Cina – Il prezzo della sposa

In by Gabriele Battaglia

Sono meno degli uomini, sono merce rara. Le ragazze cinesi hanno così alzato il livello delle proprie richieste per concedersi in moglie. Dal thermos di cinquant’anni fa si è passati al binomio casa-macchine e oggi. Qualche volta, non basta più neppure quello. Una tradizione specchio delle trasformazioni sociali della Cina. «Jas», nome in codice di una attivista cinese per i diritti dei lavoratori, guarda una ragazza vestita vistosamente che barcolla su tacchi improbabili lungo un marciapiede di Shenzhen, la metropoli manifatturiera del Guangdong. Jas sorride divertita: «Le mingong si riconoscono dal vestito eccentrico».

In questo Paese prevalentemente maschile, le migranti rurali di nuova generazione sanno di essere merce rara. Non tanto per il mercato del lavoro, quanto per quello dell’affettività, della famiglia, del sesso. E nelle ore libere dal lavoro camminano per le strade delle metropoli a caccia di prede, sfoggiando gli stessi vestiti appariscenti che magari producono al telaio delle manifatture tessili locali.

Il «prezzo della sposa» è una specie di dote all’incontrario che gli uomini cinesi devono pagare alla famiglia dell’eventuale donna disponibile. La tradizione è antica, ma negli anni Cinquanta bastava magari un thermos, poi si è passati al frigorifero e al televisore. Di recente, lo standard è costituito dal binomio casa-automobile e il «prezzo» continua a evolvere al passo dei tempi.

Il punto è che in Cina ci sono 118 maschi ogni 100 femmine, la carenza di donne dipenderebbe dalla politica del figlio unico lanciata alla fine degli anni Settanta: dato che l’uomo è colui che tradizionalmente lavora e si occupa dei genitori in età avanzata, molte famiglie cinesi hanno nel tempo applicato aborti selettivi per far sì che l’unico figlio concesso dalla legge fosse un maschio. Fatto sta che sarebbero oggi circa quaranta milioni i cinesi in sovrannumero rispetto alle potenziali mogli disponibili. Sono chiamati «rami spogli» coloro che per condizione sociale o altro non avranno mai speranza di continuare la linea familiare. Di produrre germogli.

Le ragazze lo sanno. «Adesso non chiedono più casa e macchina nel villaggetto d’origine – dice ridendo Jas – bensì almeno un appartamento in una città di secondo, terzo livello». Fa parte del contratto con il futuro sposo. La migrante che si è urbanizzata non vuole più tornare in campagna, bensì in un’altra città che offra opportunità di lavoro, di consumo, di guanxi, cioè la rete di contatti necessaria a competere. E con se stesse sistemano tutta la famiglia, che è spesso lì a sorvegliare, pallottoliere in mano. Ha fatto scalpore, di recente, la storia del padre che ha obbligato la figlia ad abortire perché a suo avviso il fidanzato di lei non offriva abbastanza per il matrimonio riparatore. Gli aneddoti si inseguono. Un altro racconta della ragazza così innamorata da prestare soldi al proprio moroso affinché potesse corrispondere al «prezzo».

Ma come fanno, i maschi non ricchissimi, a pagare? Prendono soldi in prestito. «Un ragazzo che conosco – racconta Jas – ha finalmente trovato la fidanzata. Ha detto che ci vorranno trent’anni prima che riesca a ripagare il proprio debito; ma intanto ha la donna, la garanzia di riproduzione della linea familiare. Cioè il suo posto dignitoso nel mondo».

[Scritto per Il Venerdì di Repubblica]