La multa da parte delle autorità cinesi ad Alibaba era un chiaro avvertimento a tutte le piattaforme; nei giorni successivi 34 aziende sono state convocate e redarguite dal Pcc.
Tutti gli osservatori – anche cinesi – erano concordi nel ritenere che si dovesse semplicemente aspettare, per capire chi sarebbe stato il prossimo. E proprio due giorni fa le autorità che regolano il mercato internet cinese hanno messo sotto indagine Meituan, una delle più importanti società cinesi di consegna di cibo (e non solo, perché Meituan è anche una specie di Groupon).
L’ACCUSA è quella rivolta anche ad Alibaba, ovvero proibire che i commercianti possano mettere i propri servizi e prodotti su altre piattaforme, rafforzando così la sua posizione monopolistica. Con l’indagine su Meituan le autorità cinesi si avvicinano anche a quella che sembrava la candidata a fare la stessa fine di Alibaba, ovvero Tencent (il colosso proprietario dell’applicazione WeChat) che partecipa nell’azienda di delivery con il 17%.
Si tratta di una sorta di capitolo a parte nelle vicende cinesi: il partito comunista di Xi Jinping non ha intenzione di lasciare spazio alle imprese private, il cui successo del resto dipende esclusivamente dalla capacità del Partito – sviluppata negli anni – di tenere fuori dal paese la feroce concorrenza straniera.
Ma come accade anche in Occidente, il peso di queste piattaforme è via via divenuto sempre più ampio sia da un punto di vista economico, sia finanziario, ma non solo.
QUESTE AZIENDE sono i contenitori di miliardi di dati preziosi per allenare e sviluppare algoritmi e forme di intelligenza artificiale, ma allo stesso tempo rischiano di detenere una potenziale influenza sui propri clienti anche in termini di opinione pubblica: molte delle piattaforme partecipano anche in società che si occupano di informazione.
Per quanto riguarda Meituan, come sottolineato dai media nazionali, era stata in partenza la Guangdong Catering Service Association a criticare pubblicamente l’azienda per aver violato la legge antitrust «costringendo i ristoranti locali a prendere posizione» all’interno di un sistema nel quale la concorrenza si era fatta piuttosto animata: durante la pandemia, infatti, questo genere di servizi ha toccato grandi numeri di consegne e di conseguenza di incassi (e morti di riders nonché denunce di sfruttamento del lavoro).
Secondo l’associazione del Guangdong, Meituan avrebbe minacciato i ristoranti di rimozione dalla propria piattaforma se non avessero lavorato esclusivamente per l’azienda leader. Secondo alcuni esperti cinesi rispetto all’attività di e-commerce di Alibaba, la supervisione antitrust per quanto riguarda le piattaforme di consegna di cibo sarebbe più semplice «poiché la maggior parte dell’attività può essere chiaramente definita dalle regioni».
Ad aprile, l’autorità di regolamentazione di Shanghai ha dichiarato di aver multato la piattaforma di consegna di cibo locale Sherpa’s per aver abusato del suo potere di mercato». In precedenza – inoltre – alle piattaforme era stato chiesto di adempiere alle linee guida stabilite dall’imminente legge cinese sulla protezione dei dati personali che chiederà alle aziende di dotarsi di organismi indipendenti per «controllare la conformità alle normative sulla privacy», benché i parametri di quali aziende dovrebbero avere questa prerogativa siano ancora piuttosto vaghi e non ci siano specifiche chiare come ad esempio il numero di utenti necessario a far scattare questi obblighi.
NELLA BOZZA in mandarino – però – è scritto molto chiaro che le aziende dovrebbero trattare i dati sulla base di due principi, il «consenso informato» e la «minimizzazione dei dati».
Al di là della questione legata ai monopoli, infatti, per la quale entra in azione la nuova legge anti trust, sono proprio i dati a costituire un grande motivo di frizione tra Pcc e piattaforme. L’indagine su Meituan va a inserirsi in un contesto nel quale per Alibaba i guai non sembrano essere finiti, anzi.
E a rischiare è soprattutto Jack Ma, sottoposto a un’indagine che vuole capire come l’imprenditore abbia potuto ottenere le approvazioni per la quotazione di Ant (l’origine di tutto questo terremoto, quando fu fermata dalle autorità cinesi); si tratta di indagini dalle quali potrebbe uscire qualsiasi cosa, compresa una vera e propria accusa nei confronti di Jack Ma (che non può lasciare il paese fino alla conclusione dell’inchiesta) con tutto quanto ne consegue in Cina, dove il clima sembra essere tornato quello della prima campagna anti corruzione di Xi Jinping, con funzionari e imprenditori sulla graticola. E prima o poi una «tigre» finirà in gabbia.
Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.