«Qualcuno mi ha detto che sono una marionetta del partito perché pur essendo critico verso la censura, penso che un primo passo possa essere quello di renderla meno arbitraria. Ma diciamoci la verità, proviamo a immaginare la Cina che tra un mese permette elezioni libere al proprio popolo: eleggeremmo una specie di Hitler e prima della fine dell’anno saremmo in guerra col Giappone».
Guō Yíguǎng, aka Kaiser Kuo, classe 1966, lo incontro all’ora di pranzo a casa sua, un vasto appartamento in un moderno complesso residenziale di Pechino. Alle tre deve andare a fare un sound check in un noto locale del rock pechinese: con il suo gruppo chiuderà la sera stessa una lunga maratona metal, ingannando l’attesa spedendo messaggi sul suo twitter. Kaiser Kuo, infatti, è oggi uno degli opinion leader più influenti del paese, con un passato da metallaro, in quanto fondatore del gruppo metal più celebre del Regno di Mezzo, i Tang Dinasty (memorabile una Internazionale in cinese in pieno prog-metal). Oggi è un consulente di Youku, la youtube cinese e viaggia spesso negli States (è sino americano) per parlare della Cina, le sue evoluzioni digitali e la sua posizione nell’ambito dei rapporti con gli Usa. Al proposito sta scrivendo un libro, sulla storia di Internet e di come ha cambiato i rapporti tra le due potenze. «Google sarà il primo capitolo, per forza», dice ridendo.
Alla luce anche della recente visita della Clinton, Kaiser Kuo incarna perfettamente il cinese che conosce bene il proprio interlocutore: ha anche lavorato per Obama durante la campagna elettorale, uno dei consiglieri del team dedicato alla Cina da parte del presidente Usa. Come il suo futuro libro cominciamo la nostra chiacchierata partendo da Google, i cui rapporti con Pechino, nella vicenda che portato il passaggio di Google ad Hong Kong, hanno influito non poco su una fase calda dei rapporti diplomatici tra Usa e Cina. Partendo dalla querelle legata al motore di ricerca e finendo per indagare molti dei punti sui quali spesso l’Occidente stuzzica il gigante asiatico, Kaise Kuo ha la sua idea: «credo che Google abbia messo sul piatto della bilancia il proprio mercato, che quantunque si dica era positivo, con gli sforzi burocratici, troppi, nella gestione del rapporto con il governo. Viaggi, riunioni, team legali, piccole cose, cambiamenti continui, troppa fatica. Certo la mossa di Hong Kong è stata una sorpresa, ma se, come detto dallo stesso Brin, la soluzione è stata indirettamente suggerita da Pechino, allora magari una porta mezza aperta è stata lasciata. Anche se io ogni ora controllo se Google è già stato censurato o meno».
Precedentemente Kaiser Kuo aveva espresso le sue opinioni sul caso, ponendosi in una posizione lucida e ragionata, unendo necessario supporto alla lotta contro la censura, senza cedere a facili compromessi ideologici con l’Occidente: «è difficile non pensare a collusioni tra Google e governo Usa, basti pensare che dopo lo strappo di Google è arrivato il famoso discorso di Hillary Clinton. Io sono contro la censura on line, ma non penso siano gli americani a doverci spiegare cosa sia la libertà. E’ come avessero voluto creare una sorta di quinta colonna e alla lunga anche chi era favorevole a Google ha cominciato a non apprezzare questa commistione».
La soluzione sembra essere una classica risposta, ovvero trovare la ricetta con caratteristiche cinesi: «penso che i cinesi debbano trovare le loro radici e attrezzarsi a creare una propria forma di espressione e resistenza. Lo hanno già fatto: la Green Dam (il filtro anti porno che il governo voleva installare in ogni pc la scorsa estate, ndr) è stata abortita per l’attivismo dei cinesi stessi, non grazie all’aiuto occidentale».
L’importante, dal suo punto di vista di narratore, nonché ponte tra Occidente è Cina, è allargare la discussione, accettando però i propri connotati storici, sociali e politici: «penso che Google possa essere la base per un discorso che ancora non si è fatto, ovvero che ogni paese ha un proprio concetto di libertà di espressione che non può essere considerato universale. Io penso sia ragionevole pensare che un modo per aprire in modo attento le proprie porte, sia anche usare parzialmente la censura. Molti cinesi ritengono che questo sia giusto. Molti cinesi, la maggioranza, non sono d’accordo con l’idea di una libertà assoluta su internet. Questo dato non può essere ignorato».
Non a caso una lettera di netizens cinesi era rivolta a entrambe le parti in causa: «non so da dove arrivi, ma mi pare bilanciata, chiede chiarezza sia a Google sia alle autorità cinesi. La censura attuale è totalmente arbitraria, non sappiamo perché e come avviene. Google poteva chiarire questi aspetti, ma non l’ha fatto. Poteva permetterci di capire come e perché le ricerche vengono filtrate».
Nonostante questo, molti cinesi hanno supportato Google: «sono una minoranza, ma negli ultimi anni abbiamo visto emergere Internet come una sorta di sfera pubblica della società cinese. I politici cinesi sono molto attenti alla rete, la usano, si fanno consigliare, per capire la temperatura del paese».
Rieccoci dunque all’eterno dilemma: esiste una pubblica opinione in Cina? E se esiste, si esprime attraverso l’Internet cinese? «Non la rappresenta perfettamente, dice Kaiser Kuo, non penso la rete possa essere considerata come una sorta di incubatrice democratica, ma sicuramente è uno spazio di discussione attraverso il quale il governo può capire come aggiustare il tiro». E secondo Kaiser Kuo anche sulla censura e la sua apparente progressione, è opportuno specificare alcuni aspetti: «Internet negli ultimi anni è stato bloccato e censurato, ma nello stesso periodo i social network, le BBS sono esplosi, in modo molto più grande di quando non abbia fatto la censura. E’ un segnale di una certa determinazione ad aprire gli spazi, bloccata via via da eventi come gli scontri in Tibet, i casini della torcia olimpica, le Olimpiadi, vent’anni di Tian’anmen, la rivolta uighura, anniversari, date, crisi. Ogni giorno ormai è una data sensibile. Le conversazioni e il livello di critica però, sono cresciuti più della censura. Mi immagino oggi il governo intento a bloccare flussi d’acqua continui. Non credo ormai sia possibile tappare tutti i buchi, ma un’eventuale ondata sarebbe dannosa». E i governanti cinesi sarebbero pronti a questo? «No, per niente, l’ambiente è nervoso. Se dici che la Cina è una superpotenza molto fragile, negli Usa non ci credono. La verità però è questa: è un periodo difficile, si basa tutto su equilibri instabili».
[Pubblicata su Il Manifesto il 27 maggio 2010]