zero covid

Bye bye Zero Covid, bye bye Cina

In Cina, Economia, Politica e Società by Alessandra Colarizi

Pechino riapre i confini in pieno Covid e i cinesi meditano la “fuga” dopo le restrizioni: Usa, Canada e anche Africa le mete più ricercate

Tana libera tutti. A partire dall’8 gennaio la Cina rimuoverà buona parte delle restrizioni sui viaggi internazionali, tanto in entrata quanto in uscita. Le nuove misure – che tra le altre cose sospendono l’obbligo della quarantena in hotel per gli stranieri – non equivalgono a un’apertura immediata e completa del Paese. E molte sono ancora le zone d’ombra. Come sottolinea il New York Times, le autorità non hanno chiarito quando riprenderanno a rilasciare i visti turistici, sospesi all’inizio della pandemia. Nei comunicati ufficiali si parla semplicemente di “ottimizzare ulteriormente” le pratiche per chi vuole recarsi in Cina per lavoro, studio o ricongiungimenti familiari. Sarà altresì riattivato “in maniera ordinata” il rilascio di nuovi passaporti ordinari per i cittadini cinesi, congelato a inizio 2020. Non è chiaro invece quanti voli internazionali verranno ripristinati: secondo VariFlight, a novembre il traffico in entrata è stato pari al 6% del 2019, mentre, stando a Flight Master, per la settimana dell’8 gennaio sono previsti solo 617 voli internazionali, laddove durante i primi sette giorni del 2020 ne erano stati effettuati quasi 16.000.

Per Liu Simin, funzionario dell’istituto di ricerca della China Society for Futures Studies, considerato il complicato quadro pandemico nazionale, i viaggi intercontinentali non torneranno ai livelli pre-Covid fino al 2024. Eppure, per quanto vaga, la riapertura dei confini è bastata a incoraggiare gli aspiranti viaggiatori. Complice l’avvicinarsi del Capodanno lunare (22 gennaio-5 febbraio), una delle poche festività cinesi a permettere spostamenti di lunga percorrenza. Martedì, all’indomani dell’annuncio delle nuove politiche, sul portale turistico Trip.com le prenotazioni di voli dalla Cina verso destinazioni popolari, come Singapore, Giappone e Corea del Sud, sono triplicate. In Europa, la Francia si è classificata la meta più in voga, anche grazie al corteggiamento delle autorità parigine.

Ma a fare i bagagli non sono solo viaggiatori in cerca di svago. I tre anni di Zero Covid, prima, e ora la nuova ondata epidemica stanno spingendo parte della popolazione cinese a lasciare il Paese. Secondo il Financial Times, alla fine di marzo “le ricerche sulla piattaforma WeChat di Tencent su ‘come trasferirsi in Canada’ sono aumentate di quasi il 3.000%”. Si tratta di un fenomeno noto in mandarino come runxue: letteralmente “studiare la fuga”, è il sintomo di una minore fiducia nei confronti del Partito/Stato. Passati gli anni della crescita economica a due cifre, gli inciampi commessi da Pechino nella gestione della pandemia hanno ulteriormente sfilacciato il rapporto tra cittadini e autorità politiche. La disillusione è visibile soprattutto tra la classe media e le generazioni post-Tienanmen, cresciute nell’era del benessere e della stabilità sociale. C’entra il rallentamento del Pil, ma non solo.

Le recenti proteste dei “fogli A4” dimostrano come parte della popolazione cominci ad avvertire bisogni non più soltanto “materiali”. Fanno riflettere soprattutto le rare critiche contro la censura e gli appelli alla libertà di parola. Nelle grandi città quella per il runxue è un’attitudine piuttosto diffusa. Certo, in alcuni casi il tema dell’espatrio è un pourparler, uno sfogo del momento. Ma è innegabile che siano sempre di più i cinesi a cercare condizioni di vita “migliori” all’estero. Il virgolettato è d’obbligo perché la difficoltà di ottenere un visto nell’era della pandemia sta spingendo molti a optare per mete insolite e non propriamente agevoli. Se il Giappone resta la prima scelta per i più abbienti, c’è chi non bada ai rischi per inseguire l’American Dream.

Secondo il governo panamense, nel 2022 almeno 1.300 cinesi hanno attraversato il “tappo del Darién”, una delle rotte migratorie più pericolose al mondo, tra Colombia e Panama. Quasi il triplo rispetto al decennio precedente. La speranza, come per migliaia di altri migranti, è quella di raggiungere gli Stati Uniti. Un obiettivo che richiede un budget di 5.000-10.000 dollari e giorni di cammino nella giungla, tra fiumi profondi fino alla cintola e ripidi pendii. Secondo la giornalista della Bbc Mengyu Dong, che ha raccontato la storia di alcuni intrepidi viaggiatori cinesi, su Telegram esistono apposite chat di gruppo, a prova di censura, in cui chi è arrivato a meta condivide suggerimenti utili: dove cambiare i soldi, come dribblare i controlli delle autorità locali e fare bagagli adatti per la foresta pluviale. Come spiega Alexis Zhou, ricercatore esperto di migrazione in Nord America, la recente popolarità del zouxian – questo il nome cinese dell’impervio tragitto – è il sintomo della “crescente disperazione” che dilania quanti sognano una nuova vita lontano dalla Cina.

Senza arrivare nelle viscere dei tropici, uno stato d’animo simile è riscontrabile anche tra la diaspora in Africa, dove il gigante asiatico investe da decenni, ma da sempre considerata una destinazione di serie B per questioni climatiche e di sicurezza personale. Secondo il portale Sixth Tone, con la pandemia e il contestuale aumento della disoccupazione in Cina si è assistito a un drastico incremento dei neolaureati cinesi interessati a trovare un posto di lavoro nel continente. Anche quelli iscritti nelle migliori università. Nel 2021, una società statale cinese in Algeria ha visto le richieste di impiego aumentare dell’80%.

Al netto delle difficoltà di adattamento, l’Africa presenta infatti alcuni vantaggi: stipendi abbastanza alti, ferie generose e un ritmo di lavoro meno frenetico se paragonato agli standard cinesi. Rispetto al passato, i giovani apprezzano anche l’opportunità di vedere il mondo, sviluppare le proprie competenze linguistiche e conoscere nuove culture. Il Covid ha cambiato tante cose. In Cina, ha cambiato le priorità dei Millennials. Fino a poco tempo fa la massima ambizione era ottenere la stabilità economica e un appartamento di proprietà. Oggi è migliorare la qualità della propria vita. Anche a costo di fuggire a migliaia di chilometri da casa.

Di Alessandra Colarizi

[Pubblicato su Il Fatto quotidiano]