Caratteri cinesi – Ambiente e sviluppo

In by Simone

Come tenere insieme le ragioni dell’economia e quelle della natura (e della salute)? Per l’economista Ye Tan la risposta sta in un sistema di incentivi per le imprese "virtuose" basato su meccanismi di mercato. E poi, bisogna rivedere il Pil. Un problema quanto mai attuale, dopo l’ondata di smog che ha afflitto le città cinesi

Un ambiente non inquinato e lo sviluppo sono ai due estremi di una bilancia; per lungo tempo si è pensato che non si potessero realizzare contemporaneamente. Gli errori del passato devono però essere riveduti e corretti. Grazie alla creazione di un sistema economico di mercato è possibile realizzare uno sviluppo verde.

Sembra appropriato paragonare la Cina attuale all’Inghilterra di Engels del XVIII secolo. Le grandi città erano sature di fumo; gli strati sociali con redditi più bassi avevano perso la loro dignità; il lusso era diventato comune tra le classi più abbienti; la protezione ambientale sembrava un miraggio; in 200 anni le grandi calamità ambientali si sono estese da Londra e Parigi fino a Tokyo. Quanto esposto sopra è un tipico scenario dell’inizio dell’era delle fonti energetiche fossili.

È inutile nascondere che, in qualità di paese all’inizio dell’industrializzazione, la protezione ambientale rappresenterà un pesante fardello per la Cina per molti anni a venire. Come paese in via di sviluppo, essa viene frenata dai paesi sviluppati attraverso gli indicatori di protezione ambientale. Il lungo ritardo, da un lato, genera involontariamente atteggiamenti masochistici, dall’altro, si confonde con le richieste di normali interessi sulla scena internazionale. Per questo, non è difficile comprendere perché la Cina abbia introdotto – sulla base di considerazioni razionali – degli standard di protezione ambientale, come ad esempio l’obiettivo di ridurre del 20 per cento – entro la fine dell’11° piano quinquennale – il consumo energetico e le emissioni di anidride carbonica per ogni unità di PIL. Alla fine del 2010, la Cina era già riuscita a ridurre del 19 per cento il suo consumo energetico per unità di PIL, raggiungendo quasi l’obiettivo prefissato. A dicembre del 2011, il Consiglio di stato ha definito il 12° piano quinquennale per la protezione ambientale, presentando dati concreti per il 2015 sulla quantità dei principali agenti inquinanti e la sicurezza ambientale delle fonti di acqua potabile per città e aree rurali, sulla qualità dell’acqua e la percentuale di energia [che dovrà essere ricavata] da fonti rinnovabili.

Le prospettive non sono ancora ottimistiche. Il Global Carbon Project del centro Tyndall per la ricerca sui cambiamenti climatici ha pubblicato sulla rivista Nature i risultati di uno studio del 2012. Questo studio mostra che tra i paesi e regioni che hanno emesso maggiormente anidride carbonica nel 2011 figurano: la Cina (con il 28 per cento di emissioni), gli Stati Uniti (16 per cento), l’Unione Europea (11 per cento) e l’India (7 per cento). Si stima che, nel 2012, le emissioni globali siano aumentate del 2,6 per cento, raggiungendo un livello record di 35,6 miliardi di tonnellate. La Cina è il paese con la maggiore quantità di emissioni, ma a livello pro capite registra un livello relativamente basso, con sole 6,6 tonnellate a persona, di molto inferiori alle 17,2 tonnellate procapite emesse dagli Stati Uniti. L’Unione Europea ha emesso 7,3 tonnellate di CO2 procapite.

I progressi della Cina nella protezione ambientale non sono affatto il risultato delle pressioni esterne, ma sono conseguenza dei costi interni. Il rapido peggioramento dell’ambiente in varie regioni, ha ripetutamente causato incidenti alla sicurezza pubblica; i costi pagati dal governo dovuti ai cambiamenti climatici sono più elevati degli introiti ottenuti dalla finanza pubblica inquinando l’ambiente. Inoltre, il deterioramento dell’ambiente è ormai diventato una minaccia per la vita stessa degli abitanti del paese. Le situazioni climatiche estreme a livello globale sono evidentemente aumentate. Un rapporto di un gruppo di scienziati americani, pubblicato sulla rivista Physical Geography, afferma che l’incremento di situazioni climatiche estreme dipende dal riscaldamento globale. A partire dai primi anni del XXI secolo, periodi di siccità di lunga durata, tra i più gravi registrati negli ultimi ottocento anni, hanno colpito il nord-ovest del continente americano, causando la riduzione [della superficie] delle foreste e il prosciugamento dei fiumi. Tali condizioni climatiche estreme sono diventate “la nuova normalità”. L’uomo può solo far affidamento sulla ragione, trasformando la protezione ambientale in una azione comune.

Per quel che concerne gli ambiti che si possono considerare un bene comune, come la protezione ambientale, ciò che è più difficile determinare è la quantità di profitti e perdite. Le cartiere che scaricano acque reflue ottengono un profitto, provocando un danno ai residenti che abitano a valle. Quanto devono pagare per compensare tali danni? Questo è un problema difficile da calcolare a livello economico. Si tratta di casi di tragedie tipiche nell’economia istituzionale simili a quelli che coinvolgono anche i terreni pubblici. Questi ultimi, dato che nessuno li gestisce e nessuno applica punizioni né conduce controlli, inevitabilmente, tendono a diventare aridi a causa dello sfruttamento eccessivo dei pascoli. Se, frenato dalla difficoltà di introdurle, il governo non implementa misure per la protezione ambientale, allora non importa quanto lunghi o estesi siano i fiumi, essi sono destinati a diventare delle fogne, poiché chi inquina non è tenuto a pagare alcun costo sociale né alcuna sanzione.

Un mercato maturo può risolvere la tragedia della terra comune: ciò è possibile permettendo alle imprese con tecnologie a basse emissioni e a quelle dotate di tecnologie per il risparmio energetico di ottenere dei profitti scambiando le quote di emissioni di anidride carbonica. Maggiori saranno i profitti e più il mercato si espanderà.

Nel 12° piano quinquennale, in base al piano di protezione ambientale, è previsto un progetto pilota per la promozione di un sistema che prevede lo scambio e l’utilizzo a pagamento del diritto di eliminare sostanze inquinanti conforme alle condizione del paese e gestito per livelli [amministrativi]; progetto questo che verrà gradualmente implementato in tutto il paese. Ad oggi, la maggior parte delle transazioni del diritto di smaltimento degli inquinanti riguarda nuovi progetti. Se si vogliono quindi portare avanti nuovi progetti di questo tipo è necessario definire delle quote di smaltimento, affinché le imprese possano acquistarle. Successivamente, ogni località, sulla base dei progressi del proprio sviluppo, dovrà dichiarare la quantità di emissioni di carbonio e di acque reflue; il ministero della protezione ambientale, basandosi sui dati locali ed i dati della pianificazione macro a livello nazionale, calcolerà la potenziale riduzione delle emissioni e fornirà le relative percentuali. Le [autorità] locali dopo aver condotto ricerche [dovranno pubblicare] nuovi dati, il ministero della protezione ambientale condurrà a sua volta ulteriori ricerche.

Dopo che questo metodo diventerà collaudato, potrà essere adottato anche in altri settori e imprese, come ad esempio le centrali idroelettriche site sull’alto corso dei fiumi e che scaricano nei fiumi le acque reflue, provocando danni ai residenti che vivono nel basso corso.

Definendo i dati di riferimento per le emissioni e soddisfacendo quelle che sono le necessità fondamentali per vivere sarà possibile scaricare gratuitamente; se la quantità di acque reflue sarà eccessiva, allora saranno necessari metodi per far si che i residenti del basso corso dei fiumi siano rimborsati. Solo in questo modo sarà possibile proteggere l’ambiente. Facendo in modo che chi inquina deve pagare alti costi economici e con l’eventuale introduzione del mercato delle emissioni, regioni e imprese riusciranno a tenere a mente che l’ambiente ha un valore.

D’altre parte, le imprese dell’industria pesante che possiedono tecnologia abbastanza avanzata per ridurre le emissioni – come la Baoshan Iron & Steel – potrebbero vendere alle imprese private del settore, nello Hebei come in altre province, la loro quota di emissioni. Dopo che la quantità totale di emissioni viene fissata, il prezzo di ogni tonnellata di CO2 sarà stabilito dalle due parti.
Attraverso le transazioni di mercato, si verrà a creare un meccanismo per definire profitti e perdite. Ad un peggioramento del degrado ambientale, la forza delle autorità incaricate di proteggere l’ambiente aumenterebbe; di conseguenza, anche le quote di CO2 avrebbero un costo superiore. Con questo meccanismo di incentivi, le imprese ridurranno di loro spontanea volontà le emissioni, creando spazio per il mercato delle emissioni di CO2, al fine di ottenere profitti. Da ciò risulterà che le imprese hi-tech, in possesso della tecnologia e che producono dispositivi per la riduzione delle emissioni, avranno un ampio margine di sviluppo.

Dalla sinergia del controllo della protezione ambientale esercitato dal governo e le transazioni di mercato deriverà un appropriato sistema di incentivi che spingerà tutte le imprese a proteggere l’ambiente per perseguire profitto. Solo in questo modo la protezione ambientale potrà durare a lungo. Gli incentivi interni sono migliori rispetto ad ambigui meccanismi di sussidio. Questi ultimi sono infatti solo misure d’emergenza che si adottano prima dell’istituzione di un sistema di mercato.

A parte l’istituzione di un mercato delle emissioni, è imperativo introdurre nel PIL le imprese del settore della protezione ambientale oppure quando si valuta il PIL bisogna tener conto degli indicatori ambientali.

Esistono indicatori quantitativi specifici per misurare il contributo di una impresa al PIL locale, agli introiti finanziari e all’occupazione, ma non esistono indicatori per calcolare i costi sociali ed economici creati da chi inquina l’ambiente. Questo meccanismo di valutazione rappresenta di per sé un incentivo ad inquinare, a costruire prima e proteggere l’ambiente poi. La valutazione del PIL verde, un tempo promossa dal paese, si è arenata a causa di una forte opposizione a livello locale, per evitare conflitti con gli speculatori. Attualmente l’inquinamento ambientale è talmente grave da scatenare ripetutamente crisi per la sicurezza pubblica, facendo tornare d’attualità il concetto di PIL verde.

Sia che si tratti di nuove fonti di energia, riciclaggio dei rifiuti o risparmio del consumo di acqua, il settore della protezione ambientale è un’industria in ascesa.

Nel dicembre 2012, Wang Yuqing – vice presidente del Comitato per la popolazione, le risorse e l’ambiente della Conferenza consultiva politica popolare cinese e presidente della Società cinese per le scienze ambientali – ha reso noto che gli investimenti complessivi per la protezione ambientale del 12° piano quinquennale ammonteranno a 3,4 mila miliardi di yuan. Egli ha inoltre stimato che il prodotto nazionale dei tre settori del risparmio energetico, della protezione ambientale e del ciclo delle risorse naturali supererà, nel 2015, i 4,5 mila miliardi di yuan. Sempre nel 2015, l’industria della protezione ambientale e del risparmio energetico diventerà una delle industrie portanti dell’economia cinese.
Liu Zhuquan – vice direttore del dipartimento della Scienza, della tecnologia degli standard del ministero della Protezione Ambientale – ha dichiarato che "la filiera produttiva dell’industria della protezione ambientale è lunga, il suo grado di connessione è ampio; [per questo] il suo sviluppo favorisce inevitabilmente lo sviluppo delle industrie ad essa connesse".

Alcuni studi dimostrano che gli investimenti nella protezione ambientale sono investimenti che moltiplicano approssimativamente il PIL di 1,4 volte; si stima quindi che, nel corso del 12° piano quinquennale, gli investimenti nella protezione ambientale faranno arrivare il PIL a 4,34 mila miliardi di yuan.

In base al ritmo medio di crescita annuale che è pari al 15 per cento, l’industria della protezione ambientale del paese produrrà fino a 2,2 mila miliardi di yuan nel 2015.

Sulla base delle stime della produzione pro capite, che negli ultimi anni è stata pari a 250 mila yuan a persona, nel 2015 saranno creati, approssimativamente, quasi 8,8 milioni di posti di lavoro.

Se si considera anche la spinta all’occupazione dovuta alla costruzione di strutture per il controllo dell’inquinamento ambientale, ogni fondo di 100 miliardi di yuan investito per costruzioni ecologiche e per la protezione ambientale può portare ad una crescita di profitti e tasse pari a un miliardo di yuan, e ad una di 60 miliardi nel consumo privato e 600 mila nuovi posti di lavoro.

L’industria della protezione ambientale – così come fu un decennio fa per il settore immobiliare e quello delle auto – è terreno di competizione per i capitali. Le imprese che possiedono realmente tecnologia per la protezione ambientale e che sono dedite al risparmio energetico, dopo un lungo letargo durato oltre un decennio, accolgono con favore i primi accenni di vento primaverile.

[Traduzione di Piero Cellarosi. Il post è anche su Caratteri cinesi]
*Ye Tan è un’esperta di economia e finanza. Nata a Shanghai nel 1973, è considerata una piccola celebrità nell’ambiente accademico grazie alle sue ricerche sull’economia dell’epoca Ming e Qing (XIV-XX secolo). 

Conservatrice e sostenitrice dell’economia di mercato, riesce spesso a sorprendere i suoi lettori con parallelismi e analogie che evidenziano la ciclicità dei fenomeni di natura economica e politica nella società cinese. Scrive per numerosi giornali e riviste ed è commentatrice per il canale finanziario della Cctv.