Nessuno è profeta in patria, ma Jia Zhangke è profeta all’estero. Grazie alle vendite in Francia o in Giappone, il regista forse più rappresentativo della "sesta generazione" riesce a sopperire allo scarso botteghino domestico e, soprattutto, a sperimentare generi nuovi, come il "mockumentary". La seconda parte della biografia critica a cura del Fenghuang Zhoukan. la prima parte
Oltre a godere di un considerevole pubblico nelle sale, anche i dvd di Jia Zhangke erano un prodotto molto richiesto sui mercati esteri. Appena un suo film veniva distribuito sul mercato internazionale, i diritti per i dvd andavano a ruba. Ironicamente, i suoi primi fans cinesi erano costretti a comprare i suoi dvd sul mercato francese o giapponese (normalmente in versione pirata) per scoprire questo giovane relegato agli ambienti underground.
Così Jia, come altri registi, ha percorso una strada poco battuta per sopravvivere nel mercato cinematografico: partecipazione ai festival internazionali, ricavi dai botteghini all’estero e dai diritti d’autore sui dvd.
Anche per questo Jia Zhangke, Lou Ye, Wang Xiaoshuai – i registi della sesta generazione – sono ormai ospiti fissi dei maggiori festival cinematografici. Nonostante lo scarso successo al botteghino cinese, le vendite sui mercati esteri spesso coprono i costi di produzione e a volte generano addirittura profitti. E i film di Jia Zhangke sono quelli che meno devono preoccuparsi di vendere.
Anche Lou Ye tiene rapporti molto stretti con i circoli cinematografici francesi. I suoi film esprimono sentimenti privati e si distinguono per le immagini appannate che il regista non cessa ma di esplorare. Proprio questo elemento, che pure è conosciuto e gradito al pubblico francese, non riesce a vendere bene. Jia Zhangke è l’unico in grado di mostrare chiaramente a un pubblico straniero la Cina contemporanea. Nei giudizi dei media e dei festival stranieri, parole come “Cina”, “nazione”, “enormi cambiamenti”, “documentare” e “epoca” sono quelle che appaiono più di frequente.
Durante le riprese di “Still Life”, Jia ha iniziato anche a girare un documentario: “Dong”. Così è iniziata la sua graduale transizione a questo stile. In “Dong” e “Useless” ha puntato la telecamera su due artisti popolari, poi ha tentato una produzione più commerciale con “24 City” e “ I wish I knew”.
Lo stile denso di questi due pseudo-documentari si è scontrato con critiche e contestazioni mai viste. Jia non è riuscito a mantenere il suo pubblico nazionale e ha addirittura perso una fetta di vecchi spettatori che li hanno definiti “mockumentary”.
I due lungometraggi sono entrambi costruiti come una serie di interviste. Ma in “24 City” gli intervistati sono stati interpretati da attori come Chen Chong e Zhao Tao e in “I wish I Knew” i personaggi famosi come Chen Danqing e Han Han rappresentano la storia e la cultura di Shanghai. Per i critici, la presenza di attori professionisti in “24 City” ha cancellato il sapore autentico e privo di fronzoli del documentario. In aggiunta il fatto che il film si ispirasse all’impresa immobiliare Huarun ha causato difficoltà a Jia (il film si basa infatti sulle storie di vecchi impiegati di un’impresa statale soppiantata dalla costruzione di un nuovissimo complesso residenziale). Il secondo film è stato invece additato come un servizio alla propaganda in occasione dell’Expo Shanghai. Dai collaboratori scelti per le interviste ai contenuti discussi, tutto induceva a questo tipo di associazione. Ma Jia Zhangke in quel momento ricevette comunque maggiore fama e attenzione. Non era più relegato a circoli culturali di nicchia come un tempo. Il mondo degli affari e quello della politica cominciava a valutarlo. Ma le sue opere sembravano infilarsi in un collo di bottiglia. Erano uscite alla luce del sole, ma non sembravano poter reggere tanta luminosità.
Tra “I wish I knew” e “Il tocco del peccato”, Jia somigliava sempre più a un “attivista sociale”; presenziava manifestazioni pubbliche e assumeva la supervisione di film altrui. Le sue opere, intanto, rimanevano momentaneamente intrappolate in una situazione di stallo.
E’ tornato sugli schermi con il discusso "Il tocco del peccato". Questa pellicola che prende spunto da notizie a sfondo sociale, ha colpito come un pugno nello stomaco fugando ogni dubbio sulla qualità dei suoi film. Non pochi opinionisti stranieri l’hanno definito una dissezione anatomica della Cina. Jia è riuscito infatti a descrivere nei dettagli le vene delle classi più disagiate in cui scorre la vita. Genti sospinte dai maremoti sociali negli abissi della violenza o inermi di fronte al proprio destino. Cannes ha assegnato a questo film il premio alla miglior sceneggiatura, un riconoscimento meritato.
La denuncia di Jia ha posto interrogativi sempre più dolorosi. La “Trilogia del Paese Natale” gli era ingiustamente valsa l’etichetta di venditore degli affari sporchi della Cina, ma con “Il tocco del peccato” se l’è riconquistata. Questo film così sanguinolento, ispirato a fatti realmente accaduti, mostra il suo carattere critico fin dalle prime scene e non lascia spazio a molto altro. Proprio per questo, fino a oggi, la sua proiezione è stata proibita nelle sale cinesi (ma i suoi connazionali possono comunque apprezzare questo lungometraggio attraverso i canali di distribuzione francese).
2. continua
[Il pezzo è anche su Caratteri cinesi. Traduzione di Giulia Zennaro]*Fenghuang Zhoukan (La fenice – Phoenix Weekly) è il magazine della Phoenix TV di Hongkong. Ha ottenuto l’approvazione del governo cinese per la distribuzione nella Cina continentale, affronta temi di politica interna, oltre ad essere attenta agli andamenti economici del nuovo secolo. Esce tre volte al mese, il 5, il 15 e il 25 di ogni mese.