Dopo l’escalation ultranazionalista che ha portato nei giorni scorsi all’arresto di Kanhaiya Kumar – 26 anni, presidente dell’unione degli studenti della Jawaharlal Nehru University (Jnu), accusato di sedizione – nel weekend migliaia di persone si sono riunite in una serie di manifestazioni all’interno del campus universitario: studenti, professori e società civile uniti, pacificamente, contro la morsa autoritaria della destra indiana. Che, però, non sembra voler allentare la presa.È bene partire con alcune puntualizzazioni di carattere giuridico e storico, per meglio apprezzare la portata distruttiva dell’atteggiamento che il governo centrale, le forze dell’ordine e le frange della destra attive politicamente nelle università sotto la sigla dell’Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad (Abvp) stanno tenendo nei confronti di uno dei templi laici dello stato indiano: il campus di Jnu, che ospita decine di migliaia di studenti provenienti da ogni angolo del paese e rappresenta, opinione unanime, il polo d’eccellenza dell’istruzione universitaria nazionale, in particolare per le materie umanistiche.
Ritorno al clima dell’Emergency di Indira Gandhi
A seguito della manifestazione di martedì scorso per il terzo anniversario dell’impiccagione di Afzal Guru, la polizia di New Delhi – che dipende direttamente dal ministero degli interni federale – si è introdotta senza mandato d’arresto all’interno del campus di Jnu (in accordo col nuovo vice chancellor, il facente veci di rettore, in carica da poco più di due settimane e nominato da un panel dove il governo ha un discreto peso politico) con uomini in borghese, prelevando dal dormitorio Kumar e traducendolo in detenzione temporanea per cinque giorni dietro l’accusa di sedizione (fino a 10 anni di carcere). Fatti del genere, si ricorda sulla stampa nazionale, non si verificavano dai tempi dell’Emergency, quando India Gandhi sospese la democrazia in India per oltre un anno.
Tutto per alcune frasi bollate da esponenti della maggioranza di governo come «anti-nazionali»: un presunto reato d’opinione che, secondo il ministro degli interni Rajnath Singh e la ministra delle risorse umane Smriti Irani, merita una risposta «esemplare» delle forze dell’ordine, a difesa dell’unità nazionale e di, quoto parola per parola Irani, «Madre India».
Jnu, giudicata dalle destre un covo di deprecabili giovani comunisti anti-indiani, tra sabato e domenica ha dato prova di ammirevole spirito democratico, organizzando due manifestazioni pacifiche che hanno registrato un record di presenze: nel weekend, almeno cinquemila persona in totale hanno fatto sentire la propria voce in assemblee pubbliche e catene umane che – ieri – hanno occupato i viali del campus per diversi chilometri. Tutti uniti nella difesa della prerogativa costituzionale della libertà d’espressione, in particolare all’interno di luoghi di discussione e confronto come i campus universitari.
La stampa si schiera con gli studenti
Mentre in tutto il paese si moltiplica il sostegno alla causa degli universitari di Jnu, minacciati ora dall’introduzione di un sistema di telecamere a circuito chiuso voluto dalla polizia per meglio monitorare le «attività sovversive» all’interno del campus e identificare gli elementi «anti-nazionali», lunedì mattina la stampa si è schierata quasi totalmente dalla parte degli studenti, non risparmiando bordate all’esecutivo in carica.
In particolare l’Indian Express, in un durissimo editoriale formato da Pratap Bhanu Mehta, descrive il governo Modi come una «minaccia alla democrazia», colpevole di voler sopprimere il dissenso attraverso l’escamotage della «difesa della nazione», sguinzagliando la polizia contro giovani uomini e donne. O, ancora più chiaramente: «Il governo non vuole demolire il dissenso. Vuole demolire il libero pensiero, come dimostrano i ripetuti attacchi ai danni delle università».
L’idea di nazione, declinata alla visione della destra al potere, non ammette opinioni divergenti dalla vulgata hindu-nazionalista e mentre il panorama politico attorno al Bharatiya Janata Party (Bjp) rimane un deserto desolante – nessuno, oggi, ha la forza politica o mediatica di contrastare efficacemente le invettive ultranazionaliste della maggioranza – da mesi a questa parte diverse sezioni della società indiana sono state via via individuate come un nemico «da schiacciare», un ostacolo al «sogno indiano» da rimuovere con la forza.
La ricerca continua del nemico «anti nazionale»
A memoria, negli ultimi tempi, esponenti o alleati del governo Modi o si sono espressi con toni violentissimi contro musulmani, dalit, omosessuali, ong, ambientalisti, intellettuali, attori, registi, storici, antropologi, sociologi, musicisti, scrittori, scienziati, giornalisti e, in ultimo, studenti, alla continua ricerca di «nemici» interni da soggiogare. Modi, dal canto suo, continua a non esporsi, impegnato nella retorica entusiastica del «suo» progetto Make in India.
Il paese è di fronte a una polarizzazione pericolosa, diviso da linee immaginarie tratteggiate dal governo che segnano da un lato i buoni ed entusiasti fan del modismo, dall’altro tutto il resto dell’India, invariabilmente descritto come «anti nazionale» nel caso osi dissentire rispetto ai diktat del governo in carica.
Il clima da Crociata a difesa della patria assume contorni inquietanti quando, nel nome della «difesa della nazione», manifestanti o simpatizzanti dell’attuale governo in carica decidono di agire di propria sponte andando ben oltre il sacrosanto confronto di opinioni che dovrebbe animare una democrazia come quella indiana.
Lunedì mattina, ad esempio, un gruppo di professori e studenti di Jnu hanno raggiunto il tribunale di Patiala House, a New Delhi, dove si è tenuta la prima udienza formale contro il giovane leader studentesco Kumar. Al loro arrivo, sono stati aggrediti da avvocati in giacca e cravatta, tra slogan come «Viva l’India, abbasso Jnu». Gli «avvocati» hanno anche malmenato alcuni giornalisti. La polizia, presente, non è intervenuta.
[Scritto per East online]