Tutti i media internazionali – nelle settimane scorse – hanno messo in evidenza l’abolizione della legge del figlio unico, come esito più rilevante per quanto riguarda l’ultimo Plenum del Partito comunista. In pochi, invece, hanno sottolineato questo punto, emerso nella lista degli obiettivi del prossimo piano quinquennale: «Raggiungeremo una pensione di base per tutti i dipendenti a livello nazionale».
Partiamo da quanto scrive il New York Times, unico quotidiano internazionale a sottolineare questa manovra: «La Cina prevede già le pensioni per molti dei suoi cittadini più anziani, ma il sistema è frammentato ed è messo a dura prova. I quattro decenni della politica del “figlio unico”, che è stata revocata in un’altra significativa dichiarazione politica dal plenum, hanno ingrossato le fila dei pensionati e ridotto il numero di adulti in età lavorativa disponibili per sostenerli».
In un altro punto il Pcc ha deciso anche di allargare l’assicurazione sanitaria a tutti: un altro strumento per aumentare la possibilità di spesa delle famiglie cinesi, elevando dal livello di povertà la parte rimasta indietro della popolazione.
Ma come funziona il sistema pensionistico cinese?
Come al solito in Cina esiste una forte differenza tra città e campagne. Seguendo sempre il ragionamento del Nyt, «nella struttura pensionistica attuale, esistono due categorie principali: in linea di massima, una è per i dipendenti delle imprese urbane e l’altra è più generale, copre i residenti rurali e quelli urbani. I lavoratori migranti nelle città, che contano più di 200 milioni di unità, che vogliono passare dal sistema urbano di nuovo al loro precedente sistema della città natale, quindi rurale, incontrano molte difficoltà o addirittura perdono il denaro versato nel loro fondo pensionistico urbano, anche se le revisioni delle regole nel 2014 ha cercato di migliorare questa situazione».
Il governo ha avviato un piano a lungo termine per “unire i percorsi” di questi sistemi per evitare questo problema, un punto sottolineato dalla dichiarazione del Plenum che vuole raggiungerlo “a livello nazionale”. Quindi uniformità, necessità di trovare le «coperture», come piace dire in Italia e forse aumentare l’età pensionabile. Una manovra socialmente ed economicamente non da poco, anzi.
Insomma ci sono da effettuare molte modifiche al sistema per ovviare ai malfunzionamenti: «In teoria, circa 800 milioni su oltre 1,3 miliardi della popolazione cinese ricevono o possono beneficiare di una pensione. Le pensioni per i dipendenti non statali variano ampiamente, dal più alto di 3.000 yuan al mese a Pechino ai soli 80 per gli agricoltori di alcune zone. Le pensioni dei funzionari sono generalmente superiori a quelli dei dipendenti non statali».
Negli ultimi giorni sono emerse novità, come una potenziale proposta per alzare l’età pensionabile. Oggi le donne cinesi – ad esempio – vanno in pensione a 50 o 55 anni e gli uomini a 55 o 60, a seconda che si tratti di lavoratori o impiegati. «L’età di pensionamento è inferiore per le donne, perché si prevede che si prendano cura dei nipoti e dei familiari anziani».
Ma in Cina, come in altri paesi, scrive la stampa internazionale, «l’età pensionabile è una questione delicata; molte persone non sono contente all’idea che potrebbero dover lavorare più a lungo per contribuire a pagare l’espansione dei piani pensionistici del governo».
[Scritto per East; Foto credits: studentblogs.org]