ll rallentamento dell’economia cinese non risparmia nemmeno i gironi alti della politica comunista. Mentre il gigante asiatico continua a dominare la classifica mondiale per numero di miliardari (658 contro i 584 degli Stati Uniti), le ultime statistiche di Hurun, il Forbes cinese, rivelano una contrazione di 161 unità rispetto allo scorso anno. Il calo generale trova conferma nella ridotta partecipazione dei paperoni a uno degli eventi politici più attesi dell’anno: il lianghui (le due sessioni), l’appuntamento annuale che riunisce per circa dieci giorni i 5.000 delegati della Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese (il massimo organo consultivo) e dell’Assemblea Nazionale del Popolo (il parlamento cinese).
La presenza di ricchissimi nell’establishment “rosso” viene da sempre avvertita come una delle più stridenti contraddizione del “socialismo con caratteristiche cinesi”. Ma d’altronde, pur convivendo con il capitalismo di stato, l’imprenditoria privata conta per ben il 60% del Pil nazionale e crea l’80% dei posti di lavoro. Ecco perché l’opinione del mondo degli affari è di fondamentale importanza per i policymaker cinesi.
Secondo Hurun, tuttavia, nell’ultimo anno la componente miliardaria del ramo legislativo si sarebbe ridotta notevolmente, a quota 93 membri per una fortuna complessiva di 3,4 trilioni di yuan (504 miliardi di dollari). Un calo netto rispetto al 2018 – quando il lianghui vantava 104 paperoni per un patrimonio complessivo di 3,93 trilioni di yuan – ma pur sempre un numero più sostenuto rispetto agli 87 delegati del 2013, quando Xi Jinping è diventato presidente. Stando a Rupert Hoogewerf, presidente di Hurun, le statistiche attestano una concentrazione delle ricchezze – tanto che la Top 10 contribuisce per il 10% della somma totale – ma anche una crescente esposizione dei supericchi cinesi agli smottamenti del mercato azionario e immobiliare.
Con un patrimonio di 35 miliardi di dollari, Pony Ma, fondatore del colosso tecnologico Tencent, è il delegato dell’ANP più danaroso. Il secondo uomo più ricco di Cina, dopo Jack Ma (membro del partito comunista ma non un delegato), ha visto crollare la propria fortuna del 19% a causa del calo delle azioni della società, colpite dallo stallo del mercato dei videogiochi online. Nella giornata di lunedì, Ma ha richiamato l’attenzione della leadership sulla necessità di introdurre “standard e linee guida” per rafforzare la tutela della privacy nel trattamento dei dati internet. Proprio all’inizio dello scorso anno, l’app di Tencent WeChat era stata accusata di spiare le conversazioni degli utenti.
Alla seconda posizione troviamo Xu Jiayin, presidente del gruppo immobiliare Evergrande, e uomo più ricco della CCPPC. Il patrimonio di Xu ammonta a 36 miliardi di dollari, rispetto ai 41 miliardi dello scorso anno. Segue Robin Li, CEO e cofondatore di Baidu, il Google cinese, a quota 17 miliardi di dollari. Tra i principali promotori dei veicoli a guida autonoma, quest’anno Li ha attirato l’attenzione dei legislatori sul vuoto normativo in cui si trova a muovere la neonata industria dell’intelligenza artificiale, fiore all’occhiello della rivoluzione tecnologica lanciata da Pechino per permettere al manifatturiero cinese di ascendere la catena del valore globale.
Al quarto posto troviamo Lei Jun, fondatore di Xioami, quarto produttore di smartphone al mondo, con 16 miliardi di dollari, seguito da Li Shufu, presidente di Geely, la conglomerata dell’automotive con base ad Hangzhou (14,8 miliardi di dollari), e Zhang Jindong, fondatore e azionista di maggioranza di Suning.com (14 miliardi di dollari), una delle società cinesi più importanti nel settore della vendita al dettaglio. Dando voce alla necessità di rilanciare i consumi interni per controbilanciare il rallentamento economico, Zhang ha proposto l’utilizzo di sussidi statali per sostenere le vendite di elettrodomestici nelle zone rurali del paese.
Nonostante un temporaneo arresto per stupro in Minnesota, Richard Liu Qiangdong, fondatore del gigante dell’e-commerce JD.com, rientra ancora tra i delegati della Conferenza consultiva. Ma l’indagine non ha giovato al suo patrimonio, sceso dell’8% a 11 miliardi di dollari lo scorso anno. E’ invece fuori dai giochi Shu Yuhui, chief executive dell’azienda sanitaria Quanjian nonché proprietario della squadra di calcio Tianjin Quanjian. Shu si trova agli arresti da gennaio con l’accusa di aver venduto “prodotti medicinali” con false avvertenze ed essere ricorso a marketing piramidale.
[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.