a carico delle merci dei due paesi stavano già danneggiando le aziende e i consumatori statunitensi.
Il blocco anti Huawei aveva indispettito le aziende tecnologiche americane che nel colosso cinese hanno uno sfogo non da poco della propria produzione di componentistica. I falchi americani avranno mille modi per giustificare la svolta di Osaka, ma il risultato è evidente: Trump ha dovuto fare marcia indietro. Forse perché i campi su cui giocare partite al limite della comprensione, vedi Iran, stanno rendendo sempre più labile il livello di fiducia anche degli alleati di Washington.
TRUMP NON SI È LIMITATO a celebrare il suo incontro con Xi Jinping: oggi sarà in Corea del Sud a incontrare Moon Jae-in nella zona demilitarizzata, al confine tra le due Coree. Dal suo cilindro, ovvero l’account Twitter, Trump ne ha provata così un’altra delle sue, scrivendo che mentre si trova in Corea del Sud vorrebbe «incontrare il presidente Kim della Corea del Nord al confine, giusto per stringergli la mano e salutarlo». E il bello è che da Pyongyang potrebbero perfino apprezzare, anche se la nota immediata di Seul, «non è stato ancora deciso niente», potrebbe indicare un leggero fastidio alla «trovata» di Trump, specie in un momento in cui nei colloqui sulla denuclearizzazione lo stallo pare totale.
Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.