Fin dall’inizio della crisi dovuta al coronavirus, per i politici del partito comunista dell’Hubei e di Wuhan in particolare, non ha tirato una bella aria, anzi. Di fatto gli unici ritenuti da popolazione e vertici politici i «colpevoli» in tutta questa vicenda, sono proprio i funzionari locali.
In primo luogo sindaco e capo del partito di Wuhan, colpevoli di non aver segnalato subito per tempo il problema. Anzi, avevano perfino punito otto medici per «aver diffuso allarmismo»: il caso di uno di loro, Li Wenliang, poi morto proprio a seguito del coronavirus, ha dimostrato la pochezza dei dirigenti del partito comunista di Wuhan. A loro però, per ora, non è ancora accaduto nulla, al contrario di centinaia di funzionari che invece sono già stati rimossi in quanto «non all’altezza».
Nei giorni immediatamente dopo l’annuncio della quarantena a Wuhan, nel capoluogo dell’Hubei si è recato il premier Li Keqiang. La sua storia, la sua carriera all’interno della Lega dei giovani comunisti, è quanto fino ad ora potrebbe avere garantito la salvezza al sindaco di Wuhan, anch’egli appartenente alla stessa «fazione» interna del Pcc.
Ma nei giorni scorsi Xi Jinping ha deciso di mandare nella città Chen Yixin, suo «protetto» fin dai tempi della loro attività amministrativa nello Zhejiang, una delle regioni più ricche e produttive della Cina. Chen ha fama di uomo d’ordine, di grande capacità risolutiva e di grande comunicazione all’interno dei suoi team e soprattutto dal 2016 al 2018 è già stato a Wuhan come capo del Pcc. Stando ai media cinesi, Chen avrebbe cominciato a lavorare proprio raccogliendo all’interno di gruppi di WeChat tutte le persone coinvolte nel suo obiettivo di gestire al meglio questa emergenza sanitaria. Chen, classe 1959, è un fisico (ai tempi dell’Università ha militato anche lui nella Lega giovanile dei comunisti) che ha ricoperto numerosi incarichi amministrativi e all’interno del partito; arriva a Wuhan come segretario generale della Commissione centrale per gli affari politici e giuridici, l’organo che sovraintende al mondo giuridico cinese.
Il South China Morning Post ha riportato le parole del professor Qin Qianhong dell’Università di Wuhan, secondo il quale «il background di Chen potrebbe aiutare Pechino a coordinare la sua risposta allo scoppio dell’epidemia e soprattutto e garantire stabilità sociale: la lotta contro l’epidemia ora richiede un maggiore coordinamento con le forze armate e di polizia, e il background di Chen potrebbe essere utile. Ed era il capo del partito a Wuhan». Il suo passato dovrebbe garantirgli anche una certa confidenza con il territorio: secondo il professor Qin, «Chen è conosciuto come un buon oratore pubblico e per essere deciso ed energico», benché non sia ricordato per nessun risultato particolarmente importante nella città ora al centro del contagio del virus.
Il curriculum ufficiale di Chen – riportano tutti i media tanto cinesi quanto di Hong Kong – indica che il suo rapporto con Xi è di lunga data e che è considerato generalmente come un «esperto» nel mantenimento della stabilità, punto fisso del Pcc e obiettivo che talvolta viene raggiunto anche attraverso un uso piuttosto massiccio della polizia.
Nel 2015 Chen era stato promosso come vicedirettore del gruppo che sovrintende alle «riforme». Il gruppo, ovviamente, è stato fondato e presieduto da Xi Jinping.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.