Cina, il frutto proibito di Rupert Murdoch

In by Simone

[In collaborazione con Agichina24] Da più di vent’anni la News Corporation di Rupert Murdoch sta corteggiando i potenti cinesi per penetrare nel mercato più vasto del mondo. Ecco la storia di un seduttore ostinato e della sua collezione di due di picche.

Scorrere l’elenco delle holding controllate da News Corporation, la multinazionale dell’infoteinment di proprietà di Rupert Murdoch, attualizza il concetto di impero moderno. Australia, Regno Unito, Stati Uniti, Italia, India, Russia, Lettonia, Romania, Fiji, Brasile, Turchia, Ucraina…i tentacoli della famiglia Murdoch valicano i confini transnazionali gestendo televisione via cavo e satellitare, internet, giornali, magazine, case editrici e servizi telefonici. Una collezione ragguardevole che però non comprende il pezzo più pregiato del mercato: la Cina.
News Corp è presente oggi in Cina con un misero 17,6% di Phoenix TV, un canale satellitare di Hong Kong, e Star TV, che pur trasmettendo in tutto il continente asiatico in Cina è soggetta a restrizioni del palinsesto. Poca cosa per chi, nel resto del mondo, possiede Sky, Fox – dalle news al cinema – Wall Street Journal e il tristemente noto News of the World, tabloid gestito oltre i limiti ontologici e morali del giornalismo che in queste settimane ha scagliato Murdoch junior e senior al centro di inchieste e polemiche internazionali.

Rupert Murdoch ha fiuto e determinazione, e quando il vento dei quattrini ha iniziato a spirare in direzione della Repubblica popolare, News Corp non si è fatta trovare impreparata.
Nel gennaio 1993 acquisisce per Star TV, canale satellitare di Hong Kong che allora faceva ancora parte del Regno Unito ma si preparava a ricongiungersi con Pechino secondo la teoria “Uno stato, due sistemi”. Murdoch è entusiasta e rilascia una dichiarazione kamikaze: “…[le telecomunicazioni] hanno dimostrato di essere una seria minaccia per tutti i regimi totalitari…”. Li Peng, primo ministro durante Piazza Tiananmen, non la prende bene e spinge il governo Jiang a bandire le parabole in tutta la Cina. Murdoch senior tenta di salvare faccia e business spiegando di aver voluto riferirsi al disfacimento dell’Unione Sovietica, ma le giustificazioni non convincono l’establishment cinese. Murdoch si scontra frontalmente per la prima volta col potere del Pcc e capisce che senza il loro appoggio gli affari nella Repubblica popolare rimarranno un progetto mai realizzato.

Inizia così il periodo camaleontico del magnate naturalizzato americano: alla disperata ricerca di nuove guanxi – amicizie influenti – inizia ad adoperarsi per riguadagnare la fiducia perduta.
Alla fine del 1993 la HarperCollins, casa editrice controllata da Murdoch, pubblica la biografia “Deng Xiaoping, my father” scritta dalla figlia Deng Rong in occasione del novantesimo compleanno del leader. Secondo il New York Times a seguito dell’esclusiva presentazione del tomo al Le Cirque della Grande Mela, editorialmente parlando la risposta del pubblico internazionale è stata ampiamente sotto le aspettative della casa editrice.
Nel 1994 Star TV, ufficialmente per motivi di budget, decide di non trasmettere più i notiziari della BBC, mentre pochi anni dopo, quando CCTV e il People’s Daily si affacciavano per la prima volta sul campo dell’informazione online, due team speciali di Fox News furono mandati in Cina per aiutare nella migrazione online dei contenuti dei due megafoni governativi. Purtroppo per News Corp, una volta assimilato il metodo, i colossi cinesi hanno gentilmente invitato i partner americani alla porta.

Nuovamente rientrato nelle grazie di Zhongnanhai, Murdoch senior si è lasciato andare ad esternazioni pubbliche quantomeno discutibili, dal Dalai Lama “vecchio monaco politicizzato che se ne va in giro con scarpe di Gucci” (Vanity Fair, 1999) al movimento del Falun Gong descritto come un “pericoloso culto apocalittico”, sintesi attribuita al figlio James durante un discorso a Los Angeles nel 2001. Nel frattempo la giovane Deng Wendi, convolata a nozze con Rupert Murdoch nel 1999, partiva per una missione imprenditoriale in compagnia del figliastro James, con l’obiettivo di battere sul tempo la concorrenza e sviluppare portali web per social network, intrattenimento ed informazione. Ovviamente piegandosi alle regolamentazioni censorie del Great Firewall.
Nonostante le buone intenzioni, l’affare va in fumo surclassato dalle start-up locali, risultando in una perdita stimata attorno ai 60 milioni di dollari.

Fallendo in Cina sotto tutti i profili, vita privata esclusa, recentemente Murdoch ha provato nuovamente a scuotere il mercato cinese, dichiarando il 13 giugno che l’industria cinematografica cinese è “sottosviluppata”e auspicando una maggior apertura nei confronti delle pellicole hollywoodiane – magari prodotte da Fox. In mezzo alla tempesta legale in corso, additato da molti come un oscuro burattinaio dietro governi e centri di potere, la Cina sembra essere il frutto proibito del tycoon ormai ottantenne. Il Pcc, evidentemente, è un osso troppo duro anche per News Corp. 


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