Il post che vi proponiamo ha avuto un’ampia circolazione negli ambienti intellettuali e nazionalisti cinesi. L’autore, Jingdi Wangtian, specialista delle relazioni internazionali, si sofferma sulla difficile posizione militare statunitense in Asia centrale. L’analisi punta a evidenziare come la morte di Bin Laden costituisca un ulteriore passo verso la legittimazione popolare del ritiro dall’Afghanistan, mettendo in rilievo come il vuoto lasciato in una delle aree di maggiore valore strategico al mondo possa essere rimpiazzato dalla Cina… La morte di Bin Laden è stato un evento che ha fatto parlare in Cina. In realtà ben pochi hanno condiviso la gioia manifestata sulle piazze americane e rimbalzata sugli schermi e sulle prime pagine degli organi di stampa occidentali. È sembrato di assistere a uno di quei giochi delle parti al rovescio, in cui l’opinione pubblica cinese (ancora prima che il governo, ufficialmente in lotta contro il terrorismo) si è vestita dei panni desueti di chi non crede alle favole di una certa politica, paladina dell’interesse nazionale. Scetticismo, razionalità e ironia sono state rivolte alla ricostruzione ufficiale consultabile sui mezzi di stampa americani e accettata di buon grado dall’opinione pubblica di massa occidentale.
La morte di Bin Laden e il nuovo quadro afghano
La Cnn ha dato la grande notizia: finalmente Bin Laden è morto.
Ma prima di questa grande notizia era avvenuto qualcos’altro, erano apparse delle notizie “minori”.
Il primo fatto è accaduto un po’ di tempo fa. Sembra che il Presidente afghano Karzai si sia recato segretamente in Pakistan per dei colloqui strettamente privati con il Premier pakistano. La notizia che è filtrata denota la volontà del Pakistan di avvicinare l’Afghanistan e di allontanarsi dagli Stati Uniti. Seguire il Pakistan garantirebbe la sicurezza e lo sviluppo nazionale dell’Afghanistan. In Pakistan si dice che se noi, fratelli maggiori cinesi, ci impegnassimo nella garanzia della sicurezza dei nostri due fratelli minori, allora inizierebbero i giorni felici.
Il secondo avvenimento riguarda l’abbandono da parte del Segretario della difesa americano Robert Gates e l’arretramento di Hilary Clinton che, dopo lo scossone provvisto dai cables di wikileaks, ha già messo da parte le velleità di scalata dell’impero. È da questo scenario che è uscito fuori il Direttore della CIA Leon Panetta (1). Chi ha letto il mio libro sa che la mia considerazione di Panetta è alquanto elevata.
Con una rapida crescita, dopo l’11 settembre, l’Intelligence americana ha assunto una posizione di rilievo. Le operazioni di intelligence in Iraq rappresentano l’emblema della transizione della CIA, che è passata dalla specializzazione alla politicizzazione dei propri apparati.
Gli organi di intelligence devono per forza di cose dire la verità, e non possono costruire fabbricazioni in base agli obiettivi dei dirigenti. Tuttavia, Bush Jr, Cheney e Rumsfeld hanno tutti fatto ricorso agli inganni dell’intelligence come pretesto per aggirare le proprie responsabilità. Per questo Panetta ha dovuto ricreare un sistema di intelligence conforme.
Il modus operandi di Panetta è di profilo basso, non esce nessuna notizia riguardo il suo lavoro. L’assunzione dell’incarico di Segretario della difesa sembra presagire una contrazione della presenza militare americana nel mondo. Probabilmente egli partirà proprio dalla pianificazione della difesa.
Questo ripiego deve iniziare necessariamente dall’Iraq e dall’Afghanistan e non altrove. Gates è uno che non ama ripiegare, per questo è solito dire che il giorno del ritiro delle truppe dall’Afghanistan sarà fissato in base ai risultati delle operazioni sul campo di battaglia. Anche in Iraq egli sostiene che i soldati americani non debbano ritirarsi.
Ma con la nomina di Panetta questi due postulati possono andare incontro a un cambiamento.
Non va dimenticato che Obama ha fissato i tempi del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan e questa data è il luglio 2011, vale a dire tra appena due mesi.
Ma ritirarsi non è facile. I conservatori possono provare a fare le scarpe al governo: «Ma come, scendi a compromessi con i terroristi? E tutti i caduti per la patria dell’11 settembre sono morti senza ricevere giustizia?»
Ecco perché Bin Laden è morto. Caduto ai sobborghi di Islamabad, la capitale del Pakistan.
Chi ha letto il mio libro, Il grande gioco, sa che l’eliminazione di Bin Laden è stato solo il pretesto con cui gli americani sono entrati in Afghanistan. Il vero obiettivo era l’occupazione dell’Afghanistan, un luogo chiave dal punto di vista strategico, e da lì controllare l’Asia centrale, tagliare in due il continente eurasiatico, ostruire le comunicazioni via terra tra Cina e Medio Oriente, tra Africa e Europa. In tal modo la superiorità delle forze navali americane avrebbe completato il quadro portando ai risultati sperati.
Ora che il Pakistan ha collaborato all’improvviso –mettendo su un piatto d’argento il cadavere di Bin Laden- il pretesto non c’è più. Il resto lo vedremo presto: il ritiro delle truppe statunitensi (la missione militare è a oggi il minimo comune denominatore dell’indignazione pubblica e il popolo americano potrà richiedere con successo l’abbandono dell’Afghanistan). Poi i leader pakistani, i talebani, Karzai, i pashtun e i tagiki si consulteranno e si metteranno tutti d’accordo per un comune obiettivo, così la Cina potrà irrompere con forza e sviluppare la propria presenza in Afghanistan.
Ad ogni modo con l’Iran e la Cina alle porte dell’Afghanistan tutte le vie e gli sviluppi preannunciati da tempo saranno a un passo.
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