Caratteri cinesi – La riforma dell’huji

In by Simone

Il sistema di registrazione della residenza permanente crea discriminazioni di natura sociale. Ye Tan cerca di dimostrare che è anche inefficiente da un punto di vista economico e di costi per le amministrazioni locali: è quindi giunto il momento di abolirlo, in quanto vecchio retaggio dell’epoca maoista. Le ragioni per cui in Cina è stato creato il sistema di residenza permanente (huji) sono da collegarsi al fatto che la crescita economica non riusciva a tenere il passo dell‘inarrestabile incremento demografico. La Cina è oggi l’unico paese moderno che suddivide la propria popolazione in residenti urbani e rurali.

Il professor Ge Jianxiong ha più volte raccontato come sia arrivato a Shanghai a bordo di un piccolo battello partendo da Huzhou (Zhejiang) e che nel 1958 – anno di introduzione dell’ordinanza che regola la residenza permanente – i cinesi persero la libertà di movimento; dopo di che, si susseguirono una serie di grandi carestie. Il sistema dello huji può risolvere crisi economiche e occupazionali, ma quando queste raggiungono una certa dimensione è inevitabile che una grande massa di giovani fuggano dalle città e vadano nelle campagne in cerca di cibo, dato che l’economia non riesce più a garantire il welfare per i residenti urbani.

L’ultima ondata di urbanizzazione ha dato il via ad una nuova fase di riforme del sistema dello huji, promuovendo l’apertura e la mobilità, abolendo le proibizioni legate allo status di cittadino o abitante rurale e donando nuova vitalità al mercato. Nessuno mette in dubbio che questi cambiamenti siano un fatto positivo. Ma oggi, di discutibili, ci sono le stime sui costi e la fattibilità.

Abolire le restrizioni del sistema di residenza permanente mira a trasformare l’attuale gestione delle spesa pubblica locale, livellando verso il basso il welfare grazie a una divisione equa dei costi su base geografica.

Praticamente tutti sono favorevoli alla riforma, ma nessuna amministrazione locale – soprattutto quelle delle grandi città che rilasciano i permessi di residenza – permette ai "nongmingong", contadini operai, di trasferirsi nel suo centro urbano. Il settimanale Caijing Guojia Zhoukan ha riportato uno studio condotto nel periodo aprile-maggio 2012 su otto province rappresentative – tra le quali figurano il Zhejiang, il Guangdong, il Jiangxi e il Guizhou – in cui si è scoperto che in diverse città del paese la riforma dello huji ha incontrato non poche opposizioni da parte dei sindaci locali.

La ragione principale va ricercata nell’imperfezione dell’attuale sistema di gestione delle finanze pubbliche locali. L’eventuale riforma infatti è strettamente e direttamente legata all’assistenza medica, alla previdenza sociale, all’istruzione e ad altri servizi sociali. Nell’attuale sistema fiscale, le entrate delle amministrazioni locali sono versate dalle autorità di livello superiore sulla base di una verifica e approvazione della popolazione registrata. Di conseguenza, se gli amministratori locali vogliono espandere la copertura del sistema di welfare urbano, non possono far altro che contare sulla popolazione contadina registrata.

Attualmente, il fatto che le grandi città accolgano nelle proprie scuole figli di migranti viene già considerata come un gesto di grande "magnanimità". Modificare l’attuale metodo di distribuzione delle finanze, fornendo a quelle famiglie che hanno figli un ticket per l’istruzione, da poter utilizzare dove lavorano, riducendo in questo modo il fardello economico per le amministrazioni locali dovuto al flusso migratorio, potrebbe essere un approccio più equo.

L’attuale sistema consiste in un adattamento dell’obsoleto sistema di gestione amministrativa dello huji.

Dal primo ottobre del 2008, la città di Jiaxing ha istituito il nuovo sistema di gestione dello huji, che prevede un nuovo tipo di permessi di residenza permanente che si basano sulla registrazione del domicilio ed ha eliminato il modello che classificava i residenti in urbani e rurali, registrando tutti come “residenti”. Tuttavia, nell’attuazione pratica di questa normativa, gli abitanti sono ancora soggetti a differenziazioni.

A Chongqing, l’attuazione della riforma ha fatto emergere una serie di problemi operativi nei servizi pensionistici e nell’istruzione, mentre ad Hangzhou, dopo l’espansione dell’area urbana, le imprese hanno ancora delle limitazioni legate allo huji quando cercano personale.

Registrare tutti come “residenti” è semplice, tuttavia far si che un abitante rurale diventi un residente urbano rimane difficile. Per il governo, durante il processo di urbanizzazione, ci sono elevati costi da affrontare prima che i contadini entrino nelle città; per quel che riguarda i contadini, essi sono preoccupati per il fatto che perderanno la terra e che dovranno rinunciare per sempre ai benefici riconosciuti a chi vive in zone rurali.

Nell’indolenza del governo si ravvisa un atteggiamento a dir poco curioso: ci sono casi in cui coloro i quali posseggono già un huji urbano, sono ancora in possesso del terreno statale che gli viene assegnato a scopo abitativo e quello che gli viene dato in gestione in base al sistema dei contratti (chengbaozhi). Ci sono perfino casi, che rasentano il ridicolo, di persone che hanno già ottenuto un documento d’identità all’estero ma che risultano ancora residenti in alcune aree rurali del Zhejiang, con annesso contratto per la gestione della terra. L’inerzia del governo finisce per tradursi in un grave spreco di risorse, aggravando il problema della scarsità della terra.

Il “Libro blu sulle città”, pubblicato dall’Accademia delle scienze sociali, indica che, presumibilmente fino al 2020, la velocità del tasso di urbanizzazione della Cina aumenterà ogni anno dello 0.8-1.0 per cento. Nel 2002 questo tasso aveva superato il 60 per cento e nei prossimi 20 anni ci saranno circa 500 milioni di contadini che chiederanno di diventare residenti urbani. In media, ciò avrà un costo pro capite di 100.000 yuan, per un costo complessivo di almeno 400-500 mila miliardi di yuan. È necessario sottolineare che questo dato non tiene conto dell’inflazione, perciò la cifra potrebbe essere di gran lunga superiore.

Ad esempio, ogni contadino dell’area di Chongqing che si trasferisce in città – secondo l’obiettivo originariamente prefissato di far “trasferire 10 milioni di contadini in città nei prossimi 10 anni”- costa in media, secondo una stima, 67 mila yuan: cifra che considera la rinuncia dei vari benefici legati alla terra e i costi della previdenza sociale, per l’alloggio, l’impiego e l’istruzione in città. Originariamente il piano prevedeva il trasferimento, in due anni, di più di 3 milioni di persone, gravando sulle casse dell’amministrazione per oltre 200 miliardi di yuan. Una volta che i nuovi residenti saranno arrivati in città, dovranno poi essere affrontati i costi per la loro formazione e impiego. Sebbene sia stato più volte dimostrato che in Cina un incremento del tasso di urbanizzazione pari all’1 per cento corrisponde, spesso, ad un incremento del Pil pari all’1-2 per cento, l’esperienza mondiale ha dimostrato, tuttavia, che oltre un certo livello di urbanizzazione, questa non stimola più la crescita economica.

Le difficoltà incontrate dalle amministrazioni locali sono concrete. Una volta che i contadini entrano in città, godono di benefici permanenti; inoltre, la maggior parte delle persone prive di una specializzazione o di formazione hanno difficoltà a trovare un lavoro. Oggi, la portata dei debiti e degli investimenti delle amministrazioni locali è elevatissima; a questi problemi si aggiungono i costi della nuova ondata di urbanizzazione. Di conseguenza, la riforma del sistema coercitivo dello huji è quanto mai necessaria, altrimenti le città non saranno in grado di superare l’impasse dovuta alla propria chiusura.

In ultimo, è doveroso far notare l’errore dei welfaristi: ciò di cui ha bisogno il sistema del welfare cinese è l’eliminazione di un sistema duale iniquo, non della creazione di uno Paese dal welfare elevato, né tanto meno di un’illusoria teoria sul welfare e il benessere del popolo, che ne eleva le aspettative ma che non riuscirà mai a saziarne gli appetiti. La Cina verrebbe divorata dalla continua crescita dei privilegi degli impiegati statali e dagli elevati livelli di welfare. Per quel che riguarda il welfare è meglio quindi ispirarsi agli Stati Uniti; la Francia, la Germania e gli altri paesi [europei] non sono da prendere come modello.

È necessario promuovere la riforma del sistema dello huji, solo così l’urbanizzazione, gli aggiustamenti strutturali dell’economia e la costruzione di un paese moderno daranno risultati sperati
e non solo superficiali. Allo stesso tempo, questa riforma deve essere pragmatica e fattibile: da un [altro] “Grande Balzo in avanti” deriverebbe certamente un grande passo indietro. Il sogno cinese non è un sogno ad occhi aperti.

Il sistema di registrazione permanente della residenza risale al 1958, è giunta l’ora di abolirlo.

[Il pezzo è anche su Caratteri cinesi. Traduzione di Piero Cellarosi]

*Ye Tan è un’esperta di economia e finanza. Nata a Shanghai nel 1973, è considerata una piccola celebrità nell’ambiente accademico grazie alle sue ricerche sull’economia dell’epoca Ming e Qing (XIV-XX secolo). 

Conservatrice e sostenitrice dell’economia di mercato, riesce spesso a sorprendere i suoi lettori con parallelismi e analogie che evidenziano la ciclicità dei fenomeni di natura economica e politica nella società cinese. Scrive per numerosi giornali e riviste ed è commentatrice per il canale finanziario della Cctv.