Tra Cina e Usa sono in corso i negoziati sui dazi (importanti anche per l’Europa). E per complicare le cose alla Cina, Trump da tempo sta provocando Pechino sulla questione Huawei.
Secondo quanto pubblicato un paio di giorni fa sul Wall Street Journal, una corte americana, a Seattle, avrebbe intrapreso un’indagine penale per furto di segreti commerciali nei confronti della Huawei, il gigante di telecomunicazioni cinese. Si tratta di un atto, se sarà confermato, non certo inaspettato. Da tempo gli Usa hanno messo nel mirino la Huawei, accusandola di essere ben più intrecciata di quanto sostenga con il governo cinese (ipotesi basata sulle origini «militari» del colosso).
Lo stesso Trump a inizio anno si era esposto, parlando addirittura di un decreto esecutivo contro l’azienda cinese.
Il panorama all’interno del quale si muove questo scontro è chiaramente collegato all’attuale ricerca di compromessi sui dazi tra Cina e Usa. Con la Huawei, Trump cerca di rendere piuttosto scomoda la sedia dei negoziatori cinesi. La Cina, da parte sua, risponde colpo su colpo ma sembra sorniona e in attesa di sferrare qualche colpo ad effetto che, a questo punto, apparirebbe perfino legittimo di fronte a una stretta davvero epocale intorno alla Huawei. Proviamo a mettere in fila, semplicemente, quanto accaduto negli ultimi tempi, sottolineando che tutto ha avuto una sua accelerazione negli ultimi 45 giorni.
A inizio dicembre la dirigenza di Huawei aveva specificato che la propria strategia era da considerarsi non inserita all’interno del piano Made in China 2025, obiettivo principale dei dazi americani. Qualche giorno dopo la direttrice finanziaria del gruppo, nonché figlia del fondatore, Meng Wenzhou viene arrestata in Canada, su richiesta Usa.
La Cina arresta un canadese, poi un altro. Trump a capodanno minaccia indagini su Huawei. Cominciano i negoziati tra Usa e Cina sui dazi. Meng viene rilasciata su cauzione. La Polonia dice yes agli Usa e arresta un cinese, impiegato dalla Huawei, accusato di spionaggio. La Huawei licenzia il suo dipendente il giorno dopo. La Cina condanna a morte un cittadino canadese arrestato nel 2014 per spaccio di droga. Torna a parlare dopo moltissimo tempo il fondatore della Huawei, Ren Zhenfei: specifica che la Huawei non è il Pcc. Da Seattle arriva il rumor: Huawei sotto indagine penale per furto di segreti commerciali.
La Cina ha definito tutto quanto una forma «isterica» di comunicazione americana, ma è chiaro cosa ci sia di mezzo: la corsa alla leadership mondiale tecnologica.
Huawei, infatti, oltre ad avere superato Apple nella vendita degli smartphone è anche una delle aziende più avanti nel 5G. Pechino da tempo ha investito tanto, 150 miliardi di dollari solo sull’intelligenza artificiale, per compiere un passaggio storico, da paese esportatore di merce a bassa qualità a esportatore di tecnologia all’avanguardia (comprata dagli Usa, come ad esempio le super videocamere «intelligenti» made in China).
Si tratta di un percorso ormai tracciato che Trump può solo rallentare o complicare: che la Cina diventi numero uno o rimangia in scia degli Usa, il processo è in atto; nelle città cinesi quella tecnologica è una «campagna» come lo sono state in passato altre e ben più famose. Trump, inoltre, finge di non vedere il quadro generale: è la nuova via della seta che trasporterà per il mondo questa nuova postura internazionale della Cina; più velocità negli scambi commerciali e una ovvia «presenza» geopolitica cinese che ormai dal centro Asia, punta al nord Europa, all’Africa e di recente anche all’America Latina. Mentre Trump pensa ai muri.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.