Propone una Nato asiatica, vuole ridefinire l’alleanza con gli Usa e persegue la revisione della costituzione. Con una linea sulla Cina più pragmatica di quella dell’ultranazionalista Takaichi, adepta di Abe sconfitta al ballottaggio. Ecco chi è l’eterno sconfitto che è riuscito a ottenere la nomina a leader
Anche gli eterni secondi, un giorno, possono vincere. “Shigeru Ishiba è il nuovo presidente del Partito liberaldemocratico”. L’annuncio arriva a sorpresa, nella sala congressi di Tokyo dove ieri i deputati della forza di governo hanno scelto quello che martedì diventerà ufficialmente il 102esimo premier del Giappone. Ishiba, solo secondo al primo turno, sembrava destinato alla sconfitta al ballottaggio contro l’ultranazionalista Sanae Takaichi. Come gli era già successo altre quattro volte. Spesso contro l’arci rivale Shinzo Abe, il premier più potente degli ultimi decenni assassinato nel 2022, l’ultima volta contro il grigio Yoshihide Suga.
E invece no. Al quinto tentativo, il 67enne ex banchiere ha vinto quella che ha definito la sua “battaglia finale”. Decisiva la convergenza dei moderati del partito su di lui, per evitare le incognite di un eventuale governo Takaichi, iper conservatrice che sognava di diventare la prima leader donna. Solo terzo Junichiro Koizumi, ultimo rampollo di una dinastia che ha già prodotto un premier. Troppo pochi i suoi 43 anni per la politica giapponese, nonostante i non iscritti al partito apprezzavano la sua promessa di cambiamento.
Nelle sue prime parole da leader in pectore, Ishiba ha promesso che renderà il Giappone “un luogo sicuro”, dopo essersi tolto gli occhiali per asciugarsi il volto, visibilmente commosso.
Il successore di Fumio Kishida è un veterano del partito, forza tentacolare che governa quasi ininterrottamente dal secondo dopoguerra. Ex ministro della Difesa e dell’Agricoltura, Ishiba è apprezzato dall’opinione pubblica per la sua immagine di riformatore interno, conquistata con le dure lotte contro la fazione di Abe. Gli adepti dell’ex premier sostenevano Takaichi, assidua frequentatrice del controverso santuario Yasukuni, dove tra quelli di tanti caduti sono commemorati anche 14 criminali di guerra dell’era coloniale nipponica. Uno degli elementi che avrebbe reso una sua vittoria particolarmente indigesta alla Cina e alla Corea del sud, rischiando di pregiudicare il disgelo con Seul avviato nell’ultimo anno e mezzo.
La vittoria di Ishiba dimostra che la “dittatura” delle fazioni è stata picconata dallo scioglimento ordinato da Kishida dopo il maxi scandalo sui finanziamenti, causa principale delle sue dimissioni. Ma è anche un segnale che il baricentro del partito si è spostato verso il centro, pur mantenendo una linea molto dura sulla Cina. Cristiano protestante, al contrario del predecessore Ishiba si oppone all’utilizzo del nucleare per la transizione energetica. Vuole abolire l’antica legge che impone ai coniugi di adottare lo stesso cognome e tra le priorità ha indicato la gestione dei disastri climatici e l’emergenza demografica.
Le sorprese maggiori possono arrivare dalla politica estera. Pur sostenendo l’alleanza con gli Stati uniti, Ishiba la ritiene troppo squilibrata e vuole ridefinirla. La proposta di una Nato asiatica è vista come fumo negli occhi da Pechino. Nel mirino non c’è però solo l’ingombrante vicino, ma anche la ricerca di un certo grado di autonomia strategica dagli Usa. Desiderio destinato ad aumentare qualora alla Casa bianca torni Donald Trump. Per riuscirci, Ishiba persegue anche la revisione della costituzione pacifista imposta dal generale Douglas MacArthur nel 1947.
Possibile qualche frizione con l’alleato. E ovviamente più di una tensione con la Cina. Chi lo conosce scommette che da premier adotterà una linea più pragmatica. Ma lo scorso mese Ishiba ha preannunciato la sua candidatura durante una visita a Taiwan. Non proprio un gran viatico, agli occhi di Pechino.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.