Un uomo prende un treno nella notte e qualcosa di strano succede. Inizia così un racconto di Han Song che risale ai primi Novanta ma che rivela già le inquietudini della Cina di oggi. Espresse, in questo caso, attraverso la fantascienza. Ne pubblichiamo un ampio stralcio in quattro puntate. Uscendo dall’ufficio si accorse subito che era una notte di luna piena.
L’astro, galleggiando sospeso sul pallido canyon metropolitano, iniziava già a rimpicciolire.
Molto più in basso il traffico fluiva scarso.
Non che la cosa lo riguardasse. Lui, come al solito, andò a prendere la bicicletta. Giunto all’ingresso della metropolitana, diede un’occhiata all’ora. Mancavano ancora cinque minuti all’arrivo dell’ultima corsa. In realtà non gli serviva neppure guardare l’orologio, una vita di turni di notte gli aveva insegnato a determinare l’ora con precisione.
Sul tetto dell’edificio di fronte all’ingresso della stazione l’enorme insegna al neon della Coca Cola, splendente come un grande fuoco, nascondeva la luce lunare. Inconsciamente ebbe l’impulso di parare con il braccio quel bagliore che non gli era mai sembrato tanto fastidioso.
Che fosse perché quella sera era troppo stanco, o perché davvero era giunto all’età della pensione?
Parcheggiata la bicicletta, scese verso i binari, e solo allora iniziò a sentirsi un po’ più tranquillo. Le sensazioni suscitate in lui da quel luogo, legate al tempo stesso alle partenze e ai ritorni, lo riportarono ai primi anni di scuola.
Tra coloro che attendevano l’ultimo treno, disseminati lungo la piattaforma, c’era chi leggeva il giornale e chi si appoggiava al pilastro di cemento di traverso, in uno stato di trance. In tanti anni si era abituato a questa scena che dal mese successivo non avrebbe più rivisto. Dopo il pensionamento, probabilmente avrebbe avuto altre occasioni per prendere la metropolitana, presumibilmente però non l’ultima corsa.
Un rombo risuonò in lontananza, poi arrivarono le luci, e il vento freddo che soffiava nelle profondità del tunnel. Per qualche bizzarro motivo, ogni volta gli tornava in mente la notte che Wu Song [eroe della letteratura cinese classica celebre per la sua abilità nel combattimento; viene spesso ricordato per aver ucciso una tigre a mani nude ed è proprio a questo episodio che si fa riferimento nel racconto, ndt] aveva trascorso sui monti Jingyang; come ogni volta, fece un passo indietro.
Il treno si fermò, come sempre le porte si aprirono meccanicamente e la fila di gente salì a bordo. Sedendosi, i pochi passeggeri si dispersero nella carrozza: c’era chi sonnecchiava col capo chinato, chi leggeva il giornale e chi, senza far niente, si limitava a sedere con lo sguardo perso nel vuoto.
La scena era sempre la stessa. Alla noia, ormai diventata apatia, stranamente si mescolava un certo apprezzamento. Scelse un posto vuoto a caso e si sedette, si sentì stanco e socchiuse gli occhi per riposare.
La metropolitana entrò nuovamente nelle profondità oscure. Come un brano trasmesso a ripetizione, quel frastuono così familiare filtrava nella mente fino ad occuparla interamente. Ascoltò con soddisfazione, immerso nell’invariato ripetersi della vita.
Il suono di quella notte però, cos’aveva di diverso? Il brano sembrava particolarmente prolungato. Aprì gli occhi e si accorse che il treno era ancora in movimento; fuori era buio pesto.
Dovremmo essere arrivati alla stazione, pensò tra sé. Dovremmo esserci.
Ma questa volta era diverso, le piattaforme decorate con insegne pubblicitarie luminose e colorate non apparvero.
Passarono cinque minuti, dieci…
Guardò l’orologio, ma si accorse che era già fermo. Era impossibile!
Il suo stupore gradualmente divenne paura. Con le spalle irrigidite, controllò gli altri passeggeri nel vagone. Stavano tutti dormendo, col capo chinato, del tutto ignari di ciò che accadeva intorno a loro.
Ancora una volta pensò che qualcosa non stesse andando per il verso giusto:
solitamente non erano tutti addormentati. Si alzò in piedi e avanzò, nella carrozza oscillante, in direzione del giovane seduto di fronte a lui: sentì che stava russando debolmente, una copia di Leggere era scivolata sul pavimento.
“Ehi, sveglia.” disse. Ma il giovane dormiva profondamente e non dava segno di volersi svegliare. Dopo un attimo di esitazione, fece per scuoterlo con la mano, ma questa entrando in contatto col corpo del giovane, lo oltrepassò. La superficie che aveva attraversato era immateriale. A questo non era preparato.
Con il cuore in gola ritrasse l’arto, come se si fosse scottato, poi si strofinò gli occhi e lo fissò: un po’ di saliva, colando dagli angoli della bocca, gli stava inumidendo il colletto, tutto faceva pensare a un uomo in carne ed ossa.
Si ricompose e con attenzione allungò di nuovo la mano, che passò attraverso quel corpo, ancora una volta; di fronte a lui non c’era nessuno, era soltanto un’immagine!
La ritrasse lentamente, rifletté per un attimo, poi toccò se stesso. L’arto, passando attraverso il proprio petto fuoriuscì dalla schiena, eppure non provò alcuna sensazione.
Niente avrebbe potuto turbarlo di più. Con voce tremante, gridò:
“Ehi, sveglia! C’è qualcosa che non va!”
Correva urlando da un capo all’altro della carrozza, ma nessuno gli prestava attenzione.
Dall’area di collegamento vide che la stessa scena di sonno letargico si ripeteva anche nella carrozza adiacente. Rimase ammutolito.
Percepiva chiaramente che il tempo continuava a scorrere, sebbene fosse ormai privo di riferimenti spazio-temporali.
Impotente, afferrò il corrimano – che al contrario era materiale – mentre guardava la velocità e l’oscurità sfrecciare all’esterno: erano senz’altro infinite.
Ebbe la sensazione di navigare nello spazio cosmico. Come poteva provare quelle sensazioni? Non aveva mai fatto esperienze simili, né si era mai interessato a questo genere di cose. Pensò che probabilmente era già molto lontano da casa. Il rombo del treno invece, continuava senza variazioni.
Iniziò a singhiozzare.
Il proprio pianto lo imbarazzò e lo riempì di stupore; era ancora in grado di piangere!
Il suono distinto dei propri singhiozzi gli fece capire che non stava sognando e questo cancellò le poche speranze che gli restavano.
Quand’era stata l’ultima volta che aveva pianto? Faceva fatica a ricordarlo, gli sembrava però che da adulto fosse successo di rado. Quando si era lasciato con la prima fidanzata, poi di nuovo durante la Rivoluzione culturale, quando stava camminando lungo la strada e un proiettile aveva colpito il passante accanto a lui. La vista di quella zucca sanguinante lo aveva spaventato tanto da farlo piangere.
Pensava di essersi già imbattuto in avversità di ogni genere restando forte e prendendo le cose con filosofia, ed ecco che sul punto di andare in pensione, con sua stessa meraviglia si ritrovò a piangere.
Solo, quello che non riusciva a capire era come fosse possibile che quei singhiozzi provenissero da un corpo che era un’immagine. Ma stava davvero piangendo, in fin dei conti, o si trattava di una registrazione?
A quel punto si chiese se fosse mai esistito.
1.continua
[Il racconto è anche su Caratteri cinesi. Traduzione di Chiara Cigarini]*Han Song nasce a Chongqing all’alba della Rivoluzione culturale, nel 1965. Si laurea nel 1991 a Wuhan in giurisprudenza, dopo aver preso una laurea di primo livello in lettere, specializzazione giornalista. Ancora giovane entra nell’agenzia di stampa nazionale cinese Xinhua, dove ricopre incarichi di sempre maggiore responsabilità. La sua produzione giornalistica si focalizza sulla cultura e sui trend sociali cinesi. Sin dagli anni degli studi universitari coltiva un amore per la fantascienza, dedicandosi alla scrittura di diversi racconti e ottenendo riconoscimenti dai circoli letterari sia della Cina continentale sia di Taiwan. Ha scritto diversi romanzi e raccolte di racconti. E’ considerato scrittore eclettico: "Il bordo abnorme" è il nome del suo blog, attivo dal 2005, dove raccoglie diversi scritti, riflessioni e poesie, brevi saggi e scritti d’attualità.