La fecondazione in vitro in Cina sta avendo un boom al limite della legalità. Oggi circa 40 milioni di cinesi sono sterili. Una percentuale che è salita a tra il 10 e il 15 per cento delle coppie, contro l’appena 3 per cento di vent’anni fa. E siccome le donazioni di ovociti non sono abbastanza per soddisfare le richieste del mercato, ecco che compare il traffico e la compravendita illegale.
“Con poco più di 14mila euro, copriamo tutte le spese: operazione, donatori, ricovero in ospedale e servizi” ha detto un agente della metropoli di Wuhan a un giornalista del Global Times che si era finto interessato all’acquisto. Oggi circa 40 milioni di cinesi sono sterili. Una percentuale che è salita a tra il 10 e il 15 per cento delle coppie, contro l’appena 3 per cento di vent’anni fa. E per il 5 per cento è proprio a causa degli ovociti.
Il primo impianto in vitro in Cina è stato fatto nel 1988 da un dipartimento dell’Università di Pechino. Oggi, di fronte a quello stesso ospedale, una media di 1500 pazienti al giorno aspetta di essere messo in lista. E siccome le donazioni non sono abbastanza per soddisfare le richieste del mercato, ecco che appare il traffico e la compravendita illegale.
Un mercato nero che paga le “donatrici volontarie” tra i 3 e i 9mila euro. Tutto fatturato come “alimenti”. Anche se comprare e vendere ovociti è illegale nella Repubblica popolare (una legge del 2003 regola la fecondazione assistita), a quanto appurato dall’inchiesta del Global Times, l’operazione viene effettuata in “ospedali regolari”.
Il punto è sempre quello. Quando la domanda supera l’offerta, si crea una zona d’ombra dove fare affari è conveniente. Anche se mette a rischio la salute delle persone coinvolte. Per affrontare il trattamento legale bisogna entrare in liste d’attesa che durano minimo due o tre anni. E le donne che decidono di ricorrere alla fecondazione assistita sono spesso già avanti negli anni. E preferiscono ricorre a una scorciatoia pur di assecondare il loro desiderio di maternità.
Il Global Times ha svolto le sue indagini nella metropoli della Cina centrale di Wuhan, ma altri media si sono occupati di altre zone. E il fenomeno sembra essere piuttosto diffuso. Nel 2012 il Nandu Bao scoprì che un’agenzia della megalopoli meridionale di Shenzhen aveva acquistato attrezzature per oltre un milione di euro. I prezzi che offriva erano grossomodo gli stessi: tra gli 11 e i 17mila euro per chi affrontava l’impianto. E tra i 2 e i 5mila euro per chi “donava” l’ovulo. Le autorità intervennero e costrinsero a chiudere quell’agenzia a ottobre dello stesso anno.
L’anno precedente lo scandalo aveva anche coinvolto la capitale. Il Beijing Ribao aveva documentato un cospicuo giro di affari attorno agli esami medici, l’estrazione e l’impianto di ovociti. Tutti quelli che vi lavoravano, dai medici agli agenti, dovevano essere ricompensai lautamente per il loro silenzio. Ma quello che all’epoca più sconvolse l’opinione pubblica fu il coinvolgimento delle ragazze che frequentavano le migliori università della capitale. Gli ovociti di queste ultime venivano pagati quasi il doppio di quelli delle altre “volontarie”.
Il punto evidenziato da Chen Jianming, direttore del Centro di pianificazione famigliare della città di Jiangmen, nella regione meridionale del Guangdong, e riportato dal Global Times è valido ovunque. “Le leggi non riusciranno mai a debellare completamente le agenzie illegali perché il mercato è immenso e la domanda continuerà a richiamare uomini d’affari senza scrupoli”.
E così si hanno casi come quello che ha portato di nuovo il mercato nero degli ovociti all’attenzione delle cronache. Una studentessa diciannovenne della città meridionale di Nanchino è stata ricoverata il 20 maggio scorso con una sindrome da iperstimolazione ovarica. Aveva un ventre gonfio come se fosse all’ottavo mese di gravidanza. Invece non era incinta. Le avevano somministrato un trattamento di ormoni eccessivo affinché avesse più ovociti da “donare”. Il tutto per la modica cifra di appena 2mila euro.
[Scritto per il Fatto Quotidiano;