Il gusto di perdersi in una terra desolata e perciò bellissima, il brivido, il terrore, la solitudine e poi gli incontri, sempre in chiave minimale e rarefatta. Sensazioni di viaggio del fotografo Aluss.
Sono in piedi tra le due porte con lo zaino sulle spalle.
Esito un istante, non sapendo quale delle due si sia aperta.
Dai lati delle porte riesco a vedere la catena montuosa che corre da est a ovest.
Una successione infinita. Spoglia.
Esito un istante, non sapendo quale delle due si sia aperta.
Dai lati delle porte riesco a vedere la catena montuosa che corre da est a ovest.
Una successione infinita. Spoglia.
Il treno rallenta.
Annunciano: “Siamo arrivati alla stazione di Buluke, il treno sosta per un minuto”.
Il treno tentenna leggermente e si ferma.
Gli inservienti passano indolenti, la porta a sinistra è aperta.
Il vento freddo dell’alba arriva dritto in faccia. E così, i fumi soffocanti che hanno avvolto il mio spirito tutta la notte, sono scomparsi. E tutto è diventato improvvisamente chiaro.
Sul binario c’è una persona che alza una bandierina triangolare di due colori: verde e rosso.
Non c’è nessun altro. Sono da solo.
La stazione ha un’unica porta da cui si può entrare.
Faccio un solo passo verso quella porta rotonda e sento il rumore del treno che riparte.
L’alta catena montuosa torreggia ostruendo lo sguardo. Tutto è uguale alle mie spalle.
I picchi frastagliati mi atterriscono. Vorrei indossare un casco per proteggermi.
C’è una Jeep 2020 ferma. L’autista mi squadra dalla testa ai piedi.
Mi avvicino a chiedere indicazioni per raggiungere il villaggio di Buluke. Mentre cammino, guardo attentamente il mio volto nello specchietto laterale.
Lo specchio è sporco di polvere, non si vede nulla. Con il dito medio, traccio una linea dal basso verso l’alto.
Appare la punta del naso, ma gli occhi sono ancora confusi.
“Ti accompagno per cinque Yuan, chi cerchi?”
Salgo in macchina. L’uomo mi porta in un grande piazzale e si ferma.
L’autista mi dice che quello è l’unico hotel a Buluke.
Spingo la porta dell’hotel ed entro, non c’è ombra di nessuno.
“C’è qualcuno?”, urlo.
Nel corridoio vuoto la mia voce risuona per un attimo e poi sparisce.
“C’è qualcuno? C’è qualcuno?”.
La porta si apre di un tanto, c’è una donna stupita lì, sull’uscio.
“Voglio alloggiare nell’hotel”. Le dico avvicinandomi.
“Cinque Yuan a notte” dice aprendo una stanza. Due letti singoli, una bacinella per lavarsi con la struttura di metallo che la sorregge.
Mi sdraio con le gambe penzolanti al lato del letto e mi addormento.
Dall’hotel cammino verso ovest. Le due parti della catena montuosa si congiungono nell’orizzonte indistinto.
Sui due lati della strada sporca e dissestata rimangono silenti i muri e le case di fango.
Attraverso le crepe delle case intravedo i grandi ciottoli del letto del fiume e i ruderi sulla riva opposta.
Probabilmente era questo il luogo in cui sorgeva il villaggio. Vado fino alla fine della strada, fino alla porta della scuola di Buluke.
Tra alcune case di mattoni si diffonde una nenia indistinta.
“Cosa fai?”. Dice una persona dietro di me.
Mi giro. Un vecchio con le stampelle e gli occhi torbidi mi guarda calmo.
“Perché non c’è nessuno nel villaggio?”. Dico guardandomi attorno.
Il vecchio risponde: “I giovani all’alba vanno a ovest del fiume a lavorare”.
[Il pezzo è anche su Caratteri Cinesi. Foto di Aluss, traduzione di Désirée Marianini]
[Il pezzo è anche su Caratteri Cinesi. Foto di Aluss, traduzione di Désirée Marianini]
*Aluss è sia fotografo sia gestore di un noto whisky-bar pechinese. Di origine mongola, basa la propria estetica sul viaggio e sulla riscoperta della natura e dei grandi spazi della sua terra. Pubblica foto e scritti sul suo blog.