Come rompere la micidiale tacita alleanza tra imprese di Stato inquinanti e governi locali, il muro di gomma che trascina la Cina giù per la china della catastrofe ecologica? Devono esserselo chiesto più volte, i massimi leader della Cina, specie respirando le stesse polveri sottili che affliggono i comuni pechinesi. La soluzione? Il tribunale ambientale e delle risorse
Così, si apprende oggi che Deng Xuelin, un anziano e sconosciuto giudice, è stato nominato Presidente del Tribunale Ambientale e delle Risorse, un organismo creato solo due settimane fa. Il giudice Deng dovrà gestire i casi ambientali e cercare di far rispettare leggi troppo spesso disattese.
Certo, non farà tutto da solo. Il ruolo suo e del suo ufficio, che dipende Corte Suprema del Popolo, sarà quello di coordinare il lavoro dei 134 tribunali ambientali già esistenti, costituiti dai governi locali ma giudicati “molto informali” dallo stesso ministero della Protezione Ambientale.
La creazione di una nuova figura giuridica rivela l’importanza che riveste ormai la questione ambientale in Cina e va di pari passo con il processo di centralizzazione con cui il presidente Xi Jinping sta cercando di dare impulso alle riforme cinesi, senza che si perdano per strada a causa delle migliaia di interessi costituiti. Alla stessa crociata centralizzatrice corrisponde la costituzione di una commissione di sicurezza e di un’altra che sovrintende le riforme, entrambe presiedute dallo stesso Xi.
Adesso arriva il Tribunale Ambientale e delle Risorse, che deve rompere un meccanismo perverso. Le imprese inquinanti sono quasi sempre di proprietà o a partecipazione statale e al loro interno hanno costituito veri e propri feudi diversi funzionari d’alto rango. D’altra parte, per molti governi locali, permettere alla centrale a carbone (o fabbrica chimica) di turno di appestare l’ambiente è l’unico modo per creare lavoro e gettito fiscale nella propria area di competenza. Insomma, un’alleanza quasi naturale.
Così, a marzo, su 74 città cinesi monitorate dal governo centrale, 71 non sono riuscite a soddisfare gli standard di qualità dell’aria. Gli alti dirigenti cinesi sono consapevoli della portata del problema e fin dal 2012 hanno adottato una strategia basata su maggiore trasparenza dei dati ed esposizione dei “criminali” alla pubblica gogna.
Pechino ha ordinato alle città di pubblicare propri rilevamenti dei livelli d’inquinamento da polveri sottili PM 2.5. Oggi, 179 città rilasciano i dati in tempo reale, mentre il Ministero della Protezione Ambientale ha iniziato a stendere la classifica dei peggiori inquinatori. Tali graduatorie sono veri e propri calci negli stinchi.
Se tutti più o meno sapevano che l’industria pesante intorno a Pechino è responsabile in gran parte della mefitica aria della capitale, le classifiche del Ministero hanno dimostrato nero su bianco che sette delle dieci città più inquinate della Cina nel 2013 stanno nella provincia dello Hebei, che circonda la capitale: centro siderurgico della nazione, nonché grande produttore di carbone, cemento e vetro.
A inizio 2014 c’è stata poi la modifica della legge di protezione ambientale del 1989. In pratica, i governi locali hanno ora maggiori poteri per arrestare e addirittura imprigionare i trasgressori delle norme ambientali. Insomma, il messaggio è stato chiaro: nella nuova Cina, la protezione dell’ambiente ha priorità sulla crescita economica.
Ma in un contesto in cui gli interessi forti a livello locale sono spesso complici nel riprodurre il modello insostenibile di sviluppo, il sistema legale cinese non era finora predisposto ad accogliere denunce ed esposti dei singoli cittadini. Ad aprile, per esempio, un tribunale ha respinto una causa di cinque residenti di Lanzhou, città del nord-ovest cinese, dopo che erano stati scoperti livelli pericolosi di benzene nell’acqua che bevevano. I residenti avevano chiesto danni, scuse pubbliche e dati trasparenti dalla società idrica di proprietà del governo cittadino.
In quell’occasione, il giudice ha affermato che in base al diritto processuale civile, solo “agenzie e organizzazioni” possono citare in giudizio nei casi connessi all’inquinamento. I singoli cittadini hanno bisogno di una fantomatica autorizzazione ufficiale prima di potere agire. Ora si spera che il nuovo tribunale e il vecchio giudice Deng sappiano recepire le voci che arrivano dal basso. Per Pechino è un problema sia di salute pubblica sia di stabilità sociale.
[Scritto per Lettera43]