La signora Lu raccoglie la spazzatura dello xiaoqu, il complesso residenziale dove sono andato a vivere, tra il secondo e il terzo anello delle circonvallazioni pechinesi.
Ogni giorno, mentre tra i vialetti di questo quartiere perimetrato scorre indifferente la gente che ci vive, lei divide i rifiuti e li ammassa in buon ordine nello spiazzo dove c’è l’uomo del camion che li porta via. Lui, per non sporcarsi, indossa un camice blu da bidello. Lei no. C’è una grossa bilancia, li pesano e li caricano sul camion a cassone aperto. Plastica, cartone: la raccolta differenziata, in Cina, avviene a valle, non a monte.
Poi il camion parte per qualcuna delle discariche che circondano la metropoli.
La signora Lu viene dallo Henan e parla in mandarino con un accento incomprensibile per me che sono già duro di comprendonio. Tutte le “sh” diventano “s” o “z” e visto che il cinese è pieno di “sh”, “s” e “z” io mi trovo in un universo indifferenziato come se fossi un gatto finito per sbaglio in una lavatrice. Le sue due figlie ci guardano divertite perché nel giro di tre frasi ci mettiamo entrambi a urlare pretendendo di scandire meglio quanto stiamo dicendo, senza speranza che l’altro capisca. A quel punto si degnano di tradurre.
La signora Lu e le sue due figlie vivono sotto terra, nel palazzo di diciotto piani dove abito.