Due giorni di dibattito per promuovere l’agenda che Pechino si è posta in tema di economia a basse emissioni, urbanistica, sviluppo sostenibile e tutela dell’ambiente. Favorire l’attuazione delle politiche ecologiste nelle province, diffondere la sensibilità ambientalista presso la popolazione. E 600 miliardi di euro per sostenere le nuove imprese che operano nel settore del risparmio energetico.
Shenzhen – Organizzato dalla Municipalità di Shenzhen col patrocinio della Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo (NDRC), il secondo China National low-carbon day ha l’obiettivo di ribadire un messaggio: la Cina ha imboccato con decisione la via della lotta al climate change. Così esponenti del governo cinese, sindaci, rappresentanti di diplomazie e agenzie intergovernative, accademici, professionisti, rappresentanti delle industrie e delle banche, si sono riuniti, la scorsa settimana, nel centro congressi dell’International Low-Carbon City di Shenzen.
Situato nel distretto di Longgam, l’ILCC è un progetto pilota di smart city. Un’area di 53 km quadrati costruita secondo i criteri dello sviluppo sostenibile: utilizzo razionale del territorio, costruzioni ispirate ai principi del risparmio energetico, impiego di fonti energetiche rinnovabili e di materiale riciclato. Una città a emissioni zero. L’ILCC è solo il gioiello più vistoso di una città che rappresenta la vetrina della nuova Cina ambientalista, secondo un modello di sviluppo che Pechino vorrebbe realizzare per il futuro dell’intero paese: crescita e rispetto dell’ambiente.
Da periferico villaggio di pescatori,Shenzhen in 30 anni è diventata una megalopoli, centro industriale e tecnologico, terzo porto nel mondo per container manovrati e una densità di popolazione addirittura maggiore della vicina Honk Kong. Ma le scelte delle basse emissioni e della coerente pianificazione urbanistica hanno garantito alla città una qualità della vita da primato: superifcie del verde pari al 45 per cento del territorio, 324 giorni all’anno di aria pulita nel 2013, consumo energetico e di acqua tra i più bassi di tutta la Cina. Il tutto con una crescita del pil del 120 per cento tra il 2005 e il 2011, favorita dallo status di zona economica speciale.
Le direzioni lungo cui il governo cinese persegue i suoi obiettivi sono molteplici e prevedono l’intervento diretto del governo, la collaborazione con amministrazioni locali, agenzie internazionali, progetti e studi con governi esteri, il coinvolgimento delle università. Xie Zhenhua, vice presidente della NDRC, in apertura ha sottolineato la volontà della Cina di essere in prima fila nella lotta ai cambiamenti climatici e alle riduzioni dei gas serra.
“L’ inquinamento che affligge le città cinesi, fenomeni climatici estremi come inondazioni e ondate di calore, l’aumento delle temperature medie, sono segnali di una situazione che va affrontata con decisione e che il governo sta già affrontando”. Tuttavia “la Cina deve trovare anche un giusto equilibrio tra le esigenze di crescita e tutela dell’ambiente”, con il paese che è allo stesso tempo il maggior emissore di gas serra e anidride carbonica e il maggior investitore nelle energie rinnovabili.
Lyu Yanhua, consigliere del Consiglio Nazionale, massimo organo esecutivo cinese, conferma: “la scelta low carbon per la Cina è strategica e funzionale al risparmio energetico. Dipendiamo ancora dal carbone e nel 2013 abbiamo importato il 60% del petrolio e il 30% del gas naturale. Nel 2020 scenderemo al 40% di import petrolifero e saliremo al 50% per il gas naturale, altra risorsa di cui la Cina scarseggia. Il passaggio al gas naturale è positivo ma se il suo prezzo dovesse aumentare potremmo trovarci in difficoltà. Dobbiamo dunque diversificare le fonti di produzione e sviluppare le energie rinnovabili. Esse presentano costi di produzione ancora elevati, ma lo sviluppo della tecnologia consentirà la loro riduzione, siamo fiduciosi”.
Nel frattempo Pechino ha stanziato fondi per una cifra pari a 600 miliardi di euro fino al 2020 per sostenere le nuove imprese che operano nel settore del risparmio energetico. Solo per il periodo che va dal 2013 al 2018, il budget destinato al miglioramento dell’aria e delle acque è pari al doppio di quello destinato alla difesa militare. Il governo conferma le sue intenzioni di varare riforme che favoriscano un maggior afflusso di capitali esteri verso il settore del low-carbon.
Nel forum “finanza verde” è emerso come il sistema finanziario cinese resta troppo dipendente dalle banche, che puntano più sugli interessi da deposito che sugli investimenti, col risultato che le imprese di stato o di grandi dimensioni hanno maggiore accesso al credito, laddove le medie o piccole imprese, che pur rappresentano la maggior percentuale di stakeholders ne escono penalizzate.
Al contrario, un maggiore intervento dello stato è richiesto per implementare il quadro giuridico di riferimento: il rappresentante del Fondo per la Difesa dell’Ambiente, Daniel Dudek, spiega che “le aspettative della comunità internazionale verso la Cina riguardano non solo le misure che il governo può adottare per favorire il risparmio energetico da parte delle industrie già attive, ma anche, e soprattutto, quelle necessarie per attrarre nuovi investitori, garantendo certezza delle regole, trasparenza, controlli, certificazioni e sanzioni”.
Uno strumento di successo come i bond verdi, le obbligazioni volte a finanziare gli investimenti nell’ambiente, pur se in rapida crescita, resta ancora sottoutilizzato, se confrontato con altri paesi, anche per la non precisa definizione di cosa rappresenti un progetto ambientale. Non sono mancati casi di speculatori che si sono inseriti nelle pieghe dei regolamenti riuscendo a ottenere fondi per scopi ben poco attinenti all’ambiente. Ciò può scoraggiare potenziali investitori.
Il governo può vantare buoni risultati sul piano del coinvolgimento delle amministrazioni locali, che in diversi casi hanno sposato la causa ambientalista con entusiasmo e hanno avviato proficue collaborazioni con imprese, enti di ricerca, agenzie intergovernative, città o rappresentanze diplomatiche.
Le imprese dei paesi più avanzati che operano nella green economy, sono attratte da un mercato dalle potenzialità notevoli, cui possono offrire competenze e tecnologie avanzate. Possono operare in condizioni favorevoli all’interno del Clean Development Mechanism, lo schema del protocollo di Kyoto che prevede incentivi fiscali alle imprese dei paesi industrializzati che investono in progetti ambientali nei paesi in via di sviluppo.
Nel forum “Industrie low-carbon e città” l’opinione prevalente è che le collaborazioni tra industrie e città in Cina siano soddisfacenti. Tuttavia bisogna proseguire, incrementarle e migliorarle, precisa Edward Clarence Smith, rappresentante dell’UNIDO, Organizzazione dell’Onu per lo sviluppo industriale : “E’ ovviamente necessario che le industrie e le municipalità collaborino per raggiungere gli obiettivi low-carbon. Spetta alle prime innovare e riprogettare i prodotti secondo i criteri delle emissioni zero, utilizzare sostanze non inquinanti e materie riciclabili, nonché impiegare tecnologie che favoriscano il risparmio energetico. Le città possono contribuire sostenendo le imprese green con normative ad hoc, incentivi, investimenti, partenship, collaborazione con le università, e campagne di sensibilizzazione verso la popolazione”.
Kunming, Baoding, Zhenjang, sono alcune città cinesi che si distinguono nel cammino verso il low-carbon. I loro sindaci illustrano con orgoglio risultati e obiettivi: ricerche congiunte con enti scientifici americani o europei, collaborazioni con università cinesi di prestigio, come la Tsinghua di Pechino, lo status di “testing point” per rivelazioni sull’inquinamento e la riduzione dei consumi, installazioni di impianti energetici non inquinanti, riconversioni di manufatti industriali obsoleti. Ancora, la sostituzione di mezzi pubblici di trasporto tradizionali con nuovi mezzi elettrici, accordi col WWF, la partecipazione a nome del governo nazionale alla green hour, l’evento di sensibilizzazione ambientale in cui le città del mondo spengono le luci per un’ora.
La sinergia governo-industrie-città è fondamentale ancor più sul piano strategico per quello che concerne lo sfruttamento del territorio e delle risorse: in tal senso, il futuro sviluppo urbanistico dell’intero paese è il vero banco di prova della Cina low-carbon. Lo scorso marzo il Consiglio di Stato ha varato il nuovo piano urbanistico nazionale, da attuare entro il 2020. Trattasi di una rivoluzione rispetto alla filosofia dell’enrichissez-vous che ha (non) diretto la pianificazione delle città in passato.
Il Premier Li Keqiang l’ha definito un piano di urbanizzazione a misura d’uomo. Principi base espressamente affermati sono la pianificazione urbanistica secondo standard che garantiscano migliore qualità della vita, la costruzione di città verdi, impiego razionale del territorio, riduzione del consumo delle risorse strategiche quali acqua, energia e suolo. Piano ancor più ambizioso se si considera che esso aumenterà di un centinaio di milioni il numero dei residenti nelle città.
Tuttavia urbanisti e scienziati illustrano come una pianificazione razionale del territorio da un lato contribuisca notevolmente alla riduzione dei consumi e dell’inquinamento, dall’altro consenta uguali livelli di produzione industriale con l’utilizzo di valori pari anche alla metà degli spazi utilizzati, con evidente risparmio di risorse.
Molti ricorderanno alcune foto di città fantasma sorte in Cina nel giro di un paio d’anni, pronte a ospitare una vita che non è mai fiorita, le famose cattedrali nel deserto. Cattiva pianificazione e speculazione che hanno segnato non solo il paesaggio, ma anche la vita delle persone. La Cina è un paese di migranti in cui milioni di uomini e donne lasciano le campagne per andare a lavorare nelle città. L’urbanizzazione selvaggia degli scorsi decenni ha lasciato mano libera alle disordinata costruzione di nuclei urbani mal collegati e senza integrazione di trasporti pubblici. Al loro interno sono spuntati interi quartieri dormitorio e i nuovi lavoratori si sono ritrovati dalla capanna al ventesimo piano di anonimi casermoni di cemento.
Peter Calthorpe, fondatore del movimento New Urbanism, afferma dunque che bisogna superare lo schema dei super-agglomerati anche per motivi sociali. “Il futuro delle città cinesi deve passare attraverso la costruzione di nuovi centri, o la riorganizzazione di quelli esistenti, secondo principi di pianificazione razionale e integrazione tra la rete stradale e i trasporti pubblici, al fine di consentire ai cinesi di andare a lavoro senza dover prendere l’automobile e quindi ridurre traffico e inquinamento. Lo schema dei quartieri dormitorio deve inoltre lasciare il posto a nuclei abitativi dotati di spazi verdi e spazi di aggregazione, con effetti positivi non solo per la salute ma anche per i rapporti umani”.
I problemi legati all’urbanizzazione sono gli stessi che l’Europa ha già conosciuto in passato e ciò spiega perchè la Cina si avvalga anche della consulenza e l’esperienza di città del vecchio continente e dell’Unione Europea. Così il consulente speciale per la UE, Graham Meadows, spiega come “il problema della Cina di oggi non è dissimile da quello che diverse città europee hanno conosciuto in passato. Il governo centrale potrebbe seguire la via dell’Ue nei rapporti con le città concernenti l’ambiente: ad esempio concludere accordi con cui le città si impegnano a raggiungere determinati valori ambientali, prevedere un sistema di controllo, consulenze, o stanziare dei fondi appositi per realtà particolari, o promuovere un sistema di incentivi”.
Quanto e quando la Cina sarà in grado di realizzare queste riforme è difficile prevedere. Del resto lo stesso Xie a inizio giugno, a margine dei colloqui ONU sul clima tenutisi a Bonn, non aveva potuto che limitarsi a una diplomatica dichiarazione di rito sull’apprezzamento per le misure che gli USA si apprestano a varare, sull’impegno comune dei due stati contro i cambiamenti climatici e sulla volontà della Cina di raggiungere i suoi obiettivi il più presto possibile, precisando tuttavia che “sussistono divergenze d’opinione tra gli esperti sulla questione dei gas serra”.
Commentando indiscrezioni secondo cui la Cina si appresterebbe a fissare in modo rigoroso i limiti delle emissioni di gas serra prima del vertice mondiale sul clima che si terrà nel tardo 2015 a Parigi, Xie ha risposto che “nessuna decisione al momento è stata presa né sui limiti da porre alle emissioni di CO2, né sul quando una tale comunicazione avverrà”, ribadendo che la Cina “sta lavorando duramente per trovare il giusto equilibrio tra crescita economica e tutela dell’ambiente”.
Il futuro della lotta ai cambiamenti climatici dipenderà da come la Cina risolverà questo rapporto. Le ambizioni sono forti, e i segnali incoraggianti, con un coinvolgimento della classe dirigente e dei vari strati della società cinese che nel forum è apparso convinto e crescente. Recita un pannello della sala esposizioni: “la cultura tradizionale cinese è volta all’armonizzazione tra natura e sviluppo, in modalità low-carbon”. A Shenzhen quest’armonia non è più un’ambizione ma una realtà tangibile, 3mila chilometri più a nord, a Pechino, il compito di dimostrare al mondo che sul low carbon la Cina fa sul serio.
*Giorgio Del Moro si è laureato in Scienze Politiche presso La Sapienza. E’ pubblicista e ha collaborato con quotidiani, uffici stampa e radio come redattore speaker. Dopo un viaggio in Giappone ha scoperto l’interesse per l’Estremo Oriente e ha iniziato a studiare giapponese. Le sue amicizie spaziano tra Giappone, Cina e Corea. Attualmente vive a Hong Kong con l’obiettivo di conoscere la Cina.