Nel piccolo aeroporto “Godofredo P. Ramos” di Boracay nelle Filippine l’atmosfera è quella di sempre. C’è il sole, un gioioso e colorito caos tipico del sud-est asiatico e i condotti dell’aria condizionata filtrano il profumo del mare.
Immerso in questo clima mi avvio al check-in per completare le pratiche di imbarco sul volo Philippine AirAsia per tornare a casa: destinazione Shanghai.
Qualche ora di volo dopo all’aeroporto Internazionale di Pudong, Shanghai, un messaggio sul display del mio cellulare mi informa che le vacanze del Capodanno Cinese sono estese fino al 9 febbraio. Successivi annunci estenderanno il periodo a tutto il mese di febbraio confinandomi, di fatto, a casa in un regime di “41-bis”.
Le tre fasi del SARS-CoV-2 del mio personalissimo hikikomori combinato ad un regime di “41-bis” sono le seguenti:
Nella prima fase vengo travolto da uno stato fanatico-mistico-agonistico di pulizie di casa. Smonto e rimonto (male) l’armadio di Ikea. Pulisco cucina e frigorifero come immagino fece l’assassino di Simonetta Cesaroni. Mi schiaccio un dito pulendo i filtri dell’impianto dell’aria condizionata. Impreco in cinese-mandarino. Rompo la Tv (!).
Cucino con il rischio di finire al pronto soccorso per intossicazione alimentare. Mi procuro un taglio sull’anulare della mano sinistra quando tento di aprire un barattolo di pomodori pelati. La parte superiore della lamiera della confezioni mi apre la carne della falangetta del suddetto dito con la precisione dell’acciaio della spada di Hattori Hanzo. Impreco in giapponese.
Cosi mutilato e con la presa prensile inferma finisco di rompere qualche piatto e svariati bicchieri del mio servizio buono. Impreco in romanesco.
Qualche vecchio amico dall’Italia non mi fa mancare il suo supporto morale in questa fase delicata. Messaggi come “cosi’ ti impari a mangiare i pipistrelli”, “Ti sta bene” mi rincuorano sul futuro dell’umanità.
La seconda fase mi stimola ad impiegare il mio tempo in maniera produttiva. Faccio quelle cose che normalmente mi ripropongo di fare “quando ho tempo”. Leggo “I Fratelli Karamazov”. Guardo da sveglio tutta la filmografia di Kim Ki-duk in Koreano. Mi ipnotizzo con i tutorial su YouTube della “Dottoressa Pimple Popper” su come spremere i brufoli.
La terza fase è l’apocalisse ed è la fase che mi ha segnato più di tutte. Anche più della cicatrice sulla falangetta dell’anulare della mano sinistra. La terza fase strutturale prevede, infatti, di tenermi informato.
Sembra che il Consolato Generale d’Italia a Shanghai per informare i propri cittadini abbia affidato la comunicazione di crisi alla nota virologa e titolare della cattedra di “Comunicazione e Tecnica del Niente”
Per prevenire il contagio la Dott.ssa suggerisce di non avere contatti con persone contagiate e di lavarsi le mani. Si affretta anche a dirci che ogni città cinese, regione, provincia, distretto, condominio, palazzina, pianerottolo, interno, stanza, ha emesso sue proprie disposizioni in materia di prevenzione e profilassi.
La Dott.ssa non informa i suoi connazionali iscritti alle liste Aire su quali siano queste disposizioni perché fa presente che queste funzioni non rientrano nelle sue competenze. Fa anche presente che lei e’ una precaria.
Da parte sua l’Ambasciata Italiana in Cina affida i suoi puntuali aggiornamenti alla sua pagina Facebook, notoriamente censurato in Cina.
Seguendo le moderne tecniche di comunicazioni di massa e applicando il famoso paradigma di Marshall McLuhan “apro bocca e gli do’ fiato” e il postulato di Noam Chomsky “Io non lo so, però mio cugino mi ha detto”, lo spettro dell’informazione è completato da una quantità spettacolare di dichiarazioni non richieste da parte di connazionali apparse su oscure pubblicazioni a tiratura parrocchiale.
Nel frattempo a Gotham City sono al 26esimo giorno di hikikomori combinato al regime di “41-bis” ed esco di casa. Mi rassicura vedere che la popolazione cinese segue con ordine e scrupolo tipico delle migliori società distopiche i protocolli sanitari messi a punto dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese.
Con disciplina dopo aver sputato in terra si rimettono la mascherina.
Ringraziamo Andrea Palleschi per la sofferta testimonianza