Cina, parola d’ordine stabilità. Crisi immobiliare, transizione energetica, rettificazione delle piattaforme digitali, strategia zero Covid, la marcia verso il terzo mandato di Xi Jinping. Queste le sfide più importanti per la Cina nel 2022. L’articolo fa parte dei contenuti selezionati (2° posto) come parte dell’essay competition organizzata da China Files in collaborazione con Hikma, associazione studentesca dell’Università di Bologna. Oltre alla pubblicazione del contenuto, i vincitori hanno ricevuto agevolazioni alla partecipazione della China Files School: edizione 2022
L’evento politico più importante per la Repubblica Popolare Cinese nel 2022 sarà il XX Congresso del Partito comunista che si terrà a novembre. E’ altamente probabile che in quest’occasione il Presidente Xi Jinping sia riconfermato per un terzo mandato come Segretario Generale, rompendo con la pratica trentennale che si riteneva ormai consolidata del limite dei due mandati. A questo si aggiungeranno notevoli cambiamenti nella configurazione dei più importanti organi del Partito, che vedranno l’ascesa di figure politicamente molto vicine a Xi e dunque un ulteriore rafforzamento della sua leadership.
Sarà indubbiamente questo evento a determinare l’approccio di Pechino nel corso dell’anno per quanto riguarda questioni di politica sia interna che esterna. E’ infatti più probabile che importanti riforme socio-economiche, seppur già annunciate da tempo con slogan come ‘prosperità comune’, ‘dual circulation’ e ‘Made in China 2025’, vengano portate avanti con più vigore solo una volta che Xi si sarà assicurato definitivamente un posto stabile alla guida dell’apparato politico del Pcc. La parola d’ordine sarà dunque stabilità, nonostante le sfide che Pechino si trova ad affrontare quest’anno siano numerose e complesse.
La variante Omicron al momento sta mettendo a dura prova la strategia ‘zero-Covid’ adottata fino ad ora. I nuovi focolai vengono spenti il più velocemente possibile grazie a chiusure localizzate e tracciamenti a tappeto, ma l’alta trasmissibilità della variante rende questo approccio difficilmente sostenibile. Nonostante la Cina possa ancora vantare un numero di vittime infinitamente minore rispetto a molti altri Paesi, l’efficacia limitata dei vaccini Sinovac e Sinopharm, con i quali è stato vaccinato quasi il 90 per cento della popolazione, potrebbe non rivelarsi sufficiente nel caso si decida di abbandonare la strategia ‘zero-Covid’ e si allentino le rigide restrizioni. Allo stesso tempo, tuttavia, chiusure inaspettate e sempre più frequenti rischiano di mettere a dura prova il consenso dell’opinione pubblica e la ripresa economica già precaria. Molto dipenderà da un eventuale successo nel contenimento dei contagi durante le Olimpiadi Invernali di Pechino, che legittimerebbe il prolungamento della strategia almeno fino alla conclusione del XX Congresso. Solo a quel punto Pechino potrebbe cominciare a considerare un allentamento delle restrizioni, preparando la popolazione attraverso una propaganda sulla minore rischiosità della variante Omicron. Inoltre, come fa notare un articolo del Center for Strategic and International Studies, a differenza di due anni fa, in questo caso Pechino può permettersi di indicare l’Occidente come causa dell’aumento dei contagi interni.
Le minacce alla crescita economica dell’economia cinese, seppur esacerbate dalla pandemia, rimangono endemiche al sistema. Pechino è da tempo impegnato nel promuovere una transizione dell’economia nazionale da un modello basato su forti investimenti nell’industria manifatturiera ed export a uno alimentato da consumi interni e settore terziario. Il Covid-19 ha rallentato questa tendenza, senza tuttavia arrestarla. Xi ha infatti rilanciato il piano di ristrutturazione economica attraverso strategie quali la ‘dual circulation’ e la ‘prosperità comune’. E’ chiaro però che queste politiche richiedano cambiamenti strutturali che potrebbero essere altamente destabilizzanti, soprattutto in vista del XX Congresso. Come fa notare Alicia García Herrero in un articolo pubblicato da ISPI, dato che la risposta alla pandemia ha finora prodotto stimoli fiscali e monetari relativamente moderati, Pechino si trova ad avere un spazio di manovra abbastanza ampio per continuare a supportare la crescita economica nel 2022 senza perseguire politiche di ristrutturazione più radicali, almeno fino a novembre.
Questa prudenza, tuttavia, non esclude che alcuni settori continuino a subire le pressioni del Pcc. In particolare due settori, quello immobiliare e quello dei giganti del bit tech potrebbero non beneficiare della moderatezza di Pechino nei prossimi mesi. Per quanto riguarda il primo settore, come sottolinea Alessia Amighini, il governo è consapevole che un crollo del mercato immobiliare avrebbe ripercussioni devastanti sui mercati finanziari, e dunque l’intervento statale in quest’ambito continuerà probabilmente a intensificarsi nel corso del 2022. Il governo, per esempio, è già coinvolto nel risk management committee di Evergrande che si pone proprio l’obiettivo di ristrutturare il debito della compagnia, sottolineando la tendenza a intervenire direttamente nella gestione della crisi da parte di Pechino. Nel caso del settore dei big tech, invece, è probabile che il governo cinese, seppur senza intromettersi in modo diretto nell’assetto aziendale come nel caso di Evergrande, continuerà a mettere sotto pressione le aziende affinché si allineino agli obiettivi di stato. Il cosiddetto ‘crackdown’ iniziato nel 2021 si protrarrà nel nuovo anno portando nuove regolamentazioni nel mondo digitale e toccando tematiche come il diritto dei lavoratori e la protezione dei dati.
La ripresa economica post-pandemia sarà ulteriormente complicata dalla necessità di continuare sulla strada della transizione energetica, portando avanti gli impegni presi da Pechino alla vigilia e durante la COP26 di Glasgow. Per preservare la propria legittimità a livello internazionale ma soprattutto nazionale, questa ripresa dovrà necessariamente essere improntata alla sostenibilità ambientale. Come analizza Ma Tianjie su China Dialogue, il Pcc dovrà destreggiarsi tra il bilanciare la grande richiesta di energia, anche a seguito della crisi energetica fronteggiata lo scorso autunno, con il rispetto di standard ambientali sempre più alti. Al di là degli ambiziosi target dichiarati, l’assenza di dettagli riguardo alle fasi della transizione energetica del paese permette comunque un certo margine di flessibilità nell’attuare queste riforme.
La complessità di queste sfide interne rivela chiaramente come l’attenzione della Cina nel corso del prossimo anno sarà concentrata soprattutto su se stessa, lasciando meno spazio a Pechino per le questioni di politica estera. Il prolungamento della chiusura delle frontiere, giustificato anche dalla diffusione della variante Omicron, non farà altro che esacerbare questa tendenza. Le occasioni per tenere incontri diplomatici rimarranno limitate a scambi virtuali, con la particolare eccezione dei colloqui che il Presidente Xi ha l’occasione di tenere durante le Olimpiadi Invernali. Come riassume un’analisi del MERICS, nonostante questo relativamente inferiore interesse per le questioni internazionali, difficilmente Pechino adotterà posizioni più rilassate per quanto riguarda dossier di politica estera che ritiene possano minare la legittimità di Xi e del Partito in vista del XX Congresso. E’ dunque ragionevole immaginare che perdurerà l’assertività cinese su tematiche come Taiwan, il Mar Cinese Meridionale o la disputa commerciale con gli Stati Uniti. Sebbene scontri diretti rimangano altamente improbabili, la battaglia ideologica di Pechino a difesa del suo modello potrebbe invece intensificarsi.
Le sfide che Xi Jinping e il Pcc dovranno affrontare nel corso del 2022 metteranno a dura prova la resilienza del sistema politico cinese. Nonostante le strategie adottate in ambito economico, sanitario, ambientale e diplomatico differiscano indubbiamente tra loro, la parola chiave rimane stabilità. Quest’anno servirà ancora come periodo di assestamento, che permetterà a Xi di consolidare in maniera definitiva il suo potere e di legittimare ulteriormente quello del Partito agli occhi della popolazione. Per quanto complesse, le sfide attuali non reggono il paragone con quelle che Pechino dovrà affrontare una volta conclusosi il XX Congresso, che potrebbe aprire una fase di importanti riforme strutturali. Tuttavia, se il 2022 ci sembra un anno particolarmente difficile per Xi, non dobbiamo dimenticare come ad esempio la situazione ad Hong Kong, fino a pochi mesi fa considerata una grave minaccia alla stabilità interna, sia oggi ormai normalizzata, in particolare dopo le elezioni tenutesi a dicembre con la nuova legge elettorale. Come afferma Pechino stessa, è infatti innegabile che il Pcc oggi sia più potente e capace che rispetto a qualsiasi altro momento nei suoi cent’anni di storia.
Di Chiara Capitanio