Polemiche per la visita del cancelliere dello Scacchiere britannico nella regione dell’estremo Occidente cinese, teatro di un conflitto etnico-sociale irrisolto. Mentre la Gran Bretagna si porta avanti sul piano della concorrenza globale, sdogana di fatto le politiche di Pechino nell’area, nonché il modello cinese di risoluzione dei conflitti. Almeno cinquanta persone sarebbero morte nei giorni scorsi per un attacco all’arma bianca in una miniera di carbone dello Xinjiang, la regione occidentale cinese dove vive l’etnia a maggioranza musulmana degli uiguri. Gli attentatori avrebbero preso di mira il dormitorio dell’impianto, uccidendo tutti i lavoratori, in maggioranza han, che vi si trovavano. L’ha riportato Radio Free Asia, secondo cui tra le vittime ci sarebbero anche cinque agenti di polizia, mentre molti degli assalitori sarebbero riusciti a fuggire sulle montagne, portandosi via le armi dei poliziottii.
L’attacco è avvenuto il 18 settembre nei pressi di Aksu un centro che costeggia il lato nord del deserto del Taklamakan, antica stazione carovaniera sulla Via della Seta. Secondo le autorità, sarebbe stato opera di “separatisti” – come da copione – che l’hanno pianificato “su larga scala” e, nel compierlo, si sarebbero anche impossessati di parte della dinamite utilizzata di solito dai minatori; circostanza, però, non verificata.
È in questo contesto di perdurante e semi-dimenticato conflitto etnico che, per la prima volta da anni, una delegazione governativa di un Paese occidentale – il Regno Unito – si è recata nei giorni scorsi proprio in Xinjiang, guidata dal cancelliere dello Scacchiere, George Osborne.
Fungendo da ministro dell’Economia, Osborne è andato in Xinjiang per giocare d’anticipo sulla concorrenza e intercettare le opportunità di business che si presentano con il grande rilancio della regione promosso dal governo cinese. Si parla soprattutto di costruzioni e infrastrutture, perché proprio lo Xinjiang è l’hub da cui si dirama il grande progetto di rinnovata Via della Seta voluto da Pechino.
È un apripista, Osborne. Compiendo il suo tour, ha però anche legittimato le politiche cinesi nella regione; e pure il modello di risoluzione dei conflitti tanto caro a Pechino.
Di cosa stiamo parlando? Del fatto che, applicando un principio compiutamente materialista, la leadership cinese ritiene che lo sviluppo economico diffuso sia l’antidoto migliore ai conflitti di ogni tipo: offri benessere e rimuoverai le ragioni stesse delle violenze.
Violenze regionali, nel caso dello Xinjiang, ma la Cina applica il principio anche a livello globale. È un vero e proprio assunto della politica estera di Pechino, quella incentrata sul modello win-win: se c’è sviluppo economico, vincono tutti; e i conflitti si acquietano gradualmente, quasi automaticamente.
Certo, il presidente Xi Jinping ha appena promesso di aggiungere 8mila cinesi agli effettivi di peacekeeping Onu, l’interposizione muscolare è una extrema ratio necessaria.
Ma se è vero che la Cina si sta assumendo sempre maggiori responsabilità nelle missioni umanitarie sotto l’ombrello delle nazioni Unite, il paradigma che guida Pechino, l’idea portante, è sempre quello che identifica il benessere materiale con la pace.
Un pensiero forte, coerente, ma parecchio controverso, come dimostra proprio la situazione del Far West cinese.
L’obiezione che la stampa d’Oltremanica sta in questi giorni sollevando a Osborne è la seguente: era proprio il caso di andare in Xinjiang?
La delegazione britannica ha risposto di avere “privatamente” sollevato con i cinesi la questione dei diritti civili – Osborne ha in seguito precisato alla BBC di averlo fatto nel contesto dello “sviluppo economico, [chiedendo] come possiamo aiutare i bambini dalle aree povere della Cina” – ma critiche arrivano da Amnesty International, mentre i media ricordano il caso di Ilham Tohti, l’intellettuale uiguro condannato all’ergastolo per separatismo giusto un anno fa.
Il punto è che la Gran Bretagna intende far diventare la Cina il proprio maggiore partner commerciale entro il 2025, mentre Londra ha ottime possibilità di imporsi come principale piazza finanziaria offshore dove si compie l’internazionalizzazione del Renminbi.
Va inoltre ricordato che furono le stesse autorità britanniche ad aderire per prime alla Banca Asiatica delle Infrastrutture e degli Investimenti a guida cinese, rompendo il fronte dei fedeli alleati degli Stati Uniti – e la special relationship con Washington – e trascinando con sé Germania, Francia e Italia.
È stato proprio Osborne a proporre ai cinesi un itinerario che lo portasse anche in Xinjiang e si è detto convinto che l’engagement – come lo chiama lui – sia più utile della contrapposizione, anche in materia di diritti umani.
Il Global Times – quotidiano nazionalista cinese – ha plaudito all’atteggiamento mantenuto durante il suo tour dal cancelliere dello Scacchiere: “Alcune figure occidentali – si legge – vorrebbero puntare il dito con arroganza contro la situazione dei diritti umani in Cina. Osborne si è comportato come dovrebbe fare ogni funzionario di un Paese civile, dandoci la sensazione che il suo Paese rispetti il galateo”.