Mercato saturo? Giovani apatici? Rallentamento della crescita economica? A poche settimane dallo svolgimento del gaokao – l’esame di maturità cinese che apre le porte all’accesso nelle migliori università – il giornalista Chen Jibing propone un’ampia riflessione sulle prospettive della gioventù cinese nel sistema Cina. Anche i laureati di oggi saranno parte del “sogno cinese” delineato dal Presidente Xi Jinping? Più di trent’anni fa, tra i campi e gli avvallamenti di Fengshan nella regione dello Anhui, il giovane Li Keqiang ricevette l’avviso di ammissione all’Università di Pechino. In quel momento, sul suo viso, prese lentamente forma un raggiante “sogno cinese”.
Ogni anno, quando si avvicina inesorabile la stagione delle lauree, praticamente tutti i giorni ci sono parenti, amici e vecchi compagni di studi che mi cercano tutti per lo stesso motivo: aiutarli a trovare lavoro ai figli prossimi alla laurea. Alcuni di loro sperano persino che il giornale dove lavoro possa assumerli. Poco importa che le loro specializzazioni non abbiano niente a che fare con il giornalismo. Tra di loro non mancano neppure ragazzi che hanno studiato in prestigiose università straniere.
Per prima cosa mostro sempre la mia buona fede mettendoli in guardia: quella della carta stampata non è un’industria che promette futuri radiosi. Poi però ci ripenso da un’altra prospettiva e mi chiedo come sia possibile che i miei amici e parenti non afferrino questo punto. Da qui si evincono le difficoltà che in questi anni gli studenti incontrano nel trovare un lavoro e – cosa ancora più importante – si vede attraverso quale tipo di lunga e fiera “gara di genitori” si debba per forza passare, se si vorrà ottenere un posto in settori in voga, come la finanza o le telecomunicazioni.
I dati evidenziano che quest’estate ci saranno in Cina sette milioni di nuovi laureati in cerca di lavoro, provenienti dalle università di tutto il paese; si tratta in assoluto del numero più elevato di laureati di sempre. Alla metà di questo mese, il Presidente Xi Jinping ha compiuto una visita fuori programma presso il Centro di promozione e sviluppo delle risorse umane di Tianjin, dove ha espresso la necessità di una politica che faccia fronte alla questione dell’occupazione giovanile. Il Premier Li Keqiang, invece, in una recente apparizione pubblica, ha dichiarato che l’occupazione di giovani diplomati e laureati è un «compito importante» e «una sfida senza precedenti» dei nostri giorni. Di certo, nel contesto generale del rallentamento della crescita dell’economia cinese, le difficoltà nella ricerca del lavoro non sono semplicemente una questione di economia. Alla luce dell’esperienza storica ci troviamo di fronte a un problema di rigidità sociale e anche di carattere politico.
Due giorni fa parlavo con mia moglie di questi genitori che si affidano a me per cercare lavoro ai figli; secondo lei la questione è riconducibile ai genitori d’oggi, che viziano i ragazzi, e all’incompetenza dei figli unici. Sta di fatto che più di vent’anni fa, quando appena laureato entrai in un giornale di Shanghai conosciuto in tutta la Cina, non feci leva su nessuna “conoscenza”; i miei genitori ancora oggi non hanno mai messo piede in redazione, né conoscono una persona che ci lavora.
Obiettivamente, ritengo comunque che l’atteggiamento protettivo dei genitori e l’immatura fragilità dei ragazzi siano davvero le ragioni in grado di spiegare questo diffuso fenomeno sociale dei giorni nostri, per cui la ricerca del lavoro avviene esclusivamente attraverso una “gara di conoscenze”. Tuttavia, naturalmente, questa non è la ragione principale.
Tutto ciò mi ha fatto tornare in mente i temi toccati da un articolo pubblicato di recente sul Renmin Ribao, «Evitare che la gioventù cada nell’apatia». Secondo l’articolo, la generazione dei nati dopo il 1980 manca del vigore e dell’aggressività tipici della gioventù; i ragazzi, che una volta erano pieni di energia, oggi sarebbero in letargo. Non importa se quest’articolo dell’organo ufficiale del Partito, così come tutte le discussioni comparse in questi giorni su carta stampata, centrino o meno la questione; il fenomeno che descrivono esiste per davvero e in realtà merita riflessioni e discussioni approfondite.
Le “difficoltà dei laureati in cerca di lavoro”, i giovani che a ogni passo “si affidano ai genitori” e ancora la “generazione apatica dei nati dopo il 1980”. Tutti questi fenomeni sociali correlati conducono a un problema preoccupante: a più di trent’anni dalle riforme e aperture, nella società cinese, ci sono sempre meno margini e possibilità di ascesa sociale per quelle persone comuni che puntano sul proprio vigore e sull’azzardo, sul giudizio e sulle capacità, sul sacrifico e sull’impegno, senza volere omettere la componente della fortuna.
Ogni volta che parlo con i miei vecchi compagni di studi emerge l’immagine di una monotona fila, quella dei giovani di oggi che si accalcano in massa per un posto in un ufficio pubblico. Ci verrebbe da dire che più di vent’anni fa, quando ci laureammo, chi di noi aveva dei buoni voti o anche solo qualche prospettiva non avrebbe mai pensato a una carriera da funzionario o in un’azienda statale. Come cambiano i tempi!
In teoria questo è un controsenso estremamente difficile da spiegare. Da un lato, negli ultimi trent’anni, l’economia cinese ha condiviso una fase di grande crescita a lungo termine senza precedenti nella storia dell’economia globale. Allo stesso tempo, il maggiore processo di industrializzazione e urbanizzazione su ampia scala mai conosciuto nella storia dell’umanità ha innescato in Cina un trasferimento di popolazione anch’esso mai visto prima. Comunque è stato proprio in quest’epoca di grande crescita e di grandi trasformazioni – che ha anche implicato innumerevoli e considerevoli opportunità – che in Cina si è presentato un grave problema: quello che negli ultimi tempi la gente ha preso a chiamare “irrigidimento degli strati sociali”.
In realtà l’impiego della definizione di “irrigidimento degli strati sociali”, per sintetizzare lo stato attuale della mobilità, presenta notevoli imprecisioni. Un figlio di contadini vuole diventare un muratore, mentre una figlia di un piccolo uomo d’affari desidera fare la maestra in un asilo. Questi casi di mobilità non solo sono possibili, sono davvero all’ordine del giorno. È una situazione sostanzialmente diversa dal modello rigido che precedette le riforme e aperture, che era completamente regolato dallo Stato, dall’inizio alla fine.
Ad ogni modo, un dato inconfutabile è che sono scomparse e non torneranno persone come quelle che, negli anni Ottanta, senza avere “conoscenze” e senza temere il sacrificio, facevano conto solo sul loro coraggio per arricchirsi, entrando così a far parte di quelle “famiglie da diecimila yuan all’anno” ammirate e invidiate dalla gente comune. Al contrario, nella Cina di oggi, più ci si prende dei rischi e ci si sacrifica con sovraccarichi di lavoro straordinario, meno si guadagna. Poi c’è un’altra minoranza di persone che invece non ha alcun bisogno di sobbarcarsi dei rischi o di spremere le meningi e spendere sudore, ma può permettersi di starsene seduta e godersi inesauribili profitti.
In una parola: la ruota non gira dalla parte della gente comune.
In ultima analisi, dietro all’“irrigidimento degli strati sociali” – definito anche “ostruzione dei canali di ascesa sociale”, in realtà c’è il consolidamento di una rete di interessi.
In verità l’economia cinese viaggia ancora su una crescita annua superiore al sette per cento, il che vuol dire che la “torta” si sta facendo sempre più grande. Il punto è che le persone comuni hanno diritto a una fetta sempre più piccola. Ciò avviene perché i gruppi di interesse che rappresentano il governo a ogni livello e le aziende di Stato si sono accaparrate la fetta più grande, facendo leva sull’influenza nell’amministrazione e sul monopolio del mercato. Questo è il motivo per cui i giovani pragmatici (quelli che il pezzo del Renmin Ribao definisce “apatici”) per prima cosa cercano lavoro negli apparati amministrativi o nei gruppi aziendali statali. Oggi, nella società cinese, le regole della distribuzione della ricchezza dicono loro: se volete avere altri pezzi di torta è meglio che aspiriate a essere colui che la taglia, piuttosto che a prepararla.
Quello che mette maggiormente in apprensione è proprio il consolidamento quotidiano della rete di interessi che ha preso forma dal monopolio dell’amministrazione. Nella Cina contemporanea è sempre più difficile creare e innovare, mentre le nuove opportunità sono sempre più rare. Da WeChat a pagamento alla proibizione dell’APP per richiedere un taxi, negli ultimi tempi il governo e le aziende di Stato hanno preso in prestito la formula della “regolamentazione del mercato” per esercitare in realtà delle pressioni sull’innovazione in ambito sociale. Questi fatti non rappresentano davvero nulla di nuovo; tutto ciò avviene perché l’innovazione inevitabilmente colpisce gli interessi, così i gruppi di interesse, nel percepire il pericolo, inevitabilmente prendono l’iniziativa, smontando sul nascere la minaccia.
Durante la prima fase delle riforme di apertura, i grandi monopoli, appoggiandosi come parassiti al potere dell’amministrazione dirigente, non si erano ancora formati, o perlomeno erano anch’essi nel pieno di un rapido processo di trasformazione. Per questa ragione c’erano nuove opportunità ovunque e si sentivano numerose storie di persone di successo, a partire da chi apriva in proprio un piccolo ristorante per strada fino ad arrivare a chi apportava nuove idee in ambito tecnologico ed economico, con lo sviluppo dei grandi portali su internet. In altre parole, allora era come se alcune persone acute stessero preparando una nuova torta, facendo leva sulle proprie forze e muovendosi ai margini o al di fuori del sistema. Ma oggi questo grande sogno si sta estinguendo inesorabilmente.
È questo che ai nostri occhi ha reso così iniqua la società nel suo complesso, non avendo per altro alcuna alternativa possibile. Sono convinto che ci sia questo all’origine della “apatia della generazioni nate dopo gli anni Ottanta”. Vista con gli occhi di un uomo come me, della generazione dei nati dopo gli anni Sessanta, la storia ci ha tirato proprio un brutto scherzo: in origine, per noi nati durante la Rivoluzione culturale, la generazione degli anni Ottanta doveva essere la “generazione delle riforme e aperture”, che tanto invidiavamo e su cui riponevamo le nostre speranze; poi, però, la stragrande maggioranza di loro non è stata in grado di godere dei ricchi frutti delle riforme e aperture. Tanto meno ha potuto portare avanti con maggiore forza le riforme e aperture, piuttosto si è appassita prematuramente.
Questo significherà che dai campi e dalle officine di oggi non usciranno più i Li Keqiang del domani?
[Il pezzo è anche su Caratteri cinesi. Traduzione di Mauro Crocenzi]*Chen Jibing è nato nel dicembre del 1967 a Shanghai. Ha ottenuto due lauree, una in ingegneria presso la Tongji University e l’altra in giornalismo presso l’Università Fudan di Shanghai. Nel corso della sua carriera ha lavorato per diverse testate cinesi, occupandosi di argomenti vari. Attualmente lavora allo Shanghai Business, ha uno spazio sull’Economic Observer e collabora con il settimanale on-line CoChina. È uno dei fondatori dell’Oriental Morning Post.