Le ingenti somme investite all’estero dalla Repubblica popolare sono esposte ai venti delle politiche scelte da quei paesi. Il caso del Messico e della Grecia sono solo un esempio del perché la Cina è oggi alla ricerca di un approccio nuovo che le permetta di garantirsi con più sicurezza un ritorno economico dei propri investimenti.
Scrive il Financial Times: «Un voto per porre fine all’austerità in Grecia. Il crollo dei prezzi del petrolio crea un buco nelle finanze del Messico. I risultati shock delle elezioni in Sri Lanka». I nodi cinesi all’estero, scrive il quotidiano finanziario, vengono al pettine. Già, perché mentre aumentano gli investimenti cinesi all’estero, aumentano le problematiche politiche. «Non siamo abituati a queste complessità, ci manca l’esperienza» fanno sapere da Pechino. La politica mondiale in escandescenza tra ribellione all’austerity e guerre per procura, comincia dunque a infastidire il capitale cinese? Intanto Li Keqiang ha invitato Tsipras in Cina.
Partiamo dagli investimenti
Secondo Rhodium, un gruppo di ricerca specializzato sulla Cina, gli investimenti diretti esteri cinesi in Europa hanno raggiunto i 18 miliardi di dollari l’anno scorso, il doppio del 2013. Gli investitori cinesi – ha scritto il Financial Times, riportando i dati della ricerca – hanno speso una media di 12 miliardi di dollari nella regione nel corso degli ultimi quattro anni.
Negli ultimi dieci anni, la Cina ha deciso di investire nei paesi meno colpiti dalla crisi, per lo più, con l’eccezione della Grecia e ultimamente dell’Italia, a dimostrare un comportamente che potrebbe cambiare. Rodhium ha scritto che l’interesse cinese «nelle economie avanzate sarà sostenuto da due fattori: le recenti iniziative di Pechino di abolire la maggior parte delle autorizzazioni per gli investimenti in uscita insieme ad un programma di riforme aggressivo sotto il presidente Xi Jinping». Siamo nella fase in cui possiamo vedere «che questa è una tendenza strutturale», ha detto Thilo Hanemann di Rodhium.
Il Ft riporta anche l’opinione di Thomas Gilles, un esperto di Cina, della Baker & McKenzie che ha avvertito circa l’entità degli investimenti cinesi in Europa: nei prossimi anni – si dice – dipenderà dall’attuazione da parte dei leader europei delle riforme economiche per migliorare le prospettive di crescita della regione. «La tendenza è destinata a continuare in ogni caso», ha detto Gilles, «ma la grandezza e la forma degli investimenti cinesi dipenderà dagli sviluppi in Europa».
Le problematiche politiche
Dai porti in Grecia alle strade del Kenya, la politica dell’ “andare fuori” della Cina ha visto spendere miliardi di dollari all’estero – ottenendo contratti insieme a risorse come il petrolio e all’influenza. Ma, mentre i sistemi politici e fiscali si disfano, le aziende statali cinesi stanno scoprendo il lato oscuro di questa politica. Come ha specificato un alto funzionario del Partito Comunista cinese, con un efficace eufemismo: Questi incidenti non sono stati molto piacevoli».
Insomma la Cina scopre la politica complicata di aree in cui agiscono interessi diversi, in alcuni casi fuori dalla propria più diretta comprensione. E quindi ora ci si chiede se non sia il caso di cambiare il trend che vede molti più investimenti esteri, che interni. Inoltre la tattica cinese – oggi meno interessata alla merci e più alle infrastrutture – si presta a «patire» maggiormente scossoni politici. Prendiamo due casi: Grecia e Messico.
«In nessun altro paese il rischio è stato grande – e non solo per la Cina – come in Grecia, dove le elezioni hanno portato il partito di sinistra Syriza al potere», premette il Financial Times. Come il Partito Comunista cinese, anche Syriza ritiene che le infrastrutture strategiche nazionali, dovrebbero rimanere nelle mani dello Stato.
Questo atteggiamento però non combacia con le volontà di Cosco, il più grande gruppo armatoriale cinese che era riuscito ad aggiudicarsi un contratto per un progetto di privatizzazione del porto, ora annullato dal nuovo governo di Atene. Per questo come detto Li Keqiang ha telefonato a Tsipras, invitandolo a Pechino.
«Un colpo più duro è venuto nel mese di ottobre in Messico dove, poche settimane dopo che la China Railway Construction Corp aveva ottenuto il suo primo contratto ferroviario per l’alta velocità, l’accordo è stato annullato a causa delle preoccupazioni dei legislatori su un processo di gara conclusosi troppo in fretta, dove il consorzio guidato dalla CRCC è stato l’unico offerente». Burocrazia, problemi locali, aree geografiche complicate. La Cina è alla prova, vera, a livello internazionale.
[Scritto per East; foto credits: