Boom delle invenzioni made in China, ma il dato quantitativo non corrisponde necessariamente a quello qualitativo. Le statistiche sono infatti gonfiate dall’idea di "brevetto" sdoganata oltre Muraglia. Ma attenzione, questo non significa assolutamente che i cinesi sappiano solo copiare. Il Dragone impara. L’Europa sta perdendo la gara dell’innovazione nei confronti di Cina e Stati Uniti. Così dicono i dati sui brevetti del 2013, che però vanno presi con le molle. Se il trend è senz’altro genuino, è difficile infatti paragonare i criteri con cui, nei diversi sistemi industriali, si intende “brevetto”.
A livello globale, sono stati 2,6 milioni i patentini depositati nel 2013, con un aumento anno su anno del 9 per cento, secondo la World Intellectual Property Organisation.
Quelli presentati in Cina sono ormai un terzo del totale, con gli Usa secondi (22 per cento) e l’Europa che perde sempre più terreno (5,8 per cento, il livello più basso di sempre). Se fa sensazione il crollo della Spagna (-7 per cento), il -1 per cento di Italia e Regno Unito ci dice male sulla possibilità del Vecchio Continente di competere sul lungo periodo.
La crescita più rapida, manco a dirlo, è quella cinese (+26 per cento), con l’Australia che totalizza un +13 e la Corea del Sud un +8.
Tuttavia, soffermarsi sulla quantità dei brevetti presentati oltre Muraglia potrebbe essere fuorviante. Nel 2009, il governo di Pechino ha lanciato l’ambizioso “Piano nazionale di medio-lungo termine per lo sviluppo della scienza e della tecnologia (2006-2020)”, che si propone di fare del Paese una superpotenza tecnologica entro il 2020 e il leader mondiale entro il 2050. Un progetto che si innesta sul “grande sogno cinese” di Xi Jinping e che attira miliardi di yuan in ricerca&sviluppo.
Questa strategia top-down prevede tra le altre cose che le imprese patrie raggiungano la quota di 2 milioni di brevetti entro il 2015 e supporta quindi l’obiettivo “politico” con sussidi e incentivi.
Tra questi ultimi, anche facilitazioni nelle stesse procedure per depositare i brevetti. È stata così ripresa la categoria europea di “modello di utilità” (che da noi designa il riadattamento di prodotti già esistenti), facilitandola ulteriormente con la possibilità di inserirvi i semplici assemblaggi. Alla categoria superiore – “invenzione” – corrispondono invece i nostri modelli di utilità. Insomma, basta fare reverse engineering di un prodotto altrui, per ottenere il brevetto.
È anche per questo motivo che ai produttori occidentali, quando sbarcano in Cina, capita di trovare qualche propria invenzione già bella e depositata da qualcun altro. Tra l’altro, solo la categoria più alta va incontro a un processo di verifica, mentre i modelli di utilità si basano in genere su una semplice autocertificazione.
Ma non è tutto: alla voce “brevetto” rientrano anche i nostri copyright, cioè i prodotti immateriali, del design.
È chiaro che queste politiche gonfiano le statistiche, a loro volta non troppo attendibili di per sé, come spesso capita ai dati cinesi. L’obiettivo che arriva dall’alto produce uno scenario simile a quello del Grande Balzo in Avanti, quando per compiacere i target di produzione agricola si inventavano campi di grano inesistenti (oltre a togliere il cibo di bocca ai contadini). Il tutto, si capisce, riveduto alla luce delle esigenze contemporanee di potenza tecnologica.
I sospetti che sia proprio così vengono dal fatto che solo 30mila degli 825mila brevetti cinesi del 2013 sono stati presentati al di fuori del Paese, mentre Stati Uniti e Giappone, all’estero, ne hanno depositati oltre 200mila.
Dunque, tutto ciò significa che la Cina non innova? Non esattamente.
Secondo Bill Dodson, autore di China Fast Forward, “la Cina ha identificato opportunità totalmente accantonate dai Paesi occidentali. Stati Uniti, Germania e Giappone – spiega – tendono a sovra-ingegnerizzare i loro prodotti, aggiungendo funzionalità e caratteristiche per vendere a clienti che possono permettersi le modifiche restituendo in cambio alti profitti”.
La Cina, però, è “entrata a gamba tesa sui Paesi sviluppati adottando e adattando la tecnologia straniera per il proprio mercato interno, acquisendone quindi una profonda conoscenza ed esportandola quindi in versione ridotta nei Paesi con profili di sviluppo simili al suo”.
Così facendo e aggiungendovi l’acquisizione di tecnologie occidentali d’avanguardia – la recente offerte cinese per Breda Ansaldo rientra a questa voce – il Dragone impara e cerca di colmare il divario. Intanto deposita brevetti.