Se la Cina vuole tornare al centro del mondo ha un bel da fare nello scacchiere geopolitico internazionale, e non solo nello scontro con gli USA, un conflitto ormai ai limiti della guerra fredda, in escalation da almeno un paio d’anni.
L’impegno e’ notevole anche in area asiatica: di questi tempi, gli assetti mondiali sono in movimento perenne, esposti a mutamenti sempre piu’ veloci, accellerati e spesso sovvertiti dalle dinamiche della pandemia: nell’area estremo orientale, dove la Cina ha una posizione preminente, arginata in parte nel Pacifico dagli Stati Uniti, dal Giappone e dall’Australia, o più a nord e verso Occidente, ai confini con l’India, l’altro gigante, non cosi’ potente a livello economico e militare come la Cina , ma comunque in crescita, altrettanto rilevante invece in termini di vastita’ geografica, densita’ di popolazione e soprattutto di pari spessore culturale: arte, filosofia, letteratura, e, in particolare per l’India, religioni, tra le piu’ antiche, complesse e strutturate del mondo. Per la Cina, la disputa con l’ India sotto questo aspetto non e’ dunque la stessa che quella con gli Stati Uniti, prima potenza economica mondiale, che pero’ ha radici storiche ben diverse, che non arrivano alle profondita’ di tempi cosi’ lontani, e comunque, senza azzardare valutazioni o giudizi di valore, in netto contrasto nell’immaginario collettivo con altri mondi, come quello indiano o di altri paesi asiatici o come anche il nostro, europeo, risultanze di altri percorsi che inevitabilmente influenzano il modo di interagire con gli altri paesi e ne condizionano gli sviluppi. Affinita’ culturali che sono alla base della dialettica tra Oriente e Occidente, e che spesso ne determinano l’andamento.
La battaglia tra Cina e India sulle cime dell’Himalaya, ricominciata in queste settimane lungo i confini contesi si inscrive in uno scenario complesso. 3500 chilometri di frontiera ad alta quota tutt’altro che disabitati e soprattutto fucina di mondi, culture, etnie diverse e numerosissime, ciascuna con la propria spiccata e irriducibile identita’.
Le questioni sul tavolo sono tante: la prima , quella che ha fatto scoppiare la scintilla nella valle di Galwan contesa tra le due parti da decenni: situata al confine tra il Ladakh, controllato da New Delhi e Tibet cinese, il 15 giungo scorso è stata teatro dello scontro sanguinoso tra i soldati delle due parti; decine di morti da parte indiana e altrettanti tra i militari cinesi, (ma qui è piu’ difficile fare una stima attendibile, poichè la Cina non ha fornito cifre ufficiali). Combattimenti a colpi di sassi e mazze chiodate: non è possibile infatti ricorrere alle armi da fuoco in quell’area, da quando negli anni 90 gli accordi impediscono ai due paesi l’utilizzo di esplosivi entro i due chilometri dalla linea attuale di controllo. Un conflitto che negli ultimi giorni sembrava essersi acquietato ma il governo di Pechino ha lanciato un’altra sfida, decidendo che le truppe cinesi dislocate al confine potranno contare su una squadra di esperti di MMA (arti marziali miste), uno stile che consente il ricorso a tutte le tecniche sportive delle arti marziali e degli sport da combattimento: e qui si innesta inevitabilmente un altro confronto culturale indiretto e subliminale tra i due giganti: l’antica tradizione cinese delle arti marziali, incluse quelle da combattimento, che si confronta o si oppone all’altrettanto antica disciplina indiana dello yoga.
“Sono due civilta’ dalla massa talmente forte, e non mi riferisco semplicemente al numero di persone” osserva Sergio Basso, regista, storico dell’arte, sinologo e bizantinista. “Mi riferisco all’attrazione gravitazionale di ciascuna cultura che, come due campi magnetici, invocano, esigono, una polarizzazione delle etnie e delle culture degli stati cuscinetto che li circondano. Nello scontro con il subcontinente indiano la Cina ha ben presente il Tibet soprattutto, ma anche il Xinjiang, il Turkestan cinese a maggioranza musulmana, regioni che presentano per Pechino criticita’, i cui equilibri non sono sempre cosi’ solidi.
Ma tutti gli stati cuscinetto dell’area hanno da sempre un ruolo importante, piu’ o meno indiretto. Ad esempio il Bhutan o il Nepal che da vent’anni gioca con i due contendenti: si lascia corteggiare dall’India e prende finanziamenti da una parte, si lascia corteggiare dalla Cina e prende finanziamenti dall’altra, proprio perche’ e’ un paese a cavallo tra le due realta’ geografiche. Cosi’ pure il Buthan..
Ma anche dal punto di vista del passaggio delle idee e del passaggio delle mercanzie, e’ un’enorme autostrada che scorre proprio dall’India Settentrionale bypassando da nord a sud il bacino del Tamir, e la Cina.
Il Buddismo ad esempio: nel lungo periodo ha avuto piu’ successo fuori dall’India, “nemo profeta in patria” si dice. Noi associamo il buddismo all’India ed e’ vero che e’ effettivamente sorto in Gandhara, (oggi il Pakistan), esploso nel primo secolo dopo Cristo, ma poi sono i missionari che l’hanno portato molto presto nel sud est asiatico, la Cina, la Corea, il Giappone e infine qualche secolo dopo con la conquista araba il buddismo ha perso molti punti in India, sempre piu’ velocemente a favore dell’Islam e dell’Induismo. Oggi il buddismo in India e’ assolutamente minoritario e questo e’ un esempio di come il polline indiano sia arrivato in Cina e di come i cinesi abbiano saputo proteggerlo e coltivarlo, dargli fusto…questo e’ vero per la religione come e’ vero per l’astronomia come e’ vero per la mercanzia…prendiamo i nepalesi ad esempio: storicamente si sono arricchiti trasportando sale verso il Tibet, nella vallata di Katmandu: nel mese di marzo facevano un grande raduno con feste per organizzare il trasporto del sale con muli e cavalli dalle coste dell’Oceano fino al Tibet..prima che inventassero i frigoriferi il sale era fondamentale per preservare i cibi e quindi erano i nepalesi a portarlo sulle vette dell’Himalaya, in Tibet, dove il sale non si conosceva: man mano che ti allontani dalla costa il valore del sale aumenta e i nepalesi hanno fatto del ciclo del sale una fonte di reddito importantissima”
Una varieta’ umana e linguistica che si intreccia per migliaia di chilometri sulle tracce dell’antica Via della Seta?
“La Via della Seta è l’autostrada del Medioevo che attraversa l’Asia Centrale; in realta’ e’ un rivolo di strade, un sistema di piste carovaniere, a volte questo fascio si stringe, a volte si dirada per superare passi montani e poi si ricostituisce. Dunque se la Via della Seta e’ una grande interconnessione ; se c’e’ questa capacita’ osmotica tra etnie, lingue e culture diverse, si tratta di vedere cosa farne. Mi viene in mente il manuale di David Mamet , grande regista e sceneggiatore ,” I tre usi del coltello”: il coltello lo puoi usare per tagliare il cibo e quindi per stare insieme, per uccidere, oppure nel caso del bisturi, per incidere correttamente e quindi salvare una vita, ma si tratta sempre di un coltello. Lo stesso vale per la Via della Seta, dipende come si usa..per passare mercanzie e quindi come via di scambi? O come soft power, dunque come forma di imposizione?
Anche la BRI (Belt and Road Initiative) e’ una grandissima occasione di futuro e come qualunque opportunita’ di crescita c’e’ una sorta di contratto narrativo tra le parti, si tratta di comprare una retorica , di credere negli slogan.. nel 2010 i primi ministri dell’India e della Cina si incontrarono per parlare di import-export indo cinese e si diedero un obiettivo: entro il 2015 100 milioni di dollari di interscambio che ad oggi sono 83 milioni di dollari, ma l’interscambio e’ tutto sbilanciato a favore della Cina. Allora a cosa serve questa connessione se non fa progredire entrambe le parti? Diventa una sorta di aggressione commerciale?”
Cosa accade in questo senso? l’India si sente minacciata dall’avanzata cinese? “E’ ora di riconoscere che la Cina e’ la nuova potenza imperialista in Asia” titolava qualche giorno fa un editoriale del Times of India. Quali potrebbero essere le conseguenze di questo scontro in atto tra il subcontinente indiano e l’ex celeste impero?
“Io non penso che ci saranno chissa’ quali conseguenze: la Cina non ha nessun interesse geostrategico a inasprire il conflitto o ad avanzare in territorio indiano mentre l’India non ha alcuna capacita’ militare di opporsi alla Cina che e’ infinitamente superiore in ambito bellico e quindi credo che sia tutto un gioco di immagine e di risentimento popolare: frizioni che servono a ciascuno dei due sistemi per raccontarsela all’interno dei propri confini.
Anche nel 2020 l’homo sapiens procede cosi’, abbiamo bisogno di racconti per aggregarci: una volta era intorno al fuoco ora e’ intorno ai media. Usiamo racconti per costruirci identita’ che sono spesso specchietti per le allodole, fantocci che rimangono in piedi e che servono per andare verso il futuro. E oggi più che mai la narrazione sembra più importante dei fatti.
Di Maria Novella Rossi*
**Maria Novella Rossi, sinologa e giornalista RAI tg2, redazione esteri. Laureata in Lingua e Cultura Cinese, Dottore di Ricerca su “Gesuiti in Cina”, è stata in Cina la prima volta con una borsa di studio del Ministero degli Esteri dal 1984 al 1986; quindi è tornata molte volte in Cina per studio e per lavoro; è autrice di servizi e reportage sulla vita e la cultura in Cina trasmessi da Tg2 Dossier e da Rai Storia. Autrice anche di reportage sulle comunità cinesi in Italia. Corrispondente temporanea nella sede di Pechino per le testate RAI in sostituzione di Claudio Pagliara, attualmente continua a occuparsi di esteri con particolare attenzione alla Cina e all’Asia.