Al via il Plenum del Pcc. A parte le solite indiscrezioni non sapremo nulla fino al giorno della sua chiusura, giovedì prossimo, quando un comunicato ufficiale uscirà su tutti gli organi di stampa cinese. In questi quattro giorni verrà discusso il difficile piano quinquennale che guiderà la "nuova normalità" cinese fino al 2020 e cominceranno ad essere discusse le sostituzioni al vertice da effettuare per il secondo mandato del presidente. Storicamente i plenum sono stati teatro di decisioni epocali che hanno cambiato il corso della storia della nazione.
Sono cominciati ieri quattro giorni di meeting per gli oltre duecento membri del Comitato Centrale del Partito comunista cinese. È il plenum, che tradizionalmente svolge due compiti: primo, approva le politiche già delineate dai vertici, cioè da quei leader che assommano in sé le maggiori cariche sia del Partito, sia dello Stato; secondo, determina i rimpasti all’interno del Partito comunista più grande e potente del mondo. Gli esiti di questa mega riunione a porte chiuse saranno resi noti giovedì, ma tra le novità attese quest’anno c’è soprattutto il varo del 13esimo piano quinquennale – 2016-2020 – quello che dovrà sancire la definitiva transizione della Cina da economia industriale a economia avanzata. Storicamente i plenum sono stati teatro di decisioni epocali che hanno cambiato il corso della storia della nazione.
Nel plenum del 1959, Peng Dehuai, allora ministro della Difesa ed eroe della Guerra di Corea, venne epurato. Una mossa che segnalò un aumento di potere personale del presidente Mao Zedong. Due decenni più tardi, nel 1978, il plenum mise la Cina sulla strada per aprire la sua economia al commercio internazionale e segnò il passaggio da una economia pianificata a una maggiore dipendenza dal mercato. Un plenum straordinario nel giugno 1989 ha destituito ufficialmente il segretario generale del partito , Zhao Ziyang, il quale aveva rotto con il leader supremo, Deng Xiaoping, e altri anziani del partito sul modo migliore per gestire le proteste degli studenti in piazza Tiananmen.
Nel plenum di quest’anno è prevista una nuova rivoluzione per l’economia cinese. Da un modello basato su investimenti e manifatture votate all’export, si vuole passare a un sistema più evoluto, sostenibile, fondato sui consumi interni di quella che dovrebbe diventare la gigantesca classe media cinese. La parola d’ordine diventa quindi “qualità” e il segno di questa trasformazione si è avuto per esempio nel recente viaggio di Xi Jinping nel Regno Unito, dove gli annunciati 30 miliardi di sterline (41 miliardi di euro) di investimenti cinesi non saranno più destinati solo ai tradizionali settori dell’immobiliare e della finanza, bensì anche a industrie creative, commercio, salute e benessere, nuove tecnologie, settore aerospaziale, istruzione. Nel nuovo modello cinese, il trasferimento di tecnologie occidentali è fondamentale e gli investimenti/acquisizioni all’estero sono da questo punto di vista il grimaldello per aprire la porta dell’innovazione.
Sarà inoltre promossa una sempre maggiore internazionalizzazione del Renminbi come valuta di scambio e di riserva alternativa al dollaro. Voci raccolte da Reuters tra insider del Fondo Monetario Internazionale confermano che la divisa cinese sarà inserito a novembre nel paniere di valute che compongono i “diritti speciali di prelievo”, cioè la supermoneta che regola i cambi all’interno del Fmi. Non è solo un riconoscimento formale dei risultati conseguiti dall’economia cinse, ma un passo ulteriore proprio verso l’internazionalizzazione del Renminbi. Anche la svalutazione controllata messa in atto la scorsa estate dalla People’s Bank of China – letta da alcuni come risposta alle turbolenze borsistiche – è in realtà inquadrabile in questo processo.
Il plenum sancirà anche il fatto che la crescita rallenterà e nei prossimi cinque anni si aggirerà tra il 6,5 e il 7 per cento. È il “nuovo normale” (xin changtai) un termine coniato per rassicurare gli animi dei cinesi – e degli investitori internazionali – abituati a ritmi di crescita a doppia cifra nell’ultimo trentennio. Una nuova tornata di ispezioni disciplinari è stata decisa venerdì scorso e prenderà di mira il sistema finanziario cinese, accusato di creare bolle speculative, accumulare miliardi di crediti inesigibili e favorire feudi personali. Si va dalle agenzie governative che regolano la materia finanziaria, alle principali banche di Stato cinesi, passando per la stessa People’s Bank of China, la banca centrale. Un totale di 31 istituzioni verranno passate al setaccio dagli uomini di Wang Qishan, lo “sbirro” implacabile a capo dell’agenzia anticorruzione, fedelissimo di Xi Jinping nonché esperto di economia.
Il che ci porta direttamente ai rimpasti all’interno del gruppo dirigente, che dovrebbero aumentare la presa di Xi sull’apparato. Oltre la metà dei membri del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (Pcc) eletti durante il 18° Congresso Nazionale del CPC nel 2012 sono stati spostati in posizioni diverse o sono stati rimossi dai loro posti di lavoro attuali prima della quinta sessione plenaria del PCC. Un rimpasto estremamente raro nella storia del Pcc che probabilmente vuole garantire un solido inizio al nuovo piano quinquennale. Per questo motivo, pare si stia addirittura studiando una modifica del regolamento per non far andare in pensione lo stesso Wang – che ha 67 anni – così utile nella sua opera di liquidazione dei vecchi boiardi di Stato. Il prossimo congresso del partito si terrà infatti a fine 2017, e il primo plenum, che avrà luogo subito dopo il congresso, selezionerà il prossimo Politburo, il gruppo di circa 25 persone che sono al vertice del potere in Cina. Probabilmente, come osserva lo statunitense Bill Bishop, il fatto che di recente Xi Jinping abbia allegramente viaggiato negli Usa e in Gran Bretagna invece di starsene a Palazzo per parare – e tirare – coltellate, rivela una certa tranquillità del lider maximo. Giovedì prossimo ne sapremo di più.