I media statali cinesi stanno preparando il terreno per il Sesto Plenum del Pcc che comincerà lunedì 8 novembre. Allo stesso tempo, seppure con molto tatto, stanno registrando alcune insofferenze della popolazione cinese per una situazione interna carica di tensioni.
L’appuntamento del Partito è preparato con documenti che lasciano intendere una definitiva consacrazione di Xi Jinping alla stregua di Mao e Deng, attribuendogli anche la battaglia contro il Covid come una sorta di merito «militare» così da dotare anche l’attuale leader di una vittoria come fu quella rivoluzionaria per Mao e Deng. Ma proprio la pandemia comincia a essere un problema, considerando la politica «Covid-zero» applicata dalla Cina.
Le chiusure sono continue, improvvise e cominciano ad affaticare una popolazione che richiede una «convivenza» con il virus senza più snaturare la propria esistenza. Bastano pochi contagi per chiudere intere città, spostare eventi, barricare luoghi o fermare in corsa treni ad alta velocità.
Nonostante la strenua difesa della policy cinese anche da parte degli esperti e di alcuni media più nazionalistici, i segnali di poco gradimento per le scelte della dirigenza cominciano a trovare spazio sui quotidiani e sui social.
Caixin, rivista considerata dall’amministrazione americana e da Twitter «un media di stato cinese» ha ospitato di recente un articolo nel quale viene ricordato il numero crescente di casi di persone che devono affrontare procedimenti penali per aver violato le normative: chi è letteralmente scappato dal proprio compound, chi ha riattaccato il telefono agli operatori delle indagini epidemiologiche, chi ha reagito violentemente ai controlli.
Per questo, conclude l’articolo, «ciò di cui abbiamo bisogno sono politiche più attente e scientificamente fondate, anziché improvvisazioni. Inoltre, dovremmo diffidare delle politiche che sembrano esaurienti, ma non realizzano nulla di pratico. Se la politica è inefficace, i responsabili dovrebbero assumersi la responsabilità. Altrimenti prima o poi arriverà a piccola falla che affonda la grande nave».
A questo si somma una sorta di isteria propagatasi a un annuncio, nei giorni scorsi, da parte del ministero del commercio nel quale veniva invitata la popolazione a fare scorta di cibo a causa delle alluvioni e dei lockdown.
In tanti hanno pensato si trattasse di un chiaro segnale di un imminente conflitto con Taiwan. O ancora: si sono registrate proteste per l’aumento dei prezzi dei beni alimentari, il razionamento della benzina, i black out energetici e le preoccupazioni di chi sta soffrendo le «campagne» lanciate dalla dirigenza: lavoratori che si ritrovano senza impiego dopo i tagli ai servizi del doposcuola o le multe alle aziende tecnologiche. In questa situazione non poteva mancare uno scandalo che finirà per alimentare letture complottiste e accendere, forse, nuovi scontri politici: l’ex tennista Peng Shuai, in un lungo post su Weibo subito censurato, ha accusato il vicepremier ed ex membro del comitato permanente Zhang Gaoli di aggressione sessuale.
Secondo Emily Feng – di Npr – si tratta dell’accusa più clamorosa del MeToo cinese. Per Bill Bishop – curatore della newsletter Sinocism – oltre a trattarsi di accuse pesanti, citando pubblicamente Zhang, in pensione ma considerato anche un alleato storico di Jiang Zemin, il post di Peng «senza dubbio stimolerà ogni sorta di teorie della cospirazione sul perché queste accuse siano uscite ora». Ovvero poco prima del Plenum che lancerà Xi Jinping verso il terzo mandato e che lo ergerà a nuovo timoniere della Cina.
Di Simone Pieranni
[pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.