LE DIMISSIONI FRETTOLOSE DI REN JIANXIN
SOSPETTI DI UNA FUSIONE TRA CHEMCHINA E SINOCHEM
IL CAPITALISMO DI STATO CINESE
Il tempismo per una fusione sarebbe perfetto. Non era possibile realizzarla prima perché si aspettava l’ok della Commissione europea sull’acquisizione di Sygenta, a oggi per la Cina la più grande operazione di questo tipo all’estero. In caso di fusione tra ChemChina e Sinochem, Bruxelles avrebbe sicuramente contrastato ancora più duramente la nascita di un possibile monopolio. Non solo. Ora che quello scoglio è stato superato, l’unione tra le due aziende di Stato sarebbe necessaria proprio perché Sinochem secondo gli analisti ha una contabilità ben più solida di ChemChina. Inoltre la Sasac, che gestisce un centinaio di aziende pubbliche considerate asset del Paese per un totale patrimoniale di più di oltre 900 miliardi, ha in mente di ridurne il numero tramite fusione. Entro il 2020 dovranno essere 80, ma capaci di “competere” sul mercato globale. Questo potrebbe essere lo scopo di tanta fretta. Vale la pena dunque farsi un’idea di chi gestirà questa complessa operazione, cioè il più che probabile futuro presidente Pirelli.
Ning Gaoning, che dagli occidentali si fa chiamare Frank G. Ning, è figlio di due dottori di provincia ed è cresciuto in piena rivoluzione culturale. Terminata la scuola superiore, fu rieducato come tanti nelle campagne da cui uscì solo unendosi all’Esercito di liberazione popolare. Quando il governo riaprì le università, Gaoning si iscrisse a quella dello Shangdong, la sua regione di origine. Uno zio lo convinse a non specializzarsi in Lettere, ma in Economia. Successivamente, visto il buon rendimento, partì per gli Stati Uniti, dove nel 1987 conseguì un Mba all’università di Pittsburgh («Quando sono tornato in Cina, tutti mi chiedevano che diavolo fosse un Mba», racconterà oltre 20 anni dopo).
DALLE CAMPAGNE CINESI ALLA FINANZA DI HONG KONG
La Cina stava cambiando e intraprendendo quel cammino di «socialismo con caratteristiche cinesi» che l’avrebbe portata a diventare la seconda economia mondiale, ma lui preferì trasferirsi a Hong Kong. Qui cominciò a lavorare per la China Resources Enterprise con cui mise a punto oltre 100 acquisizioni coronate con l’ingresso in Borsa nel 1992. Di fatto trasformò un’azienda che esportava cibo in una macchina da investimenti. Alla China Resources Enterprise rimase per quasi 18 anni. Fino al 2004 quando venne chiamato a Pechino a presiedere l’azienda di Stato Cofco, fino all’inizio degli Anni 80 monopolista del settore alimentare e unica azienda del Paese a commerciare con l’estero. I colleghi di Hong Kong lo sconsigliarono vivamente, erano convinti che non sarebbe riuscito a lavorare per il governo. Avevano torto.
A PECHINO IL SUCCESSO CON LE AZIENDE DI STATO
Inizialmente, ha raccontato il manager in un’intervista del 2008, fu «commosso da quanto fosse facile motivare e organizzare le persone in Cina». Portò a servizio dei carrozzoni di Stato un modo di fare business quasi statunitense: l’importanza di creare un marchio «riconoscibile e capace di influenzare le abitudini e la vita dei consumatori», l’idea che non sia sufficiente limitarsi a competere sui prezzi ma che serva innovazione e la convinzione che anche il pubblico possa partecipare a quei processi di «distruzione creativa» tipici del privato. Ancora nel 2015 Gaoning criticava le aziende di Stato per «aver perso la direzione, ingrassate dalla sovrapproduzione e rallentate nei cambiamenti strutturali». Su WeChat, social network per eccellenza in Cina, a ottobre 2016 aveva scritto che il suo è «un approccio sistematico, perché i leader devono comprendere la situazione economica, politica e sociale nel suo insieme in modo da disegnare una strategia complessiva».
DA IMPRENDITORE A POLITICO
In Cofco investì in ricerca e innovazione e si lanciò in importanti acquisizioni, tanto da definirsi «il cowboy dei capitali di Stato». Introdusse persino la pratica di stilare una classifica annuale dei 100 migliori manager dell’azienda e di rimpiazzare quelli che finivano agli ultimi posti. I media cinesi lo celebrarono. Per 10 anni consecutivi è stato tra i 25 imprenditori cinesi più influenti, per tre volte il personaggio economico dell’anno per la televisione di stato Cctv. Ma tutto questo in Cina non accade se non si coltivano a dovere le relazioni politiche. Dal 2007 infatti è membro del Congresso nazionale (per intenderci quello che ogni cinque anni elegge il presidente del Partito e quindi della Repubblica popolare), nella scorsa legislatura ha fatto parte della potentissima Commissione centrale per le ispezioni disciplinari e oggi è membro del panel di esperti per il 13esimo piano quinquennale, quello che guiderà il Paese fino al 2020. Recentemente ha detto: «Andiamo verso un’epoca in cui l’etica del commercio, i regolamenti governativi e le pratiche aziendali devono andare nella stessa direzione». Ed è quello che dobbiamo aspettarci dal futuro presidente di Pirelli. Tenendo sempre a mente, però, che la direzione sarà quella che converrà a Pechino.
di Cecilia Attanasio Ghezzi
[Pubblicato su Lettera 43]