Cina – Urbanizzazione e bolla immobiliare

In by Simone

Nel biennio 2011-2012 la Cina ha prodotto più cemento di quanto abbiano fatto gli Stati Uniti in tutto il Ventesimo secolo.  Dal 1996 al 2013, 150 milioni di acri di terra sono stati inghiottiti per sempre dalle città. Si tratta dell’8 per cento dei terreni coltivabili. Il risultato è che il mercato immobiliare cinese di oggi ha troppa offerta, è troppo caro e, sicuramente, è stato sovrastimato.
Urbanizzazione. Il cavallo di battaglia del premier Li Keqiang. Più megalopoli, metropoli e città. E tanta, tanta gente che lascia villaggi e campagne. Più consumatori e meno contadini, più terziario e meno produzione. È questo l’ambizioso l’obiettivo che si pone l’attuale leadership: 900 milioni di residenti urbani entro il 2025, 250 milioni in più rispetto a oggi. Significa che, se tutto andrà come previsto, per quella data un abitante della Terra ogni otto vivrà in città. Allora, se i calcoli del governo sono giusti, il mercato interno della Cina guiderà i consumi mondiali. Ma le case per i consumatori del futuro le hanno già cominciate a costruire da qualche anno. Un dato ormai noto, ma che sempre sconvolge: nel biennio 2011-2012 la Cina ha prodotto più cemento di quanto abbiano fatto gli Stati Uniti in tutto il Ventesimo secolo.

Centri storici distrutti e ricostruiti, periferie metropolitane sempre più vaste e, sopratutto, piccoli centri urbani trasformati in città. Sì, perché sempre nel 2011 c’è stato un interessante cambio di tendenza. Per la prima volta sono stati più i lavoratori migranti che hanno trovato lavoro nelle principali città della loro regione che non quelli costretti ad andare molto lontano, nelle metropoli o nelle città costiere. Per le terre lontane dai centri nevralgici della nazione significa poter muovere denaro e occupazione. E le autorità locali, che devono raggiungere gli obiettivi che il governo centrale gli impone senza per questo ricevere aiuti economici, non si sono lasciate sfuggire l’occasione. Così lo sviluppo immobiliare è stata una delle soluzioni preferite dai governi locali per fronteggiare il debito. Questi ultimi fanno cassa vendendo terreni ai cosiddetti sviluppatori immobiliari e poi appalti e indotto (e spesso mazzette) spingono i pil delle regioni che amministrano verso gli obiettivi stabiliti dalla lontana Pechino.

C’è un altro problema che i governi locali hanno brillantemente risolto. Dal 1996 al 2013, 150 milioni di acri di terra sono stati inghiottiti per sempre dalle città. Si tratta dell’8 per cento dei terreni coltivabili. Il governo oggi ha limitato drasticamente la percentuale di terre edificabili e la quantità di terreni a uso agricolo è vincolato da Pechino. Così si è cominciato a concentrare i cittadini in verticale. Un modo per far spazio ai palazzinari che costruiscono più abitazioni del necessario. Soprattutto complessi residenziali e di lusso che aumentano notevolmente il valore del lotto di terra originario. Il risultato sono le innumerevoli “città fantasma”, conglomerati urbani di recente costruzione nati in previsione della massa di popolazione che si dovrebbe trasferire in città. Molte di queste realtà non si sono mai riempite, e più passa il tempo e meno probabilità hanno di esserlo. Costruzioni tirate su in fretta e spesso con materiali scadenti che non hanno alcuna possibilità di durare nel tempo. Soprattutto se sfitte.

La più famosa città fantasma è quella di Ordos, nella Mongolia interna. È ancora lì dal 2010, pronta ad ospitare oltre un milione di persone. Ma quattro anni dopo sono abitati appena il 2 per cento degli edifici e sulla sua architettura futuristica tutta vetro e acciaio ormai si è posata la povere del deserto che circonda la città. Oggi il problema è ancora più evidente. Già sono in molti a dubitare che la Repubblica popolare raggiunga l’obiettivo che si era prefissato della crescita al 7,5 per cento. E anche il mercato immobiliare sta implodendo. Nelle cosiddette città di terza fascia, ovvero quelle che dovrebbero ospitare il nuovo ceto medio, quelle su cui si punta di più, l’invenduto delle recenti costruzioni sfiora il 15 per cento e si prevede che salirà al 20 nel biennio 2015-2016. Anche se non ci sono dati precisi, diversi analisti del settore hanno notato che molti di quelli che si erano trasferiti in queste new town sono tornati dei villaggi d’origine. Se le città rimangono deserte gli affari non vanno e il terziario non decolla.

Il mercato immobiliare cinese di oggi ha troppa offerta, è troppo caro e, sicuramente, è stato sovrastimato. L’Ufficio di statistica nazionale a luglio ha stimato che i prezzi delle case sono calati in 64 città sulle 70 esaminate. Sono i peggiori dati dal 2005, quando si è cominciato a registrare l’andamento del mercato immobiliare. La Cina del 2014 ha bisogno sopratutto di alloggi popolari ma, poiché la sua terra è stata dato in pasto ai palazzinari, negli ultimi anni ne sono stati costruiti troppo pochi. Dalle campagne continueranno a trasferirsi in città. Ma se i consumi non decollano nelle provincie più lontane dalla capitale, molti dei complessi residenziali costruiti rimarranno città fantasma. Con buona pace dei palazzinari.

[Scritto per il Fatto Quotidiano; foto credits: theconversation.com]