Seconda parte del racconto di Yuan Yue-Immusoul sui cinesi in Africa. Il reporter prova a spiegare i difficili rapporti tra i suoi concittadini emigrati e gli abitanti dei luoghi che li ospitano. E si scopre che ai cinesi manca "il bonus del colonizzatore". La Cina è cambiata in maniera troppo veloce quasi da farci dimenticare che trent’anni fa, il tempo di una generazione, era un Paese che perseguiva la politica della porta chiusa.
Sono abbastanza adulto e ho sperimentato su me stesso quella sensazione d’improvvisa apertura al mondo esterno dopo la lunga chiusura. Era esuberanza mescolata ad esperienze difficili. Credo che per i bambini di oggi sia molto difficile capire quello che voglio dire.
Mi ricordo che nel ’92 ero appena arrivato negli Stati Uniti. Un tipo che lavorava nel mio stesso laboratorio, per trovare un argomento con cui attaccare bottone, ha cominciato a blaterare su quanto gli piacesse il kungfu. Un’altra tipa, invece, ricordo che mi ha descritto in maniera vivida il prelibato dimsum [cucina tipica della Cina meridionale, ndr]. Ero confuso, non sapevo a cosa si stessero riferendo. Non poche persone, poi, elogiavano la mia altezza: “non sembri per nulla cinese…”
Solo dopo ho capito che vent’anni prima la maggioranza dei cinesi con cui gli americani erano entrati in contatto, erano immigrati del Guangdong e del Fujian che facevano lavoretti qualunque. La loro statura, le abitudini culinarie, il modo di comportarsi e quello di parlare erano divenuti lo stereotipo del cinese all’estero.
All’incirca dieci anni fa, questa situazione è finalmente cambiata perché un gran numero di studenti ha cominciato ad uscire dall’università, inserendosi nella società americana: siamo così diventati i nuovi rappresentanti dei cinesi negli Stati Uniti.
Poi ho cominciato a girare il mondo e in ogni posto in cui sono stato ho fatto attenzione alle difficili condizioni in cui vivono i cinesi all’estero.
In Argentina, in un supermercato ho incontrato un cinese completamente tatuato membro della mafia locale; a Buenos Aires sono andato a visitare una coppia di cinesi che hanno pubblicato un giornale in lingua cinese; in Papua Nuova Guinea ho incontrato un cinese dai denti marci, che nascosto dietro una cancellata, incassava i soldi dell’immigrazione clandestina del Fujian. Ho incontrato anche imprenditori onesti del Fujian che lavoravano senza sosta. Nel Circolo Polare Artico ho conosciuto un appassionato ricercatore che lavorava nelle università della Norvegia. Nelle Filippine ho incontrato una truffatrice che si autoproclamava rappresentante della politica cinese.
Ma chi mi ha impressionato in maniera più significativa sono stati i cinesi in Africa.
Questo pezzo di terra (mi riferisco in particolare all’Africa Subsahariana) è conosciuto da tutti come il luogo meno sviluppato al mondo.
I cinesi, quando si rapportano agli africani, hanno un senso innato di superiorità. Ad esempio in Uganda ho conosciuto diversi imprenditori cinesi: tutti quanti parlavano con entusiasmo della loro vita da gran signori, facevano a gara per descrivermi quanto fossero grandi le loro case, quanti camerieri avessero e quanto fosse facile fare soldi. D’altra parte, gli imprenditori cinesi sono stati ripetutamente accusati dai media occidentali di depredare le risorse naturali e di distruggere l’ambiente.
Queste due situazioni messe insieme, ci danno inevitabilmente la percezione del “nuovo colonizzatore”. Il documentario “Arrivano i cinesi”, girato l’anno scorso dalla Bbc, è l’esempio lampante dell’informazione che i media occidentali hanno sempre provato a far passare.
Il termine colonia in cinese ha un senso dispregiativo, invece in inglese il termine colonization ha un’accezione neutra, siamo noi a non dover essere eccessivamente sensibili.
Ci sono alcune differenze tra i nuovi colonizzatori cinesi e i vecchi colonizzatori: prima di tutto, i vecchi colonizzatori hanno utilizzato l’intero apparato statale per attivare tutto il processo di colonizzazione; al contrario, per la Cina è stato invece in gran parte un processo spontaneo da parte della popolazione. Poi, i vecchi colonizzatori non solo hanno depredato le risorse naturali ma hanno anche esportato un sistema comune di valori; invece in linea di massima la Cina con l’Africa ha solo rapporti commerciali. Il terzo punto, quello più interessante, consiste nel fatto che i vecchi colonizzatori sono tutti padroni, i cinesi invece hanno tutti delle storie diverse e fanno tutti cose diverse. In Uganda ho sentito dire di una prostituta cinese che nascose tremila dollari, il guadagno di sei mesi di lavoro, in un vaso fuori di casa, facendo sì che l’acqua bagnasse e rovinasse tutte le banconote. Questa storia in Uganda è diventata il “il gossip” della comunità cinese.
L’ultima volta che sono stato lì ho fatto diverse interviste, invece questa volta in Gabon mi sono concentrato sulle condizioni di vita dei cinesi e mi sono reso conto che sono molto simili.
In Gabon ci sono molti cinesi imprenditori che hanno assunto manodopera cinese. I lavoratori cinesi non sono molto diversi da quelli locali e gli imprenditori cinesi non hanno per nulla l’aspetto del padrone. Gli europei del Gabon invece guidano tutti belle macchine e vivono in case grandi, per quanto mi riguarda non ho mai assistito a risse in strada tra bianchi e neri.
Queste differenze non vanno prese sottogamba, in quanto portano direttamente in causa il modo palesemente diverso in cui gli abitanti del Gabon trattano i cinesi e gli europei. Chiamo questo fenomeno “il bonus del colonizzatore”. Gli uomini d’affari cinesi vengono derubati molto facilmente, proprio perché i cinesi non hanno il “bonus del colonizzatore”, oltre al fatto che ai cinesi piace girare con liquidi in tasca. La gente del posto non solo non teme per nulla i cinesi, ma li guardano anche dall’alto verso il basso.
Il “bonus del colonizzatore” degli europei deriva anche dal modo stesso di colonizzare: sono arrivati molto tempo prima in Africa e hanno esportato la loro cultura. La maggior parte dei confini dei paesi africani sono stati definiti dai bianchi, la lingua ufficiale è europea, il sistema di amministrazione, le regole commerciali, sono state tutte fissate dagli europei.
Oggi sulla carta si ritiene che i Paesi africani siano indipendenti, ma in realtà subiscono il controllo degli altri Stati. Lo stile di vita delle persone ha subito fortemente l’influenza della Francia: parlano un perfetto francese, guardano film francesi, mangiano baguette e bevono caffè a colazione. Qualsiasi scansafatiche francese riesce ad inserirsi subito nella società del luogo in quanto la lingua la cultura sono molto simili. In confronto, i cinesi non solo non posseggono il bonus del colonizzatore, ma hanno anche un istinto naturale verso un modo di relazionarsi inappropriato: la differenza del soft power tra Cina e Francia è evidente.
I cinesi non sono un popolo a cui piace il rischio, quelli che vogliono uscire dalla Cina sono un numero esiguo. L’elite cinese va direttamente in Europa o negli Stati Uniti, i rimanenti che vogliono osare hanno una cultura relativamente bassa e vanno in Africa.
Questa è la causa della condizione dei cinesi in Africa. Fortunatamente la situazione in questi ultimi anni ha subito dei cambiamenti. Ad esempio, ultimamente, ho incontrato un gruppo di giovani imprenditori cinesi che hanno ricevuto in Cina una buona educazione e desiderano inserirsi nella vita locale, sembrano molto sicuri di se stessi.
Sono convinto che questo genere di persone aumenterà sempre di più, in modo che ci sia un cambiamento come quello che è avvenuto negli Stati Uniti.
*Yuan Yue, nato a Shanghai nel 1968, ha studiato per molti anni negli Usa, è critico musicale, giornalista e blogger specializzato in scienza, tecnologia, ambiente. Scrive per la rivista Sanlian Shenghuo Zhoukan e in Rete si fa chiamare Immusoul o Tumotuo (Motore della terra). Come blogger si occupa dei temi più svariati proprio grazie alla sua natura ibrida, ha un vasto seguito ma è anche criticato da chi lo accusa di essere troppo filo-occidentale, Il suo blog è Immusoul.com.