Taohua jiu shu (La redenzione dei fiori di pesco), è il titolo di un racconto breve della scrittrice Zhang Yueran, una delle principali rappresentanti della generazione anni ’80. Il racconto è un intreccio tra le vicissitudini di tre protagonisti, che si influenzano e danneggiano a vicenda, creando così una fitta trama. Lo pubblichiamo in tre puntate. I
I petali dei fiori di pesco cadono nei miei occhi. Uno, due, tanti. Rosa pallido, rosa scuro, rossastri. Eppure, eppure, non ce la faccio proprio a lasciar correre tutto, come fanno i conigli.
II
Ogni giorno, prima di dormire, metto su la musica di Tori Amos.
Sono circa le undici e cinque. Ho appena lavato i denti e sciolto i capelli davanti allo specchio.
Spento la luce, lei sicuramente è tormentata dalla malattia, in ogni momento ha spasmi, traggo soddisfazione dalla sua malattia.
Ciò che vedo sono le sue sembianze da ragazza. Ragazza, non donna. Indossava la sua gonna carina, aveva su il cappello caldo appena comprato. Era appena diventata famosa. Conosciuta dalle persone rispettabili. Sedeva al piano, gli applausi e la musica del piano si intrecciavano insieme. Rideva felice. Aveva appena fatto molte foto. Le piaceva il suo nuovo vestito. Correva come un piccolo cervo appena diventato adulto. Indossava un maglione oversize color verde mela vivace. Anche le sopracciglia erano color limone, come tutti i suoi poster, una ragazza da copertina.
Le piaceva questa felicità precipitosa. Lei, seduta a fianco del suo pianoforte, guidava davanti agli occhi di tutti come un treno espresso. Tutti dicevano: ci piaci.
Adesso lei è nella via. Va da un posto all’altro, affrettandosi lungo la via. Nella luce brillante e limpida della notte percorre in fretta un pezzo di strada. Pensando alla sua felicità, coglie l’occasione per canticchiare la canzone del suo nuovo album.
Come poteva sapere che negli occhi sudici di quell’uomo dietro di lei ribolliva un desiderio come quello che sale dalla fogna! Come poteva sapere. Lei era davanti, e la felicità era proprio davanti a lei, la guardava, senza più vedere altro.
L’uomo le si parò bruscamente davanti. La felicità venne completamente coperta. Vide il desiderio esuberante dell’uomo proprio di fronte a lei. Lei non riuscì mai più a vedere altro.
Non ricordo quale fosse l’anno in cui successe questa storia di Tori Amos. Se non ricordo male, deve essere stato quell’anno in cui ha avuto molta sfortuna.
Quel suo disco intitolato Boys for Pele è il mio preferito. Nella copertina del disco c’erano le due immagini più spaventose che io avessi mai visto. Era seduta su una sedia di legno, con un reggicalze grigio obsoleto, le gambe interamente allungate dalla gonna di blue jeans, un fucile da caccia giaceva al suo fianco. La sua mano con amore illimitato sollevava il fucile come se stesse tenendo in braccio un’allegra chitarra. Dal ginocchio alla caviglia era tutta coperta di fango, di un colore gelido. Sotto il piede un pitone dal corpo arrotolato.
I suoi capelli erano rosso ruggine come il calcio del fucile, il suo sorriso era pacifico.
Lei rideva, oppure a bassa voce aveva finito di raccontare una storia di violenza. Era soddisfatta.
In un’altra immagine, era seduta davanti ad una finestra, la luce tiepida lavava la sua faccia stanca. Il suo vestito di cotone color rame antico era spalancato, scopriva metà del seno. Stava allattando un maialino. Il maialino rosa aveva gli occhi chiusi stretti, la bocca incollata sul suo seno. Il suo volto era pieno di affetto materno.
Ma, in fin dei conti, era un maiale. Per questo l’immagine era tanto scioccante. Diceva parole delicate al maiale, compiaciuti si amavano reciprocamente nella luce del mattino.
Tori Amos stava su una strada infangata dal desiderio di un uomo. Lei vide il desiderio sgorgare di colpo fuori in questa notte deserta, come pedoni durante il giorno. Ma loro non la amavano.
Erano venuti per distruggerla.
L’uomo stava di fronte a lei, diceva con enfasi: io sono un tuo ammiratore, amo le tue canzoni.
Ahah.
La sua musica nobile era apprezzata da questo mascalzone. Poi era lei, adesso è il suo corpo.
L’uomo, dopo aver finito di parlare, venne verso di lei ad abbracciarla.
Il corpo nero, la notte nera coprivano questa ragazza appena diventata adulta.
Non ricordavo quale anno fosse, Tori Amos venne stuprata dal suo fan in una strada buia. Era un nero, le diceva con enfasi: mi piaci.
Amavo questa ragazza che allattava il maiale. Perché la sua apparenza calma nascondeva paure che sorgono con turbolenza. Addirittura sospetto che la sua conoscenza del sesso fosse distorta, piena delle stesse paure. Lei cominciò ad essere dispotica. Con quell’atteggiamento di superiorità, le piaceva il suo aspetto casto. Lei tentava in tutti i modi di pulire la sua immagine. Con animali, musica, natura, tutto quanto insieme, eccetto gli uomini, tentava di mantenersi pulita.
Io e questa ragazza avevamo lo stesso desiderio. Un desiderio pulito. Quindi io la amavo.
Inoltre lei assomigliava ad una delle mie amiche. Sempre più simile.
III
Io sono vergine.
Lo enfatizzo non per vantare la mia virtù, e nemmeno per rimpiangere la mia inesperienza. Tuttavia spesso pensa a questa frase. A volte, inoltre, vorrei aggiungere una parola in più: sono ancora vergine.
Io so che il processo dall’ “essere” al “non essere” è doloroso. Tutto questo è difficile da evitare. Ma nessun’altra ragazza prova dolore solo pensando “Io sono vergine” come succede a me. E se a volte (nel pensiero) aggiungo quella parola, allora provo ancor più dolore.
Alla fine ho capito che ero io che avevo paura del sesso, e non Tori Amos. Nel mio subconscio speravo che questa ragazza che veneravo condividesse il mio stesso dolore.
La immaginavo che correva nella via, sfinita a morte dal desiderio. Pensavo alle sue labbra che erano come una farfalla, che finalmente non grideranno mai più. I suoi capelli voluminosi coprivano il volto vergognoso. Sperava che quello fosse un fiore di montagna rinato. Lei era un terreno neonato, in questo terreno niente era accaduto prima.
Io ho sempre vissuto in una grande città. Spesso ho visto il sesso. Visto, sentito. Ma non volevo parlarne, ancor più non volevo contaminarmi.
Accettai il fumo, accettai l’alcol. La sola cosa alla quale resistevo era il sesso.
La TV di notte. Guardavo il letto bianco.
Vedevo le spalle di Tony Leung, anche la schiena.
Vedevo gli occhi della ragazza della notte brillare, come gli occhi dei gatti.
L’Amante della Duras era come lo squillo del telefono di Sadako.
Dopo averne guardato metà, il dolore divenne difficile da sopportare, mi alzai per fuggire via. Lo stavo guardando insieme a Guoguo. Spesso guardavamo VCD rannicchiate insieme. Le nostre mani si toccavano, facendo in ogni momento commenti irrilevanti.
Questa volta disgustata le dissi: questa ragazza è così impudica.
Guardò i miei lunghi capelli disordinati, irascibilmente voleva bruciarli.
Disse, cosa c’è, sei strana.
Feci una fredda risata. Ah ah.
Lei disse cosa c’è che non va.
Io continuai a fare la fredda risata. Ah ah ah ah.
Lei disse, tu hai di nuovo una ricaduta.
Dissi: Guoguo, ho semplicemente scoperto che tu sei come questa ragazza.
Si fermò un attimo, lei capiva molto bene. Lei sapeva da molto tempo. Continuò a parlare, è successo tanto tempo fa, come mai non riesci ancora a perdonarmi?
Cos’è il perdono. Il perdono è la cioccolata che dividiamo, oppure il mazzo di fiori che prenderò dalle tue mani al tuo matrimonio?
Lei cominciò a scusarsi. Scusa, scusa. Ma io non ottenni proprio niente.
Dissi: tu vuoi ottenere qualcosa. Ciò che preferisci, non è ciò che ti rende totalmente cattiva?! Guoguo cominciò a piangere. Ma questa volta, l’unica volta, io non le tenni compagnia mentre piangeva. Non la consolai nemmeno. Spensi la TV. Il letto in quella stanza buia, il corpo della ragazza come una gomma morbida e flessibile, la schiena dell’uomo, sparirono completamente. Guoguo disse, Xiaoran, possiamo essere ancora amiche? È troppo difficile, io non sono in grado di sopportarlo. È passato tanto tempo, non mi hai mai, mai lasciata.
Guoguo, non è che non ti ho mai lasciata, precisamente è che volevo troppo lasciarti, perderti.
Lasciarti andare insieme al tempo morto e putrefatto, andarmene seguendo la direzione della corrente. Andarmene, con tranquillità. Dimostrare che ero candida come la neve, e come la neve sciogliermi davanti ai miei occhi.
Se ne andò da casa mia. Questa volta non potevo ancora prevedere la volta successiva in cui sarebbe tornata. Lei sapeva che io non sarei mai più potuta diventare una sorta di amica. Io ho sempre vissuto nell’ossigeno che lei respirava, sebbene non necessariamente fresco, ma comunque abbastanza affidabile.
Lei è come un arcobaleno, bagnato, appeso in alto nell’angolo del mio cuore, lucente. A volte il suo ricordo era troppo profondo e nitido, sembrava piuttosto una ferita. Diffondeva un sangue multicolore, mi ingannava usando tonalità di colore confuse, mi faceva temporaneamente dimenticare il dolore.
Continua
[Il pezzo è anche su Caratteri cinesi. Traduzione di Camilla Dina]*Zhang Yueran, nata nel 1982, è considerata una delle scrittrici più influenti nel panorama letterario cinese contemporaneo. Appartiene alla generazione dei balinghou (i nati negli anni Ottanta), figli delle riforme di Deng Xiaoping e della politica del figlio unico, cresciuti in un’epoca di relativa stabilità politica e prosperità economica, assai lontani dai drammi della Rivoluzione Culturale vissuti dai loro padri. Tutti questi elementi hanno probabilmente contribuito a renderli estremamente focalizzati su se stessi, creando così delle identità basate puramente sugli interessi personali: non a caso, sono chiamati anche anche xiao huangdi (piccoli imperatori).