«Il signor Miao, parlava solo un inglese stentato ma passava la giornata a leggere Sapiens, A Brief History of Humankind di Yuval Noah Harari. Di notte, andava alle feste di musica elettronica e agitava goffamente il suo corpo cercando di ballare. Ogni giorno ha scoperto qualcosa di nuovo. C’è una cabina dove ci si bacia e tutti possono baciare gli estranei!».
Chen Qiufan, scrittore cinese di fantascienza e diventato sempre più il simbolo della new wave del genere letterario in Cina, per l’ultimo numero della rivista americana Logic dedicato alla Cina, si è recato al Burning Man Festival insieme a un gruppo di imprenditori cinesi.
Il Burning Man Festival è una sorta di rito collettivo annuale: si crea dal nulla una città nel deserto e si conclude il festone dando fuoco a un’immensa struttura di legno a forma di uomo. Nato come un evento controculturale, con il tempo è diventato sempre più trendy, portandosi addosso anche l’etichetta di «Woodstock per ricchi», poiché ha sempre più scavato nell’economia relazionale della Silicon Valley e dei nuovi ricchi americani, diventando un evento di richiamo per miliardari desiderosi di passare giornate in totale libertà.
I cinesi che accompagna Chen Qiufan non sono da meno: così come i ricchi americani arrivano al festival in jet privati e hanno alloggi a cinque stelle perfino nel deserto, ugualmente i cinesi – come spesso accade – hanno finito per formare una comunità nella comunità: alcuni, racconta Chen Qiufan, neanche andavano in giro a vedere cosa stesse succedendo: rimanevano nella loro tenda, a mangiare il cibo cinese, a parlare in cinese.
Il signor Miao – che stava lavorando a «una piattaforma digitale pronta a espandersi nel mercato nordamericano» – aveva un obiettivo: trovare «qualche affinità culturale» con tutta quella gente giunta in quella città improvvisata nel deserto del Nevada.
L’altro cinese a costituire un’eccezione è il signor Yang, «un ingegnere della più famosa piattaforma cinese di cortometraggi. Ha immaginato il Burning Man Festival come un gigantesco talk di Ted», ma alla fine anche il signor Yang è deluso: troppo divertimento e poca riflessione.
Ma, scrive Chen Qiufan, «Sebbene il signor Miao e il signor Yang possano essere stati delusi dal Burning Man Festival, confido che questa esperienza li abbia aperti a nuovi modi di pensare. Il signor Miao gradualmente ha accettato l’idea che le persone potessero andare in giro nudi. Il signor Yang ha fatto amicizia con un vicino che stava condividendo i biscotti di marijuana e ha avuto una lunga conversazione con un altro, un ingegnere informatico. Ho anche incontrato alcuni fondatori di importanti aziende tecnologiche cinesi che hanno riflettuto più approfonditamente su questi temi dopo aver vissuto il festival. Il fondatore del motore di ricerca e di internet Sougou, Wang Xiaochuan, ha dichiarato:
In questa comunità utopica, possiamo sperimentare culture o principi che sono stati scartati o distorti nel mondo civilizzato
Se riprendi certe cose con te, renderanno la tua vita quotidiana più creativa e più potente».
La testimonianza di Chen Qiufan (presente nel numero di Logic anche con un estratto del suo romanzo West Tide) racconta molto di più del mondo imprenditoriale tecnologico cinese di tanti report su fatturati e quotazioni.
E non manca di intravedere alcuni limiti del mirabolante mondo hi-techcinese: «le aziende tecnologiche cinesi stanno iniziando a pagare il prezzo per la loro immaturità ora che l’intero mercato si è saturato e centinaia di milioni di utenti hanno più esperienza con la tecnologia e l’opportunità di riflettere su di essa. Allo stesso tempo, il governo sta iniziando a intervenire attivamente attraverso la supervisione e la legislazione, rendendo la vita sempre più difficile per queste aziende».
Chen segnala una problematica che sta emergendo sempre di più nella Nuova Era di Xi Jinping.
Non basta più, sembra dire Chen Qiufan e come lui tanti giovani imprenditori cinesi, il patto sociale tra Partito e popolazione: serve un nuovo patto anche tra Partito e imprenditoria privata, specie in un momento nel quale il settore è spinto dal governo centrale che, allo stesso tempo, cerca disperatamente di tenere sotto controllo la direzione di questo processo.
Quello di Chen Qiufan non è il solo intervento importante contenuto nel numero di Logic, un magazine nato da poco – qui potete trovare il loro manifesto nel quale evidenziano il proprio approccio al tema – e che prova ad affrontare la tecnologia attraverso lenti diverse dal passato. E che ha un forte impegno politico (in questo momento soprattutto contro l’attuale presidenza di Donald Trump).
L’intenzione dei redattori di Logic è esplicitato nell’introduzione al numero: si parla sempre più spesso di una «guerra fredda», si parla sempre più spesso di Cina.
Ma molti dei ragionamenti presenti sui media occidentali sono spesso viziati «da un problema comune: partono dalla prospettiva americana. Possono riflettere alcune realtà cinesi ma sono anche, in molti modi, proiezioni dei desideri americani e delle paure americane. Di conseguenza, forniscono solo una visione parziale della tecnologia cinese. In effetti, gran parte della copertura mediatica americana perpetua stereotipi secolari».
La freschezza della rivista è dimostrata da tanti altri articoli contenuti nel numero dedicato alla Cina, in grado di aprire nuovi squarci sul mondo tecnologico cinese, sottolineando gli aspetti più originali, quelli relativi al controllo statale (Leninism 2.0 – A genealogy of the Chinese Communist Party’s relationship to technology di Nick Frisch ne è un esempio) o di smentire alcune narrazioni mediatiche iper superficiali sul tema dei crediti sociali (sistema ad ora separato da tutto l’impianto del Panopticon cinese).
E ancora testimonianza, come quella di Lü Pin, giornalista, attivista, studiosa e fondatrice di Feminist Voices (女权之声), «media online che ha ispirato innumerevoli giovani donne a unirsi al crescente movimento femminista cinese».
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.