Chi ci guadagna dal libero scambio

In by Gabriele Battaglia

Una decina di giorni fa, il governo cinese ha annunciato che a Shanghai sarà creata una zona pilota di libero scambio, un porto franco dove saranno liberalizzati i flussi di capitali e lo scambio di merci transfrontaliere, per trasformare la città in uno dei principali centri finanziari del mondo. Sarà un’area di 28 chilometri quadrati e, per chi conosce Shanghai, comprenderà soprattutto l’area di Waigaoqiao, il porto di Yangshan e alcuni lotti nei pressi dell’aeroporto internazionale di Pudong. Oggi si fanno i conti in tasca a quello che rischia di diventare un enorme caso di speculazione immobiliare.

Lo fa il South China Morning Post in quello che, va detto, appare un articolo piuttosto interessato. Il Post è infatti il principale quotidiano di Hong Kong e la nuova free-trade zone di Shanghai potrebbe rosicchiare all’ex colonia britannica ulteriore spazio come centro finanziario leader della Cina e dell’Asia orientale, in una rivalità tra le due metropoli che dura ormai da una quindicina d’anni.

Secondo il giornale, sono soprattutto quattro i “vincitori” dell’intera operazione. Si tratta di Shanghai Waigaoqiao Free Trade Zone Development, Shanghai Lujiazui Finance & Trade Zone Development, Shanghai Zhangjiang Hi-Tech Park Development e Shanghai Jinqiao Export Processing Zone Development, grandi imprese di sviluppo immobiliare quotate alla borsa cinese.

Possiedono il maggior numero di terreni nell’area del progetto e godranno della crescita esponenziale del loro valore. Non solo: faranno ulteriori profitti cambiando la destinazione d’uso dei terreni da industriale a commerciale.

Di che cifre parliamo? Per ora si possono dedurre. Vincent Cheung Kiu-cho, direttore nazionale per la Cina continentale dell’agenzia di perizie Cushman & Wakefield, dichiara al Post che i prezzi dei terreni nelle già esistenti zone di libero scambio a Shanghai – quella nuova dovrebbe accorparne diverse ed estenderle – sono passati in un battito di ciglia da 197 a 1.700 yuan al metro quadro (24-210 euro).

Si cita inoltre il caso di un sito industriale da 28.046 metri quadrati, nella zona di libero scambio dell’aeroporto, che in giugno è stato venduto per 48 milioni di yuan, o 1.713 yuan al metro quadro. All’inizio di questo mese, un sito nella zona di Waigaoqiao con una superficie di 10.117 metri quadrati, è stato ceduto invece per 17,2 milioni di yuan, o 1.700 al metro quadro.

La crescita esponenziale dei prezzi immobiliari andrebbe tuttavia in controtendenza rispetto a quello che è l’obiettivo dichiarato dal governo cinese: attirare capitali e imprese al livello più alto della catena del valore, grazie a piena convertibilità del renminbi, tassi di interesse liberi di fluttuare secondo le leggi di mercato, “prodotti finanziari innovativi” e possibilità di investimento in titoli stranieri.

Bisogna creare un nuovo motore di crescita per l’economia cinese, non cercare benefici immediati nel settore immobiliare.

Si vocifera quindi che potrebbe essere adottata una soluzione “alla Shenzhen”, la prima zona economica speciale della Cina: “Come già successo a Shenzhen Qianhai – dice Frank Chen, un consulente immobiliare – il governo locale potrebbe imporre alcune linee guida per il mercato fondiario, onde evitare un eccesso di concorrenza, consentendo al tempo stesso un ragionevole apprezzamento dei terreni”.

Oltre agli sviluppatori immobiliari di cui sopra, gli esperti si aspettano che anche riconosciute imprese straniere siano invitate per partecipare al business.

Per quanto riguarda la costruzione di infrastrutture, un effetto calmiere potrebbe svolgere l’assegnazione degli appalti a grandi imprese statali che, almeno in teoria, dovrebbero perseguire l’interesse collettivo e progetti di lungo periodo più che il profitto immediato. Ma, come si sa, le stesse Soe sono spesso protagoniste di episodi speculativi e di corruzione.

[Scritto per Lettera43; foto credits: scmp.com]