E’ forse il quotidiano più conosciuto della Cina, dopo avere spodestato dal podio il proprio "padre naturale": il Quotidiano del Popolo. Sia in mandarino sia in inglese, cartaceo e online, il Global Times gioca le sue carte abbracciando le ultime tendenze della società cinese – nazionalismo su tutte – e adottando uno stile aggressivo, popolare, che "si fa leggere". Ecco la storia della "versione pop del Renmin Bao", come lo definiamo di solito con eccessiva leggerezza. La redazione del Quotidiano del popolo sorge 1,6 chilometri ad est della nuova sede della televisione statale Cctv, nel cuore del distretto finanziario di Pechino. Un angolo di tranquillità in un quartiere caotico e rumoroso. Una volta attraversata l’entrata sorvegliata dalla polizia armata, procedendo verso nord-est, si raggiunge un edifico bianco di tre piani che sta proprio accanto a un giardino. Al suo interno esso presenta un arredamento semplice: le apparecchiature degli uffici sono tutti prodotti a buon mercato e, a parte le poltrone in pelle della sala conferenze, gli altri divani sono rivestiti di semplice stoffa. Le piastrelle del pavimento color grafite si sono allentate e cominciano già ad avere le prime crepe.
Questa è la redazione dell’edizione cinese del Global Times. Da quando, nel 2011, il giornale si è trasferito in questo palazzo non sono mai stati intrapresi lavori di ristrutturazione. E in effetti questa sede non è proprio all’altezza del suo nome: con 1,5 milioni di copie pubblicate giornalmente, il Global Times si piazza al terzo posto nel mercato della carta stampata cinese, e -anche a livello globale- viene sempre più spesso menzionato nell’ambito della politica internazionale. Per via del suo distintivo stile tagliente, è considerato dal mondo esterno non soltanto il megafono del governo cinese, ma anche del popolo.
Sul web cinese gira un modo di dire che ben sintetizza il ruolo giocato dal giornale nella società cinese, per via del suo pluralismo: "Chi amministra il paese legge il Quotidiano del popolo, chi lo vuole amministrare legge il Nanfang Zhoumo, chi crede di amministrarlo legge il Global Times, chi ritiene che il paese sia ormai in mano a forze straniere legge [il sito di estrema sinistra] Utopia".
Persone diverse giudicano il Global Times in maniera completamente differente. I suoi sostenitori ne esaltano il patriottismo, la voce del Paese, l’energia positiva. I suoi detrattori, di contro, ne criticano il nazionalismo, l’incitamento all’odio e la diffusione di rumor.
Il giornale più controverso
Il 15 gennaio 2013 alle sei del pomeriggio il Global Times ha pubblicato sul suo sito internet un articolo dal titolo Il Giappone per la prima volta precisa che sparerà colpi di avvertimento nel caso in cui aerei cinesi si avvicinino alle isole Diaoyu. In esso si legge: "Durante la conferenza stampa, il ministro della Difesa nipponico Itsunori Onodera, rispondendo alle domande dei giornalisti cinesi e di Hong Kong, ha spiegato espressamente che, qualora velivoli cinesi entrassero nello spazio aereo giapponese in prossimità delle Diaoyu, gli ammonimenti sarebbero infruttuosi, per cui il Giappone sparerà verso verso gli aerei dei ‘colpi d’avvertimento’".
Fatto sta che, dopo quattro ore dalla pubblicazione del pezzo, Li Miao, corrispondente da Tokyo per l’emittente televisiva hongkonghese Phoenix, metteva in discussione l’accuratezza di questa notizia. "Il giornalista cinese di Hong Kong sono proprio io. Sono stato io a fare la domanda [in conferenza stampa], solo che il ministro della Difesa giapponese non ha risposto: ‘Spareremo dei proiettili come colpi di avvertimento’. Onodera ha parlato solo di ‘razzi di segnalazione’, i ‘colpi di avvertimento’ non li ha proprio nominati, per non parlare di ‘spiegare espressamente’. Questa è piuttosto un’interpretazione dei media". Presto un gran numero di internauti, scontenti e critici nei confronti del Global Times, hanno cominciato a dire che il giornale "persiste nella diffusione di notizie infondate" e che "è ansioso di seminare disordine".
La contromossa del Global Times non si è fatta attendere. "L’Asahi Shimbun riporta notizie false? Un giornalista di Hong Kong sostiene che il ministro della Difesa giapponese non ha mai detto che verranno sparati colpi d’avvertimento" così rispondeva la testata di Pechino sul suo account Weibo, sottolineando come si fosse attenuta a quanto scritto dal noto giornale giapponese. Questa disputa non ha fatto che animare i sostenitori del Global Times, i quali si sono scagliati contro Li Miao definendolo "ingenuo" e incapace di capire il vero significato nascosto nelle parole dei giapponesi. Chi invece gli si opponeva era ancora più indignato dal fatto che stesse cercando di addossare la responsabilità per la diffusione di notizie false all’Asahi Shimbun sul quale, peraltro, non compariva nulla di quanto insinuato dal tabloid cinese.
Nonostante le molte polemiche, il giorno seguente il Global Times tornava sull’argomento con un editoriale dal titolo eloquente: "Sparare colpi di avvertimento porterà Cina e Giappone sull’orlo di una guerra". Poi però, il 17 dello stesso mese, con il pezzo "Giappone, non utilizzare rumor per infondere coraggio!" faceva marcia indietro, correggendo discretamente quanto affermato in precedenza riguardo "i colpi di avvertimento".
Per quale ragione il Global Times ha deciso di soffiare sul fuoco del nazionalismo cinese, reinventando le affermazioni del ministro della Difesa giapponese? Negli ultimi anni i dubbi sulla fondatezza e la veridicità delle notizie pubblicate hanno funestato il giornale senza sosta. Sulla base di ricerche condotte sulle fonti, in passato professionisti dei media hanno sostenuto che mentre Reference News (una selezione di articoli presi da agenzie di fama mondiale e tradotti in cinese) al massimo riprende o estrae pezzi dai media d’oltremare, il Global Times, invece, ne stravolge completamente il significato.
D’altra parte, anche chi ne mette in dubbio la professionalità giornalistica, non può fare a meno di riconoscere che il Global Times è molto migliorato nella raccolta e nella gestione delle notizie internazionali. Ed è già riuscito a fornire una copertura giornaliera di tutti gli eventi più importanti, senza lasciarsene sfuggire nemmeno uno. Non importa in quale parte del mondo si stia verificando un fatto, grazie ai suoi corrispondenti e inviati speciali è quasi sempre in grado di ottenere notizie di prima mano. A parte il Global Times, non ci sono altre testate in grado di fare lo stesso. Tanto che oggi chi si occupa di affari internazionali difficilmente può fare a meno di consultarlo quotidianamente.
La schiera di critici ne lamenta la scarsa "genuinità", bollandolo come il megafono del governo cinese. All’interno del governo alcune persone lo hanno elogiato, evidenziando come la sua esperienza nel "corretto orientare l’opinione pubblica e perseguire i migliori effetti della propaganda" sia meritevole. Tuttavia è improbabile che i redattori del Global Times approvino questo genere di commenti; per orgoglio professionale, chiaramente, non ammetteranno mai di essere uno strumento della propaganda ufficiale, soprattutto perché si ritengono portavoce del popolo, mentre considerano chi nutre dubbi vittima del lavaggio del cervello ad opera della propaganda occidentale anticinese.
La natura controversa del Global Times fa sì che spesso i suoi giornalisti vengano isolati dai colleghi. Questa tendenza è diventata ancora più evidente dopo che, nel 2010, il giornale ha cominciato a partecipare sempre più spesso alla pubblicazione di notizie nazionali, toccando temi scottanti. Il suo staff -composto da nomi noti quali Hu Xijin e Wang Wen, rispettivamente caporedattore ed ex editor- spesso è stato oggetto di attacchi centralizzati, per via di alcune affermazioni fuori dall’ordinario. Tanto che proprio Hu Xijin, anche quando affronta in maniera critica tematiche quali la corruzione o l’inquinamento dell’aria di Pechino, difficilmente trova largo consenso.
Quando intervengono su questioni nazionali, i giornalisti del Global Times -grazie ad uno stile narrativo e a una argomentazione caratteristici- riescono spesso a spingersi ingegnosamente su terreni proibiti, rendendo il giornale l’unica fonte d’informazione per quanto riguarda alcune notizie. "Sappiate che i vostri post su Weibo certamente scompariranno, e in futuro quando le persone analizzeranno la storia improvvisamente si renderanno conto che, tra tutti i media cinesi, soltanto il Global Times ha impresso sulla carta ogni grande evento" ha affermato una volta con arroganza Wang Wen. "Tutte le parole sensibili di inizio Ventunesimo secolo sono custodite nel Global Times. E questo è il nostro miglior contributo alla storia".
Nonostante il Global Times incontri le perplessità dei colleghi di altre testate, tuttavia l’edizione in inglese riscontra una certa ammirazione nell’ambiente quanto a professionalità. Si è persino meritato la soddisfazione di sentir dire che "non soltanto è superiore a China Daily e 21st Century per quanto riguarda la forma linguistica adoperata, ma si avvicina di più ad una vero e proprio giornale britannico anche nei contenuti."
In passato qualcuno ha sintetizzato i titoli di copertina più ricorrenti sul Global Times così: "Ancora nuove cospirazioni di Stati Uniti e Giappone; Taiwan mette in atto manovre meschine per le sue velleità indipendentiste". Ma questa generalizzazione semplicistica è quanto mai inappropriata, almeno a partire dal 2008. La gamma delle tematiche affrontate dal Global Times si è fatta sempre più diversificata, avvicinandosi alla posizione assunta dalla testata che si ritiene "espressione di un mondo plurale e lettrice attenta della complessa realtà cinese".
Se si considera il mercato come unico giudice, allora oggi il Global Times è senza dubbio tra i giornali di maggior successo in Cina. Nello scenario attuale, in cui la grande sfida tra i media tradizionali e i "new media" ha indotto a una contrazione del mercato [editoriale], il Global Times è tra quelle testate che sono riuscite a mantenere una buona performance, inanellando notevoli successi.
Il vice caporedattore della rivista Caijing He Gang, che per un certo periodo ha anche lavorato alla sezione Esteri del Quotidiano del popolo, ritiene che il Global Times abbia sempre saputo "cogliere il punto giusto" in ogni periodo: nel momento in cui il mercato aveva bisogno di originalità, il Global Times è stato in grado di fornirgliela tempestivamente. Quando il nazionalismo ha cominciato a incontrare il favore popolare, lui ha iniziato a "vendere" nazionalismo, e quando la società ha chiesto opinioni nuove, le ha fornito il materiale su cui discutere.
La difficile ascesa di un giornale "scadente"
Secondo il caporedattore Hu Xijin, l’attuale struttura del Global Times si deve al suo predecessore He Chongyuan.
He nacque nel 1953 a Linli, nella provincia dello Hunan. Durante la propria infanzia sperimentò le privazioni della carestia. Dopo il liceo fece ritorno al villaggio d’origine per dedicarsi al lavoro dei campi. Entrato nelle brigate di villaggio, divenne segretario della Lega giovanile, poi si occupò della redazioni di documenti per la comune popolare per circa cinque anni, fino a quando nel 1977 non entrò nel dipartimento di Arabistica della Shanghai International Studies University. I primi 24 anni di vita li trascorse senza interruzione nel villaggio natio.
Inevitabilmente queste prime esperienze ne hanno plasmato lo stile divenuto poi distintivo del Global Times: il suo linguaggio era il più semplice possibile, in modo da risultare comprensibile anche a contadini e operai. Questo gusto estetico si poneva in netto contrasto con la ricerca del virtuosismo intrapresa da quelle testate che all’epoca si occupavano di affari internazionali, come Overseas Nebula, Elite Reference, Window of the World e World Vision.
Una volta conseguita la laurea, He venne assegnato alla redazione Esteri del Quotidiano del popolo. Qui nel gennaio 1993 fu fondato il Huanqiu Wencui (predecessore il lingua cinese del Global Times), di cui He divenne il caporedattore cinque mesi più tardi. Non è stato un lavoro semplice. Per avviare il nuovo giornale il Quotidiano del popolo dovette cedere uno dei suoi grandi uffici, mentre alcuni dei suoi giornalisti andarono temporaneamente a dare una mano. A fare da spina dorsale al nuovo progetto editoriale furono proprio i giornalisti più giovani o di mezza età del Quotidiano del popolo. Uno che partecipò all’impresa ricorda: "non avevamo mai gestito un giornale, ogni giorno si procedeva a tentoni".
Tutte le settimana usciva un numero di otto pagine, fronte retro. I contenuti vertevano quasi completamente su gossip, notizie originali o aneddoti circa quanto accadeva oltremare. In copertina venivano proposti articoli con titoli del tipo: "Mao Amin perché non sposi l’imprenditore di Singapore?" oppure "I bambini abbandonati, diventati adulti, vogliono conoscere la loro mamma". I primi tempi vennero pubblicate soltanto 20mila copie, tanto che la sopravvivenza del giornale era ancora in discussione.
Agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, il nazionalismo cominciò a fare la sua comparsa nella società cinese. Alla fine del 1990 il Quotidiano del popolo pubblicò l’articolo dello studioso conservatore He Xin "La situazione economica globale e i problemi dell’economia cinese", nel quale proponeva un nucleo ideologico basato sull’integrazione di patriottismo e nazionalismo. Nel 1996 "I cinesi possono dire no" divenne il bestseller dell’anno, con un milione di copie pubblicate. Il nazionalismo cominciava a fare breccia tra la popolazione.
In un primo momento questa evoluzione ideologica in corso nel paese non riguardò minimamente il Global Times. A quel tempo le testate urbane iniziavano a diffondersi, e anche il Huanqiu Wencui stava provando a imboccare la stessa strada. Ma qualunque fosse il numero delle copie stampate o il contenuto delle storie raccontate, nulla era in grado di catturare l’attenzione della gente. Molti dello staff venivano sbeffeggiati dai colleghi per i loro report scadenti. Una dipendente donna addirittura pianse per tutto il tragitto fino all’ufficio, dopo essere stata derisa mentre era in tipografia.
He Chongyuan ha ricordato più di una volta la confusione e le difficoltà dei primi tempi; non sapeva bene che tipo di giornale fare e a quale pubblico rivolgersi. Lui è sempre stato uno che ha lavorato sodo e ha portato avanti le cose con determinazione, spingendo personalmente la bicicletta lungo la strada in cerca di compratori, incitando il morale [dei colleghi] e cercando di capire le esigenze dei lettori. Al tempo ogni dipendente doveva lasciare la redazione e andare a vendere uno per uno tutte le copie alle varie edicole, annotando chi le aveva acquistate, che età avesse, chi fosse e se avesse dato dei consigli. Quella di scendere in strada a vendere i giornali è una regola non scritta; una pratica che è continuata per più di dieci anni e alla quale tutti i dipendenti di He si sono dovuti sottoporre.
Nel 1997 il Huanqiu Wencui cambiò nome in Global Times e cominciò progressivamente a riportare notizie dal mondo. A quel tempo i media cinesi che si occupavano di questioni internazionali erano ancora molto pochi. Tra i più importanti, il Reference News, fondato nel 1931 dall’agenzia di stampa Xinhua, World News, gestito da China Radio International, ed Elite Reference che faceva capo al China Youth Daily.
Questi periodici si basavano principalmente sulla traduzione di agenzie o di articoli di giornali esteri, il Global Times invece si avvaleva dei contributi dei corrispondenti del Quotidiano del popolo. I pezzi che non trovavano posto sul quotidiano finivano sul tabloid. Quanto a posizione e numero di tirature, a far impallidire il Global Times non erano soltanto i milioni di copie del Reference News, ma anche le centinaia di migliaia dell’Elite News e del World News. Eppure la superiorità del Global Times gradualmente cominciò a manifestarsi.
Il Quotidiano del popolo aveva corrispondenti in oltre 300 paesi e regioni del mondo, ma la sua versione internazionale regolare riusciva ad assimilare un numero di pezzi piuttosto limitato, così molti degli articoli che gli inviati mandavano indietro finivano automaticamente sul Global Times. In quel periodo He pagava i propri giornalisti di stanza all’estero un centinaio di yuan ogni mille caratteri; una paga stratosferica che gli permise di riunire intorno a sé un gran numero di redattori. Impiegati delle ambasciate cinesi all’estero, studenti sparsi per il mondo, personale di società straniere, persino le mogli dei corrispondenti cominciarono a scrivere per il Global Times.
La rete internet era ancora poco sviluppata, il popolo sapeva che i canali di comunicazione con l’estero erano ancora molto pochi, così il Global Times permetteva la diffusione immediata di informazioni fresche. Inoltre, grazie ad un linguaggio colloquiale e ironico, queste cronache dal mondo portavano una ventata di novità. Risultato: il numero delle pubblicazioni del giornale cominciò ad aumentare.
He stabilì che fornire informazioni e conoscenza ai lettori cinesi, dovesse essere il punto di partenza nella copertura degli eventi. Su questa base il Global Times iniziò a trattare notizie politiche, a riportare i principali fatti oltremare, come la successione di Kim Jong Il in Corea del Nord e l’abbandono del Sud Africa da parte dell’ambasciatore di Taiwan (in seguito all’instaurazione dei rapporti diplomatici tra Sud Africa e Repubblica popolare cinese nel 1998, ndt). Allo stesso tempo provò a violare alcuni argomenti tabù, spingendosi in acque proibite.
"Al tempo nei resoconti della stampa internazionale non veniva fatta parola della percezione che il mondo aveva della Cina" ricorda un alto funzionario del Global Times "descrivevano le attività all’estero come rapporti di partnership. Per esempio quando i leader cinesi andavano in visita all’estero o quando i funzionari di un altro paese venivano in Cina, i media riportavano soltanto dell’amicizia duratura tra le due nazioni. Noi invece abbiamo cominciato a penetrare a fondo nelle cose. Chiedevamo quale fosse lo scopo della [missione diplomatica], quali interessi e quali conflitti vi fossero tra i due paesi". Nella sua lotta per la sopravvivenza nel mercato editoriale, il Global Times, quasi per caso, ha cambiato il concetto stesso di giornalismo internazionale.
Nel 1998 il Global Times ha descritto in prima pagina le pressioni esercitate da Clinton durante la sua visita in Cina, ed è stato il primo a riportare della carestia in Corea del Nord, raccontando come l’erba fuori dall’ambasciata cinese fosse stata estirpata dal popolo ridotto alla fame. Ha persino inaugurato una colonna speciale dedicata alla libera discussione, in cui si incitavano i lettori a rispondere a domande del tipo "Come può la Cina vincere la sua partita col Giappone?"; "Perché la Cina ha fatto visita al Vietnam?" Responsabile di questa sezione era proprio Hu Xijin.
Rompere le convenzioni voleva dire accedere a una più ampia fetta di mercato, ma anche attirarsi le antipatie di molti. Così, oltre a scatenare le proteste delle ambasciate straniere, in un’occasione il Global Times si vide anche bloccare la piattaforma di libero dialogo.
Che si trattasse di report o di editoriali, il Global Times conservava un suo un tipico afflato nazionalista. Senza mezzi termini He Chongyuan dichiarò che il giornale doveva perseguire il patriottismo, e in questo processo di trasformazione il Global Times imbroccò un periodo storico particolarmente propizio.
Nel maggio 1999 l’ambasciata cinese in Yugoslavia venne bombardata. Il Global Times grazie ai suoi corrispondenti poté servirsi di informazioni dirette e uscì con un numero speciale, rompendo la routine delle pubblicazioni settimanali. In un solo giorno le copie stampate passarono da circa 40mila a 78mila. Molti tra gli studenti riuniti in protesta (fuori dall’ambasciata americana in Cina, ndt) stringevano nella mano proprio l’edizione speciale del Global Times. Grazie al giornale di He il nazionalismo che covava sotto le ceneri della società cinese trovò una valvola di sfogo.
Due mesi dopo, le pubblicazioni schizzarono nuovamente grazie ad un pezzo su Lee Teng-hui e la sua teoria di "Una Cina due sistemi". Nel 2001, con i report sulla collisione aerea tra Cina e Stati Uniti e sull’attentato dell’11 settembre, il Global Times pare abbia raggiunto quasi 2 milioni di copie.
Sembrava proprio che riportasse "la cosa giusta al momento giusto". Una bella fortuna, si potrebbe pensare. In realtà dietro al suo successo vi sono una serie di precondizioni imprescindibili. "L’incidente aereo" e la teoria di "Una Cina due sistemi" hanno certamente aiutato l’ascesa del Global Times, ma -come ha fatto notare He- questi episodi erano a disposizione di tutto il mondo, non solo del Global Times.
Secondo He, è stato il "sentimento nazionalista" a permettere alla testata da lui diretta di distinguersi nella competizione tra i vari contendenti del settore. L’incarcerazione dell’ex presidente di Taiwan Chen Shui-bian, il governo del primo ministro giapponese Junichiro Koizumi, gli attacchi americani in Afghanistan e Iraq hanno continuamente fornito al Global Times delle tematiche calde sulle quali dibattere.
Nella seconda metà del 2005, dopo dodici anni ai vertici del giornale, He Chongyuan, fu nominato vice presidente del People’s Daily, mentre il suo incarico venne assunto dal vice caporedattore Hu Xijin. La più grande difficoltà alla quale dovette far fronte Hu fu proprio quella di trasformare la testata in un quotidiano. Al tempo il Global Times usciva tre volte a settimana, con 1,2 milioni di copie per numero. Si era calcolato che una volta divenuto un quotidiano avrebbe ridotto il numero delle pubblicazione a 800mila copie. In occasione del banchetto di commiato in onore di He, un alto funzionario del Global Times si dice abbia giurato: "Se il giornale non riuscirà a raggiungere le 800mila copie, ci tufferemo tutti insieme nel Fiume Giallo".
Era come se Hu stesse camminando su una lastra sottilissima di ghiaccio. Nella prima metà del 2005 il real estate, così come altri settori, stavano attraversando un periodo di profonda crisi. In Cina il mercato della carta stampata cominciava a raffreddarsi: i media tradizionali avvertivano l’enorme pressione esercitata dai nuovi canali informativi. Un dipendente del Global Times ricorda come Hu Xijin fosse certo che in futuro lo spazio per l’innovazione tecnica dei giornali metropolitani si sarebbe ridotto progressivamente, e che solo grazie ad un’agguerrita concorrenza sarebbe stato possibile attrarre l’attenzione dei lettori.
Nel 2006 la testata di Hu pubblicò in successione prima un articolo in cui criticava la visita del premier giapponese Junichiro Koizumi al controverso tempio Yasukuni, poi uno contro l’ex presidente taiwanese Chen Shui-bian. Infine sfruttò le Olimpiadi di Pechino per "tirare fuori le emozioni del popolo cinese". In quel periodo i titoli e i contenuti degli articoli del Global Times evidenziavano una propensione verso il nazionalismo ancora maggiore rispetto al passato.
All’interno del giornale si discuteva su quale via intraprendere e quali strategie di marketing adottare. Alla fine si giunse alla conclusione che il Nanfang Daily Press Group avesse già acquisito troppa importanza, e che per il Global Times sarebbe stato meglio perseguire un altro cammino. Hu riteneva che, da un punto di vista strategico, il Global Times avrebbe dovuto allontanarsi dal modello del gruppo editoriale di Canton, diventando a suo modo un altro punto di riferimento.
"Cercava, così, nella crudele competizione del mercato un modo per ‘vendere bene’ ", ha commentato un redattore del Global Times. Una volta diventato un quotidiano, come ci si attendeva fin dall’inizio, il giornale cambiò di giorno in giorno fino a quando non si assestò sulle 1,5 milioni di copie. "Non smettevamo mai di cambiare modello per adattarci alle esigenze di mercato, e alla fine ce l’abbiamo fatta" ha spiegato l’uomo.
Questo [taglio patriottico] indusse il mondo esterno a credere che i lettori del Global Times fossero per lo più nazionalisti incalliti dal basso reddito e studenti. E sembrava comprovarlo la ridondante presenza di messaggi pubblicitari di medicinali per la prostata e unguenti specifici per l’iperplasia che hanno occupato la testata per molto tempo (benché, in teoria, il fatto che il giornale venisse distribuito sugli aerei sarebbe dovuto essere segno di buona qualità). Questa nomea del Global Times è sopravvissuta fino a oggi, e tuttora alcuni media stranieri lo etichettano come il tabloid del Quotidiano del popolo, organo del Partito comunista cinese.
Dopo che cominciò ad uscire giornalmente, il Global Times riuscì quasi a spazzare via quelle testate di notizie internazionali a scadenza settimanale quali World News, International Herald Tribune ed Elite Reference. A contendersi il mercato, in pratica rimasero soltanto Reference News e Global Times. Sebbene Reference News fosse ancora leader nel settore, la sua superiorità cominciava a vacillare, minacciata dall’avanzata del giornale di Hu. La sua struttura, basata su una miscellanea di notizie, era incapace di tenere testa alla nuova versione del Global Times.
Dopo il 2010, il Global Times iniziò a focalizzarsi sulla situazione nazionale. "Il Global Times divenne una voce importante nel dibattito su quale strada dovesse percorrere la Cina". Un membro dell’editorial board ritiene che in passato il giornale si sia occupato di Esteri mantenendosi su posizioni tutte cinesi, ovvero assumendo come punto di partenza la difesa degli interessi della patria. "E la sua attitudine non è mutata nel riportare le notizie nazionali, dando l’idea che sia a servizio del governo cinese" ha commentato.
In occasione di un discorso pubblico, Hu Xijin dichiarò che "il sistema statale cinese e quello occidentale sono molto diversi. L’autorità e la credibilità del Partito sono la base fondamentale per la stabilità e lo sviluppo del paese. Se i media, in Cina, attaccassero la macchina governativa, come sono soliti fare in Occidente, allora tutto il paese risulterebbe indebolito alle sue fondamenta."
Hu esigeva che gli articoli fossero "finalizzati all’ascesa della Cina". All’interno dello staff editoriale si pensava che anche il Global Times si trovasse di fronte a una sfida, proprio come oggi avviene per l’immagine internazionale della Cina. E la sfida è stata vinta: nel panorama mediatico cinese, il Global Times ha registrato una crescita rapida e vigorosa.
Il segreto del suo successo
All’epoca di He Chongyuan, il Global Times adottò il metodo del "racconto", "cercando di adeguarsi alle abitudini di lettura dei cinesi, con lo scopo di spingere i lettori a osservare quelle notizie d’oltre confine come fossero eventi accaduti vicino a loro". Agli articoli veniva applicato con rigore uno standard "popolare"che prevedeva frasi, nomi di persona e di luoghi piuttosto corti, evitando parole tecniche e, in alcuni casi, utilizzando per i titoli il linguaggio colloquiale tipico dei mercati. Sebbene fosse fonte di derisione da parte degli altri colleghi, questo stile che prevedeva una prospettiva popolare e rifuggiva gli intellettualismi risultava di facile comprensione alle persone comuni. Un fattore che ha permesso al giornale di guadagnarsi un’ampia audience.
Il Global Times ha creato un particolare stile che prevede non più di 7/9 parole in grassetto per il titolo di apertura seguito da un occhiello colorato più piccolo, e più ancora in basso un’immagine a colori di grandi dimensioni. Il titolo di apertura è stampato in rosso, blu, verde e altre tonalità. In prima pagina c’è un unico lungo articolo, caratteristica che lo distingue da Reference News che come minimo riportava tre notizie brevi. Questo layout serviva a dare maggior risalto al giornale una volta esposto nelle edicole.
Nel suo "business process", il Global Times ha mantenuto una certa originalità. Aveva infatti istituito un sistema di controllo delle notizie molto particolare. Tutti i paesi del mondo venivano divisi in aree e ogni editor era responsabile per un’area precisa della quale doveva riportare quotidianamente le notizie principali. Inoltre veniva stesa una lista dettagliata dei principali media nazionali e internazionali da tenere sott’occhio giornalmente secondo un sistema di turni che coinvolgeva tutti i dipendenti. Nel caso in cui fosse accaduto qualcosa di importante, in qualsiasi momento, bisognava prenderne nota. E anche nelle giornate relativamente tranquille, prima di staccare da lavoro, occorreva comunque proporre una scelta di titoli. Questo sistema faceva sì che al Global Times non sfuggisse praticamente nessuna notizia di rilievo dandogli il modo di reagire opportunamente.
Il caso dell’11 settembre evidenzia in maniera esemplare la rapidità con la quale il Global Times è riuscito a reagire davanti ai grandi eventi. Al tempo i redattori erano divisi in due gruppi A e B, in modo da distribuire al meglio i tempi di riposo. Al momento dell’attentato il gruppo A era in vacanza a Zhangjiajie, mentre il B era rimasto nella capitale per ogni evenienza. Due ore dopo la telefonata del corrispondente dagli Stati Uniti, tutti i giornalisti di servizio si precipitarono in ufficio. Passarono tutta la notte in redazione per terminare un numero speciale che vide la luce la mattina seguente. A quel punto, quelli del gruppo A, tornati in fretta e furia a Pechino col primo aereo, diedero il cambio ai colleghi del B per continuare ad approfondire la notizia.
Il Global Times è stato, inoltre, sostenuto da una forte rete di distribuzione: 46 stamperie e nove stazioni di distribuzione sparse per tutto il paese. Ogni volta che una prima pagina riceveva l’approvazione venivano avvisate le varie stazioni di distribuzione per garantire la vendita del giornale nelle edicole alle otto di mattina. In questo modo il giornale è riuscito a vendere ogni giorno quasi tutte le copie distribuite con conseguente notevole flusso di denaro.
I dipendenti del Global Times hanno in media un po’ più di 30 anni e vantano una formazione molto varia. La maggior parte di loro si è specializzata in relazioni internazionali, diplomazia, giornalismo e lingue straniere. Nonostante la giovane età, questi giornalisti non soltanto svolgono un lavoro molto pesante, ma sono anche sottoposti a regole particolarmente rigide, nonché a una disciplina ferrea. Occasionalmente, il Global Times tiene delle prove d’esame su vari argomenti, dalla politica alla scrittura; i punteggi sono poi inclusi nelle valutazioni finali di ogni redattore. Non solo: chi sbaglia paga. Ogni settimana degli esperti vengono incaricati di scegliere alcuni articoli per commentarne gli errori, con relativa multa per gli autori dei pezzi incriminati.
Al Global Times vige poi una regola non scritta: quando si parla con qualcuno bisogna alzarsi in piedi. E’ capitato che una volta in redazione fosse entrata una persona per cercare un amico. Come il visitatore mise piede nell’ufficio, tutti i presenti si alzarono in piedi lasciandolo sgomento. Una volta il direttore del Quotidiano del Popolo, recatosi al Global Times per un’ispezione, rimase stupito nel vedere tutti i dipendenti mettersi sull’attenti. Questa scena gli diede molto da pensare circa la gestione del giornale sotto la direzione di He Chongyuan.
In redazione la disciplina è a dir poco ferrea. Si comincia a lavorare alle 9 di mattina, e tutte le volte che un qualcuno arriva in ritardo viene segnato su un registro. Se durante l’anno si fanno più di dieci ritardi, si viene retrocessi a un periodo di prova. Come se non bastasse, i cellulari vanno tenuti accesi 24 ore su 24, e chi risulta irraggiungibile rischia pesanti sanzioni, compresa l’espulsione.
Eppure, nonostante le forti pressioni sul personale, il Global Times continua a conservare un grande potere attrattivo. Già intorno al 2000, un dipendente di medio livello o particolarmente capace prendeva tra i 150mila e i 200mila yuan; al tempo, uno stipendio molto ghiotto per un giornalista. Tale sistema di incentivi ha permesso alla testata di accaparrarsi un gran numero di talenti. Molti di questi, una volta lasciato il Global Times, sono diventati pezzi grossi del panorama dei media cinesi.
Oggi in Cina non esiste un altro giornale in grado di rivaleggiare con il Global Times quanto ad appariscenza: in copertina, in alto sulla sinistra, il nome della testata è stampato in caratteri bianchi su sfondo rosso, mentre sulla destra sono riportati, in file verticali, i titoli di due notizie in caratteri bianchi su sfondo blu o verde. A destra della testata color rosso un piccolo quadrato marrone chiaro è riservato alla pubblicità di medicinali, un abbinamento di colori che risulta decisamente discordante. Oggi che tutti i giornali metropolitani cinesi studiano il layout design della stampa occidentale, è rimasto soltanto il Global Times a preservare lo stile estetico irregolare, caratteristico dei giornali del secolo scorso.
Se da una parte questo suo aspetto poco attraente è stato bersaglio delle critiche dei colleghi, dall’altra continua ancora a esercitare un certo fascino, tanto che Reference News non ha potuto fare a meno di prenderlo come fonte d’ispirazione. Così, per quanto riguarda l’impostazione della prima pagina, anche Reference News ha ampliato lo spazio per il titolo delle notizie d’apertura, mettendo sulla destra i titoli di due notizie in bianco su sfondo nero. Persino la lingua utilizzata, da solenne come era in passato, si è fatta più esplosiva.
La ragione di questa scelta di stile? Secondo He Chongyuan, chi adocchia per strada un giornale ha solo una manciata di secondi per decidere se comprarlo o meno. Ecco perché il titolo di apertura deve essere il più coinciso possibile, 7-9 caratteri, meglio 8.
"Tutto quello che scrivono loro, lo possiamo scrivere anche noi"
Una volta assunte le redini del giornale, Hu Xijin cominciò a rimodellarne l’aspetto, lavorando sulla sua base originaria. Piano piano lo stile del "racconto" ha ceduto il posto alla ricerca della notizia in sé. Nel corso degli anni, grazie al crescente potere economico, il Global Times ha avuto la possibilità di sganciarsi dalla dipendenza dei contributi altrui, riuscendo a inviare i propri corrispondenti per fare ricerche sul posto. Pur rimanendo di base una testata di notizie internazionali, ha cominciato anche ad ampliare la parte riguardante la Cina, anche se è soltanto con la pubblicazione degli editoriali che la sua influenza sull’opinione pubblica cinese è diventata pervasiva.
La sezione dedicata agli editoriali fu aperta nel 1998. Principalmente ospitava opinioni riguardo la diplomazia cinese, spesso ponendosi su posizioni divergenti rispetto a quelle assunte dal ministero degli Esteri. Costretta a chiudere per un breve periodo, la nuova rubrica colpì molto Wang Daohan (ex presidente dell’Associazione per le relazioni attraverso lo Stretto, e politico vicino all’ex presidente Jiang Zemin, ndt), il quale -secondo i racconti- avrebbe invitato Hu a casa sua proprio per incitarlo a riprendere il progetto.
Il Global Times si è sempre proposto come "la voce della Cina", senza mai valicare i limiti imposti dall’alto. La sua influenza è aumentata di anno in anno, così che lo stesso ministero degli Esteri ha finito per aprirgli le porte chiedendo di poter pubblicare dei dispacci, comparsi sul giornale a firma di "Zhou Ning", un nome fittizio traducibile come "confini pacifici".
Ma il ministero degli Esteri non è stato l’unico organo governativo a scrivere per il Global Times. Molti altri enti statali hanno fornito il proprio contribuito. Persino il Dipartimento centrale della Propaganda ha spesso elogiato il giornale per le sue posizioni in politica estera.
Nel settembre 2011, in occasione del Decimo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle, Obama ha inviato una lettera al Global Times, sottolineando come "gli Stati Uniti necessitano il sostegno di rapporti collaborativi per affrontare le attuali sfide e minacce ad opera delle organizzazioni terroristiche". Secondo le stime approssimative di uno dei redattori, sarebbero già una dozzina i capi di stato ad aver scritto articoli per il Global Times. E non è certo una cosa di cui tutti i media cinesi possono vantarsi. Addirittura una rivista accademica ha pubblicato uno studio sul modo in cui il giornale traduce e riporta le dichiarazioni dei leader [stranieri].
Ma è grazie ai suoi editoriali riguardo questioni sensibili che il Global Times ha definitivamente superato i giornali concorrenti: 13 gli editoriali pubblicati poco dopo l’inizio del caso Bo Xilai, cinque quelli sul premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo. In seguito i dipartimenti competenti hanno utilizzato i pezzi del Global Times per attaccare i paesi stranieri e questo ha indotto il mondo a chiedersi se al giornale fosse stato conferito qualche potere speciale, o se stesse beneficiando di una particolare vicinanza al governo di Pechino.
Sebbene diverse persone abbiano accusato Hu Xijin di "speculare [sulle notizie]", tuttavia quelli che speravano di vederlo finire in autogol sull’affaire Bo Xilai certamente sono rimasti delusi. Osservando le opinioni di Hu e del Global Times sulla storia dell’ex astro nascente della politica cinese, non si riesce a trovare nemmeno una parola buona verso Bo o la città di Chongqing. In questo la capacità di giudizio dimostrata da Hu e dal suo giornale è stato motivo di stupore tra i lettori.
Ma a far parlare di sé è stata sopratutto l’edizione in lingua inglese. Inaugurata nell’aprile 2009, dopo soli due mesi la versione anglofona è uscita con un pezzo sul Ventesimo anniversario del massacro di Tian’anmen. L’articolo, rimasto a lungo top secret per volere di Hu, anche una volta dato alle stampe è stato oggetto di molti interrogativi. Stranamente, infatti, non sembra essere costato al Global Times alcuna sanzione, e non per semplice fortuna. Secondo Hu [quanto avvenuto] è "coerente con gli interessi dello stato e della società": tutte le riforme cominciano con un’infrazione, ma occorre che queste infrazioni promuovano lo sviluppo del paese. Se le infrazioni da parte del popolo continuano, poi a distanza di tempo il governo a volte le approva anche. In Cina funziona così".
L’obiettivo della versione inglese è quello di promuovere la diffusione del Global Times e, soprattutto , quello di allinearsi alla esigenze strategiche del governo: "La Cina necessita di comunicare con l’esterno in modo più efficace, questo è nell’interesse del paese." Sono serviti soltanto quattro mesi per lanciare la nuova edizione; molti dipendenti hanno cominciato a lavorare appena due giorni dopo l’assunzione.
In tutto ci lavorano 100 persone, di cui oltre 20 sono stranieri. Il compito di questi ultimi consiste principalmente nel visionare i pezzi e renderli più scorrevoli da un punto di vista linguistico. Ma spesso intervengono anche nella scelta dei temi da discutere, contribuendo non poco quando si tratta di "questioni spinose". Nell’edizione inglese, infatti, sono anche passate notizie come La polizia interviene durante il Gay Pride di Pechino e Wuhan protesta contro le visite ginecologiche per lavorare nell’amministrazione pubblica.
Oggi la versione anglofona del Global Times è coordinata da un caporedattore di soli 35 anni con un preciso obiettivo: riuscire a eguagliare i media occidentali. "Tutto quello che scrivono loro (i media stranieri, ndt), lo possiamo scrivere anche noi", ha dichiarato.
Dati i notevoli incassi, il giornale è riuscito ad accumulare sufficienti fondi per poter investire sulla rete. La nascita del sito è stata interamente diretta da Hu Xijin. All’inizio Hu desiderava "un sito che non fosse né grande né piccolo", ma quando nel 2007 il Global Times è comparso su internet, l’immediato successo lo ha spinto a cercare ulteriori finanziamenti per spostare la redazione della versione online in un ufficio più spazioso.
Quando alla fine del 2011 il Quotidiano del popolo digitale ha fatto il suo ingresso in borsa, Hu ha scambiato il 60 per cento delle azioni del Global Times Online con il 14,5 per cento delle azioni del People’s Daily digitale, rendendo così il Global Times il secondo maggior azionista del Quotidiano del popolo. Considerando il valore di mercato corrente del Quotidiano del popolo Online, il Global Times detiene azioni per oltre 2 miliardi di yuan. Nel 2012 il Global Times (in caratteri) ha continuato ad accumulare profitti per decine di milioni, mentre le testate metropolitane -che in passato fatturavano facilmente centinaia di miliardi- sono incorse in gravissime perdite, rimanendo impantanate in quello che viene comunemente definito l"inverno" della carta stampata. Nella competizione, il Global Times è diventato il quotidiano più diffuso in Cina.
[Il pezzo è anche su Caratteri cinesi. Traduzione di Alessandra Colarizi. Pubblicato su Internazionale]