Sanzioni non si sa quanto rigide e minacce non si sa quanto vere. I due «Paesi fratelli» sembrano sempre più ai ferri corti. L’esasperazione di Pechino contro Kim si scontra con il terrore di destabilizzare i confini e su questa contraddizione Pyongyang si gioca le proprie carte. Fare pressioni sulla Corea del Nord senza provocare disastri umanitari, né una reazione pericolosa del vicino di casa così riottoso e imprevedibile. Un bel problema per la Cina, che rappresenta però il 90 per cento del commercio estero di Pyongyang e senza il cui contributo attivo le sanzioni internazionali contro il regime dei Kim rimangono lettera morta.
Così, martedì scorso il ministero del Commercio cinese ha proibito l’importazione di oro e terre rare dalla Corea del Nord, a cui si aggiunge il divieto all’export verso il paese confinante di carburante e altri prodotti petroliferi utilizzati come combustibile per i razzi che, si dice, potrebbero raggiungere perfino gli Stati Uniti; per non dire della Corea del Sud, del Giappone e della Cina stessa. Non verrà, invece, colpito il commercio di carbone e minerali ferrosi se servirà alla «sussistenza» della popolazione. Difficile però distinguere, perché quando le merci passano il confine di Dandong-Sinuiju, tra Cina e Corea del Nord, non si sa dove finiranno e chi ne beneficerà.
Il New York Times rivela in un reportage che al momento il commercio tra le due parti resta attivo e che soprattutto funziona sempre molto bene il contrabbando.
Per Pechino, però il problema resta. La leadership cinese è esasperata da Kim Jong-un ma è ancora più preoccupata dall’instabilità alle frontiere. Se le sanzioni contro Pyongyang si risolvessero in una catastrofe umanitaria, si calcolano in decine di migliaia i nordcoreani che cercherebbero in qualsiasi modo di riparare nel nord-est cinese, provocando problemi economici e sociali. Nell’aprile dell’anno scorso fece notizia e creò tensioni diplomatiche tra i due vicini lo sconfinamento di alcuni soldati della 25esima brigata nordcoreana che – pare spinti dalla fame – spararono a due civili cinesi, uccidendoli. I fiumi Tumen e Yalu, che per lunghi tratti segnano il confine tra i due Paesi, in alcuni punti non sono più larghi di dieci metri. L’arrivo di un’ondata di profughi umanitari è del resto un timore condiviso anche dalla Corea del Sud, dall’altra parte della penisola.
Un documento filtrato nei giorni scorsi e firmato Partito dei lavoratori di Corea avrebbe inserito anche la Cina nel pacchetto dei cosiddetti «nemici», con i soliti noti: Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti. Sarebbe la prima volta, anche se non ci sono prove certe che il documento finito in mani sudcoreane sia autentico. Il partito unico al potere a Pyongyang accuserebbe Pechino di compere pressioni perché la Cina non vuole perdere il proprio status di Paese dominante nell’area. Aggiungerebbe che la Cina tradisce il socialismo e preparerebbe la popolazione a una «tempesta nucleare» contro l’ex protettore.
Cina e Corea del Nord sono sempre state in ottimi rapporti fin dalla firma del «trattato d’amicizia, cooperazione e mutua assistenza» del 1961, ma da quando Kim Jong-un è salito al potere, Pechino sembra sempre meno disposta a dare credito al regime di Pyongyang e si è invece avvicinata progressivamente alla Corea del Sud della presidentessa Park, con cui fiorisce l’interscambio economico. Quanto all’amicizia tra i due popoli confinanti, è difficile trovare un solo cinese che ritenga i nordcoreani dei cosiddetti «fratelli». L’atteggiamento nei loro confronti è un misto di perplessità e commiserazione. Certo, poi fiorisce comunque il commercio transfrontaliero.
Resta quella minaccia incombente che, a oggi, preoccupa sempre più la leadership di Pechino. E il problema non sembra risolvibile con le nuove sanzioni.