Pechino si prepara a dare un taglio netto alle grandi aziende di Stato. Nel 2015 il numero delle società sotto il controllo dell’amministrazione centrale potrebbe passare dalle attuali 112 a 50, forse addirittura a 30. Il programma prevede anche un taglio degli stipendi per i manager pubblici che non dovrà superare il doppio del salario base.
Il 2015 sarà l’anno dell’attuazione della riforma delle imprese pubbliche, scrive l’Economic Information. Il quotidiano finanziario dell’agenzia ufficiale Xinhua cita Li Jin, vicepresidente della China Enterprise Reform and Development Research Society, un centro studi legato alla Commissione di Supervisione e Amministrazione delle Imprese di Stato (Sasac).
Il piano di riforma si basa su quattro pilastri. Si parte dalla creazione di brand riconosciuti, che puntino sulla competitività internazionale e sull’innovazione, con un accenno particolare alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale. Pechino vuole inoltre promuovere forme di proprietà mista, ovviamente tenendo conto delle ragioni di sicurezza nazionale, ma con l’obiettivo di intaccare monopoli naturali e toccare settori quali l’energia, le infrastrutture e le telecomunicazioni, per attrarre investimenti privati. Infine le aziende dovranno abbandonare gradualmente i rami di attività che non costituiscono il loro core business e guardare ad acquisizioni e fusioni, anche all’estero.
La riforma delle aziende di Stato, in modo tale che possano modernizzarsi ed espandersi, è una delle priorità emerse nel corso dell’annuale riunione dei leader cinesi, che a inizio dicembre ha tracciato gli obiettivi in campo economico per i prossimi dodici mesi. È inoltre uno dei punti fermi della dirigenza guidata dal presidente Xi Jinping.
La necessità di mettere mano al settore si sposa alla campagna anticorruzione lanciata dal vertice del Paese con lo scopo esplicito di rinvigorire l’immagine del Partito comunista e con quello meno palese di regolare conti interni e sradicare possibili ostacoli al processo di trasformazione dell’economia cinese.
Ostacoli che in parte si annidano proprio nelle resistenze interne al settore delle grandi aziende pubbliche, dove negli anni si sono costituiti veri gruppi di potere. Si pensi ad esempio alla recente epurazione di Zhou Yongkang, numero nove del passato comitato permanente del Pcc, che di fatto aveva in mano il settore petrolifero.
Intanto con l’inizio dell’anno nuovo è arrivato anche l’avvio del programma pilota che prevede un taglio degli stipendi per i manager pubblici. La sforbiciata riguarda al momento 200 dirigenti di 72 aziende. Il nuovo regolamento stilato dal Consiglio di Stato, l’esecutivo cinese, prevede tra le altre norme che, in nome della trasparenza i dirigenti rendano pubblici i loro emolumenti.
La parte del salario legata alla produttività dovrà tenere in conto anche i risultati degli anni precedenti e non dovrà superare di due volte il salario base. Gli incentivi non potranno invece andare oltre il 30% dello stipendio medio del top manager durante il periodo del suo incarico.
Tornando ai cambiamenti complessivi del settore, la prossima grande azienda ad avviare il processo di riforma potrebbe essere la China Construction Bank. Il presidente Wang Hongzhang ha infatti annunciato che l’istituto ha allo studio un sistema di proprietà mista. Il progetto della più grande banca della Cina, ricorda il South China Morning Post, si pone sulla stessa linea di quanto annunciato lo scorso luglio da un altro colosso del credito d’oltre Muraglia, la Bank of Communications.
[Scritto per Milano Finanza]