Solo l’anno scorso Xiaomi era una marca relativamente poco conosciuta della telefonia mobile. Ma nel primo quarto del 2014 ha superato Samsung e Lenovo nelle vendite di smartphone diventando leader nel mercato a più forte tasso di espansione del mondo. Quello cinese. In un anno è cresciuta del 240 per cento e ha preso il 14 per cento del mercato cinese diventando la quinta azienda a livello mondiale per produzione di smartphone.
Il fondatore e direttore esecutivo Lei Jun ha poco più di quarant’anni ed è soprannominato lo Steve Jobs della Cina. E questo soprannome non gli dispiace anche se, come ha puntualizzato in più di un’occasione, “se Jobs fosse vissuto in Cina non avrebbe avuto successo. Jobs era un perfezionista scrupoloso, ma la cultura cinese è quella che apprezza il giusto mezzo”.
La sua agiografia narra che nel 1987 sarebbe stato folgorato dalla lettura di una biografia di Steve Jobs. “Sono stato fortemente influenzato da quel libro ha dichiarato in un’intervista – e ho voluto creare un’azienda di prima classe”. Ma la sua Xiaomi, non sarà mai uguale alla Apple. “I nostri media mi dipingono spesso come lo Steve Jobs cinese e io lo prendo come un complimento. Xiaomi e Apple però sono due aziende completamente diverse. Xiaomi è basata su Internet, non facciamo la stessa cosa di Apple”. E in effetti Xiaomi ha scelto percorsi differenti nel brand, nel marketing e nella strategia di vendita.
Fondata solo nel 2010, ha lanciato il suo primo modello di smartphone solo nell’ottobre dell’anno successivo. Invece di giocare sulla quantità, Xiaomi ha scelto di vendere online e a piccoli stock. Un modo per tenere alta l’attenzione sull’uscita dei prodotti. Con questa strategia a fine 2012 aveva già conquistato le prime pagine della stampa internazionale: il lotto del nuovo modello lanciato il 30 ottobre di quell’anno era composto da 50mila cellulari. Tutti venduti nei primi due minuti. E da allora, anche partite con un numero di esemplari più elevato, sono sempre state sold out in pochi minuti.
Come per la Apple delle origini, il suo punto di forza è un software particolare (Miui, una versione Android), ma il sistema operativo non rimane statico nel tempo. I clienti Xiaomi, che tra loro si chiamano ‘i fan di Mi’, suggeriscono modifiche e arricchimenti in continuazione. E, sulla base di questi suggerimenti, Xiaomi rilascia una nuova versione del sistema operativo ogni venerdì. Appuntamento che coinvolge e esalta i suoi fan.
Un altro suo punto di forza è il prezzo. I suoi modelli costano pressapoco quanto costano i materiali e l’assembramento. Ma ogni modello rimane in commercio per un anno e mezzo circa, un lasso di tempo necessario a far scendere ancora di più il prezzo dei materiali. Per far cassa, l’azienda si è concentrata sulle applicazioni, i giochi e servizi internet a misura di cliente. E per pubblicizzarsi, l’azienda organizza eventi e festival. Lei Jun, che di carisma ne ha da vendere, li anima unendo assieme le sue doti di venditore e di guru. E questo ha a sua volta contribuito a diffondere il marchio e tenere alta l’attenzione dei media.
L’anno scorso l’azienda ha compiuto un altro passo estremamente importante. Ha assunto un importante dirigente della sezione Android di Google, Hugo Barra. È stato quest’ultimo a trovare all’azienda nuovi partner e l’occasioni di aprirsi a mercati differenti da quello cinese. Ne hanno annunciato dieci, tra cui Malaysia, Filippine, India, Indonesia, Brasile e Turchia.
E la sua giovinezza rischia di mettere n discussione posizioni dominanti che sembravano inarrivabili come quelle di Samsung e Lenovo. D’altronde, come ha dichiarato Lei in un intervista, “la nazionalità non può essere applicata alla telefonia mobile. Noi progettiamo per il mercato globale”.
[Scritto per il Fatto Quotidiano]