Lo scontro commerciale tra Cina e Usa comincia a fare i primi danni e a subirli, però, non è un’azienda cinese, bensì la Apple.
I dazi di Trump, sospettati di essere una sorta di mitragliata sui propri piedi, hanno indebolito l’economia cinese in modo ancora minimo, per ora, ma sufficiente per creare qualche scompiglio e qualche preoccupazione.
Detto che secondo la maggior parte degli osservatori la tregua sui dazi tra Usa e Cina è debole e un eventuale ritorno a nuove misure da parte americana non sarebbe ancora lo scenario peggiore, un team cinese guidato da Wang Qishan, fedele alleato di Xi Jinping, sarà al meeting di Davos dove sicuramente partiranno trattative a margine con la controparte americana. Nel frattempo, rimangono sul campo i primi effetti della guerra commerciale.
Il calo delle vendite di Iphone, Ipad e Mac ha portato Apple a tagliare le stime di crescita con tutte le conseguenze che questo comporta.
Tim Cook, in una lettera agli investitori, ha scritto che la compagnia prevede un fatturato di circa 84 miliardi di dollari per il trimestre conclusosi il 29 dicembre.
Precedentemente la società aveva dichiarato che le entrate sarebbero state comprese tra gli 89 e i 93 miliardi di dollari. Nella sua lettera agli investitori Tim Cook ha dimostrato di conoscere molto bene l’economia cinese e il suo andamento, visto che ha sottolineato come il recente calo della crescita – a «solo» il 6,5% – sia il peggiore negli ultimi 25 anni di inarrestabile crescita cinese.
Cook ha detto che Apple ha anticipato le sfide nei principali mercati emergenti, ma non si aspettava l’entità della decelerazione economica, specialmente in Cina. La contrazione del mercato degli smartphone della regione è stata particolarmente forte, ha affermato.
In Cina alcuni indicatori indicano incertezze nei consumatori in generale, ma il mercato degli smartphone è in difficoltà anche per altri motivi: alla generale saturazione del mercato, in Cina sembra che i potenziali acquirenti aspettino ormai il 2020 e il 5G per acquistare nuovi dispositivi.
Questo andamento lento non è una novità. Tutti presi a seguire l’agenda di Xi Jinping, il numero uno cinese, ci si è infatti dimenticati dell’impatto delle sanzioni americane sull’economia cinese e di conseguenza mondiale. Pechino, di recente, ha infatti scelto una linea molto chiara, ovvero ignorare la guerra commerciale.
Xi Jinping tanto nel suo discorso di fine d’anno, quanto in quello recente in relazione a Taiwan, è parso stuzzicare il ritorno di un nazionalismo strisciante, decidendo di non parlare di numeri economici e limitandosi a garantire che le riforme arriveranno e che tutto andrà bene.
Ma sulla stampa internazionale sono presto trapelate le parole di ammonimento dell’amministratore delegato di Baidu, una delle «grandi» tra le e-company cinesi, Robin Li Yanhong, secondo il quale «l’inverno sta arrivando».
Nella lettera di inizio anno mandata ai dipendenti, ha sottolineato difficoltà attuali e possibilità future, indicando nell’Intelligenza artificiale la possibile «uscita» dalla palude creata dalle sanzioni (Baidu sta investendo moltissimo nelle driverless car). Analogo discorso è arrivato addirittura dal Global Times, quotidiano su posizioni sdraiate ai dettami del Pcc. Il giornale nazionalista ha specificato che «il problema chiave è come far diventare scoperte rivoluzionarie come l’esplorazione lunare, un nuovo motore per guidare la crescita economica. La Cina è diventata ormai una potenza tecnologica emergente».
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.