Ve lo ricordate l’incidente di Dolce&Gabbana del 2018 con quella pubblicità per il mercato cinese? I cinesi se lo ricordano molto bene. La pietra dello scandalo fu rappresentata, prima che la situazione degenerasse ulteriormente, dei video promozionali in cui un’impacciata modella cinese (rivelatasi poi per altro coreana, tanto per peggiorare ulteriormente le cose) veniva derisa per i suoi tentativi fallimentari di mangiare con la bacchette cibi italiani come la pizza o un enorme cannolo siciliano. L’emittente televisiva CCTV rispose rilanciando un video – che poi divenne virale anche fuori dai confini nazionali – in cui le bacchette accompagnano tutti gli step della vita dei cinesi, e sono presenti nella raffigurazione dei principali valori della cultura tradizionale.
Questo episodio rese evidente il fatto che per i cinesi è molto grave e offensivo prendersi gioco delle bacchette. Esse sono molto più di uno strumento per portare il cibo alla bocca e saziare la propria fame; sono un simbolo che appartiene all’identità nazionale cinese, un codice che parla di pace, di convivialità, degli affetti, di tradizione e di cultura.
Il nome cinese delle bacchette è kuaizi 筷子, che suona un po’ come “fare presto un figlio”, e per questo vengono spesso donate alle coppie di giovani sposi. La loro storia, tra leggende e realtà, sembra risalire a un periodo che va tra il XVI e il XI secolo a.C., ma sono citate nel Liji Libro dei Riti e anche nello Shiji, il trattato storico di Sima Qian.
La simbologia dietro di esse è ricca: le estremità sono di forma tonda e quindi collegate al cielo, rappresentato da un cerchio nella simbologia taoista, mentre le basi sono di forma quadrata, ovvero la terra. Le dita che, per afferrarle, si pongono tra di esse, rappresentano l’uomo e il suo ruolo nel cosmo, cioè collegare cielo e terra e assicurarne l’equilibrio.
E qui si intuisce cosa evocano le kuaizi, l’armonia tra le parti, sono uno strumento pacifico, l’unico possibile in quel luogo di pace che è la tavola cinese. Infatti, già Confucio diceva che il coltello fosse uno strumento da bandire sulla tavola poiché, ricordando la guerra, avrebbe guastato il buonumore. L’unica persona che può maneggiare un coltello è il padrone di casa, ma in cucina, ben lontano dalla tavola. Questo spiega anche perché il cibo nella cucina cinese sia sempre tagliato in piccoli pezzi, quasi in bocconi, cosicché non richieda di essere tagliato ulteriormente, bensì sia fruibile direttamente con le bacchette. Tra gente che impugna le kuaizi si instaura un rapporto di fiducia, si abbassa la guardia mangiando dallo stesso piatto dei propri amici come dei propri nemici – le bacchette possono fungere anche da bandiera di tregua.
Non è un caso che nella business etiquette cinese l’affare tra le due parti non è mai davvero concluso al tavolo delle trattative, ma necessita di un ulteriore step; gli affari veri si chiudono a tavola, con i bicchieri ben pieni di grappa cinese, quando con le bacchette si prende il pezzo di carne più prelibato dal brodo e lo si poggia nel piatto dell’aspirante socio d’affari, accompagnato da un’esortazione quasi materna a mangiare di più, “多吃一点 duochiyidian”.
Per concludere, ora che è chiara l’importanza di quelle due stecchette poggiate in tavola accanto alla ciotola per il riso, è bene ricordarvi anche un paio di regole del galateo delle bacchette e risparmiarvi così una possibile brutta figura. Mai infilzare le bacchette verticali nella ciotola del riso: ricorda i ceri funebri accesi nei templi, ed è di cattivo auspicio. Da evitare anche il percuotere i piatti e bicchieri usando le bacchette come se si suonasse una batteria: ricorda il gesto dei mendicanti che battono le bacchette su una scodella per chiedere l’elemosina. Infine, in cene più formali, è buon costume usare l’estremità posteriore delle bacchette per prendere il cibo dai piatti comuni e portarlo al proprio piatto personale o servire un ospite, mentre andrà usata la parte anteriore per mangiare normalmente.
Di Livio Di Salvatore
*Livio Di Salvatore, abruzzese, classe ’93, laureato in Lingue, economie e istituzioni dell’Asia e dell’Africa Mediterranea presso l’Università Ca’Foscari di Venezia, ha poi frequentato un master in Food&Wine Management alla 24 Ore Business School. Attualmente si occupa di export verso la Cina nel settore vinicolo, e nel tempo libero alterna musica e birrini.